Caro Sergio,
La prefazione di Patria 1967-1977 di Enrico Deaglio che mi hai mandato basterebbe da sola a suscitare l’interesse di chi, come me, ha una profonda stima di quelli che sono stati gli anni Settanta, sia come periodo di forti e sentite mobilitazioni (sia estremistiche che dei partiti di massa), sia da un punto di vista socio-culturale.
Ma lo spunto per cui scrivo non riguarda lo ieri, bensì l’oggi rapportato a questo ieri. Credo anche io come Deaglio che ci sia una profonda (direi grave) snobbatura di quelli che sono stati quegli anni e, più in generale, della storia recente, ridotta spesso nelle aule come un susseguirsi di eventi cui i prof hanno assistito (il famoso “Io c’ero”) e che, pertanto, vengono tagliati dai programmi.
Personalmente sono stato fortunato: tra una prof che in terza media ci porta col programma fino all’entrata dell’euro nel 2002, tra un prof che in quinta liceo riesce almeno a sfiorarli quegli anni Settanta, tra un corso del primo anni di storia economica che riesce a trattare gli sviluppi degli ultimi decenni, posso dire di avere acquisito un minimo di consapevolezza su ciò che è avvenuto qualche tempo fa. Ma allo stesso tempo sono un’eccezione, perché l’indagine storica mi è sempre piaciuta!
Il problema è che la mia fortuna deriva da casi particolari. Oggi girare in metro con un libro sottobraccio non fa più figo come 40 anni, e ci può anche stare. Il problema sta a livello scolastico, con tutte quelle resistenze a concludere i programmi di storia con la seconda guerra mondiale, un po’ come quando ai vostri tempi si arrivava a Vittorio Veneto o poco più in là. Le stesse resistenze che vogliono, ad esempio, far finire la letteratura italiana con Luigi Pirandello o Eugenio Montale, come se ciò che venne dopo non fosse degno di nota.
Il risultato è che molti di noi ragazzi escono dalla maturità da maturi solo sul diploma, senza avere una minima idea su cosa siano stati gli anni di piombo, senza sapere che nel 1970 abbiamo rischiato il colpo di stato militare, senza capire come mai ad un certo punto al posto di Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano ci siamo ritrovati con Forza Italia, la Lega, L’Ulivo o il MoVimento 5 Stelle, senza capire perché Unione Sovietica e Jugoslavia scompaiono dai radar, senza comprendere perché caduto il Muro ed eretti i trattati di Maastricht l’Europa non è più la stessa, nel bene e nel male. Per noi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono solo due magistrati uccisi dalla mafia perché scomodi e oggetto di interesse solo nel giorno dell’anniversario. Idem per quella mente acuta ed anticonformista che è stato Pier Paolo Pasolini.
Mi ricordo perfettamente cosa diceva il nostro prof di storia e filosofia in quinta liceo, mentre commentava un’interrogazione: «Voi dovete mettervi in testa che a noi insegnanti di una certa età la storia piace molto; se voi non sapete neanche quel minimo di fatti storici che sono fondamentali e sparate scemenze – come quello che l’anno scorso diceva che la vita di Adolf Hitler cambiò quando si iscrisse al Partito Comunista [sic!] – fate delle figuracce davanti a tutti come persone, perché da lì capiamo con chi abbiamo a che fare. Un errore sullo studio di funzione lo nota solo l’insegnante di matematica, un errore sulla fine della seconda guerra mondiale lo notiamo tutti».
Frase del 2015. Due anni prima, tre concorrenti de L’Eredità sbagliavano, su una scelta tra quattro date, l’anno dell’elezione a cancelliere di Hitler. Stiamo vigili davanti 6a questo oblio: oltre a perdere co-scienza delle cose rischiamo di perderne la conoscenza (la scienza appunto).
Un abbraccio.
Manuel Tugnolo
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