Il governo gialloverde, a guardare i sondaggi, sembra eterno. Al massimo, in caso di elezioni, sarà sostituito da un governo Salvini: come dice qualcuno, un governo ancora peggiore di questo di oggi. La sinistra sembra scomparsa, inghiottita dalla sua litigiosità e dal suo essere poco più di niente. Ma anche la destra, a ben guardare, è scomparsa: al suo posto c’è questo misto di nazionalismo, sovranismo, populismo, ignoranza. Insomma, Salvini.
In questa situazione, i capitali, fin che possono, scappano, le persone anche, ma è più difficile.
Ma allora non spunta nessuna “nuova resistenza”? Dovremo vivere in un paese che per far quadrare i conti non trova di meglio che tassare la Coca Cola, in attesa delle truppe Nato?
Forse non tutto è perso. Il 10 novembre, a Torino, le sette madamin (in realtà serie professioniste) hanno dato una prima risposta con le 40 mila persone spontanee Si Tav: un evento che nessuno si aspettava e che ancora oggi non è stato capito fino in fondo. E che forse è solo l’inizio di una nuova storia italiana.
Si è soliti dire che Genova è una sorta di Torino al cubo. Senza il suo ponte Morandi la città è come morta, paralizzata, imprigionata in una sorta di labirinto inestricabile. La società Autostrade, immediatamente criminalizzata dai soliti talebani a 5 stelle, si è immediatamente offerta di costruire una new town per gli sfollati e un nuovo ponte entro il settembre 2019. Scacciata con sdegno dal governo, quasi offeso da tanta maleducazione, al grido di “Il ponte lo facciamo noi”, si è ritirata. Il ponte non si sa chi lo farà, ma comunque prima del 2020 nessuno vedrà un bel niente (e forse anche dopo).
Insomma, i talebani hanno preso il potere e ci stanno portando verso il nulla: ciò che cade non ritorna più? Ciò che non c’è non si fa?
Forse. Ma forse no. Per il 28 novembre la Confindustria genovese ha convocato nella città ligure le associazioni sorelle del vecchio triangolo industriale. Quindi ci saranno i capi economici di Lombardia, Liguria e Piemonte. Tema: come sbloccare Genova e l’intero triangolo. Probabilmente saranno presenti anche delegazioni sindacali e di artigiani.
Il 28 novembre, cioè, a Genova ci sarà una sorta di riunione degli stati generali del “fare”. Il vecchio triangolo, protagonista del “miracolo economico”, sogna l’Europa, la Tav, il terzo valico, la Gronda e tutte le infrastrutture che possono ridare slancio a una delle aree più operose del paese. Se non saremo ascoltati – dicono gli organizzatori – marceremo, e non saremo solo 40 mila. Sulle strade ci sarà tutto il Nord.
Forse, la “nuova resistenza” è già in movimento, sia pure in doppio petto e borsa 24 ore.
Ma, come ripeto sempre, la storia si fa con il materiale che si trova nel cantiere: sinistra e destra non ci sono più, ci sono gli uomini del “fare”.
2 Comments
Anche Genova si muove, dopo Torino.
E altri ancora si muoveranno, man mano che sarà sempre più chiaro che siamo finiti (ci siamo messi) in mano ad una banda di pericolosi nemici del mondo moderno (talebani, proprio così!).
Ho scritto e confermo che Torino era il luogo ideale per sperimentare quella “alleanza tra produttori”, che è alla base delle società evolute.
Genova, Milano, Lombardia, Triveneto, Emilia-Romagna e dintorni non sono da meno.
Lì si produce larga parte del PIL che dà da mangiare a tutta l’Italia, e lo si produce con una competitività non minore di quella tedesca. Anzi.
È da lì , solo da lì, che può ripartire una proposta politica riformista, progressista, moderna, europea.
Certamente avverrà: in che forme e con quali strumenti ancora non lo sappiamo, ma avverrà, sta già avvenendo.
Dato che la nostra Costituzione, all’art. 49, affida ai Partiti il compito di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, consegue che questo movimento di popolo, di interessi, di sentimenti, di speranze, DOVRA’ trovare espressione in un’organizzazione politica.
È imprescindibile, è fatale, è auspicabile. Soprattutto è URGENTE.
Vecchi partiti o nuovi partiti? Vecchi simboli o nuovi simboli?
La partita è aperta e chi sarà più pronto avrà maggiori possibilità di essere più rappresentativo.
Bisogna lasciare giù le scorie e concentrarsi sul fuoco del problema: il futuro di un Paese che, forse unico al mondo, deve saper conciliare una manifattura industriale di assoluta eccellenza con risorse ambientali, culturali, turistiche, formidabili, il tutto in un sistema di welfare all’onor del mondo.
Gli asset, come si dice, sono unici, irripetibili, esclusivi. La loro valorizzazione è il nostro futuro.
Prima lo capiamo, meglio è.
Se poi vogliamo ancora discutere dell’art. 18, del reddito di cittadinanza o dei Direttori stranieri nei musei, facciamo pure. Saremo protagonisti del più colossale harakiri della storia dell’umanità.
Io, che amo la vita, mi dissocio.
Nei ruggenti anni sessanta qualcuno diceva: “Fermate il mondo, voglio scendere!”
Scendere non si può e forse non si deve nemmeno, ma darsi da fare è un obbligo.
Coraggio!
Ripartire con una proposta politica.” La nuova resistenza ” è già in movimento?Forse.Speriamo.Ma,come dice Trotta,citando la nostra Costituzione, “DOVRÀ trovare espressione in un ‘organizzazione politica “.il che,anche per me,è imprescindibile è URGENTE. Ora davvero “darsi da fare è un obbligo “