Il mio lunedì 19 luglio se n’è andato dietro agli anniversari. Non ero a Genova, non ero a Palermo, ero a casa, con la televisione e la radio. Nel pomeriggio, il tg di Sky ospitava Roberto Castelli, ministro della giustizia dal 2001 al 2006 (uomo cui devo molto), e con lui Riccardo Noury presidente di Amnesty e Giovanni Mari, giornalista allora e oggi del Secolo XIX, e autore di “Genova vent’anni dopo” (People). Castelli visitò il lager di Bolzaneto di notte, notò “una decina di giovani uomini e una donna in piedi con le mani poggiate sul muro”, uno dei suoi gli spiegò che era una misura necessaria per impedire che gli uomini infastidissero la ragazza. Più tardi, “a mente fredda”, Castelli trovò che quella spiegazione fosse “un po’ strana”. Lo ascoltate per tre ore dire questa e simili cose alla commissione parlamentare su Genova, il 6 settembre del 2001. Dove disse anche, argutamente, che stare in piedi a gambe larghe e mani in alto sul muro (e teste sbattute contro il muro, questo non lo disse) non era poi una gran sofferenza, dal momento che i metalmeccanici stanno per 35 anni in piedi a lavorare. Disse che aveva trovato tutto normale. Che tutt’al più c’erano state “attese superiori al normale”, “momenti di concitazione”. L’ha ripetuto, balbettato, lunedì, vent’anni dopo, quando a documentare che cosa era successo avevano provveduto tribunali di ogni grado e ribadito, col nome di torture, la Corte europea dei Diritti dell’uomo nel 2017. Gli altri intervistati se ne vergognavano per lui.
Di sera, un’ora speciale di Sky ospitava Scaiola, nel 2001 ministro dell’interno, Agnoletto, Bonini di Repubblica ed Enrico Zucca, oggi procuratore aggiunto a Genova, allora P.M. del processo per la notte della Diaz, persona cui ogni cittadino dev’esser grato. Scaiola ha rivendicato come tempestivamente all’indomani dei fatti fossero stati rimossi alti e prestigiosi dirigenti della polizia, fra i quali Ansoino Andreassi e Arnaldo La Barbera. Agnoletto gli ha ricordato, e Zucca si è limitato a confermare, che Andreassi era stato l’unico a obiettare all’impresa della Diaz. Sul nome di La Barbera sono passato a Rai 3, che aveva una puntata di Report sulla cosiddetta trattativa stato-mafia, e in quel momento citava La Barbera. Che a Genova 2001 era a capo della polizia di prevenzione e fu fautore dell’irruzione alla Diaz. Quando morì nel 2002, a 60 anni, per un tumore, dopo aver attraversato un intero cursus honorum nella polizia, questore, prefetto, e nei servizi segreti, fu commemorato per l’impegno contro il crimine e la mafia come “una leggenda”, appena macchiata dall’incidente genovese. Ancora qualche anno, e si sarebbe provato che era stato il principale costruttore della falsa confessione del “pentito” Vincenzo Scarantino, “il più mostruoso depistaggio della storia italiana”, sconfessato nel 2008 dalla veridica confessione di Gaspare Spatuzza. Nel 2001, mentre si svolgeva la macelleria messicana, erano in galera da anni per la strage di via D’Amelio persone completamente estranee, e ci sarebbero rimaste altri anni. Così, da un canale televisivo all’altro, dall’anniversario di Genova 2001 a quello di Palermo via D’Amelio 1992, c’è un’aria di famiglia, di piccolo mondo antico e incrollabile. Casi comunicanti.
La notte l’ho passata con Radio Radicale, che trasmetteva un’intera sequenza di registrazioni di Paolo Borsellino, dalla prima al CSM in cui spiegava come lavorava il procuratore capo di Marsala, luogo strategico per Cosa Nostra di Castelvetrano e Catania (“per disporre di almeno una pattuglia notturna mi sono dimezzato la scorta”) fino a quella in una manifestazione di Micromega in memoria di Falcone, venti giorni prima di via D’Amelio. Ascoltare quella sequenza era come assistere a una Passione, con il commiato finale di un uomo che si diceva già morto.
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Amen!! dicono che Dio sia grande e misericordioso e perdona tutti, anche coloro che non si sono mai “ sentiti coinvolti”durante il cammin di nostra vita nei fatti della stessa. Buona giornata a chi legge Antonio De Matteo Milano