“I cerchi magici vanno bene per la Lega di Salvini e di Di Maio. Nel Pd i cerchi magici producono danni molto gravi. Il Pd ha bisogno di un gruppo dirigente nuovo, ma anche di rispetto per chi ha fatto la storia del partito. Ci sono tanti giovani che meritano di emergere e che debbono poterlo fare non perché qualcun’altro è stato rottamato, ma perché la selezione si è fatta più democratica.”
Qui di seguito il resto del meraviglioso intervento di Luigi Zanda apparso su Il Foglio del 13 settembre. Tutto da condividere, dalla prima all’ultima parola.
Sergio
La tragedia di Genova e il dramma della nave Diciotti dicono molto sui rischi che stanno correndo i principi cardine del nostro ordinamento e dello Stato. Vietare l’attracco in un porto italiano a una nave militare italiana, il fermo illegale in alto mare di 150 profughi e la volgarità dell’avviso di garanzia esibito sulla parete dello studio del ministro dell’Interno, mostrano quale sia la concezione del potere non solo di Salvini ma anche di Di Maio che ne condivide le responsabilità politiche.
Dovrebbero adempiere le loro funzioni con “disciplina e onore” (art. 54 della Costituzione). Al contrario, quel loro collocarsi sempre al di sopra delle leggi, mostra la volontà di spaccare la società italiana, dividendola tra chi la pensa come loro e chi la pensa diversamente da loro. Il principio che le responsabilità, anche le più infami, si accertano secondo le regole del diritto non vale solo per i cittadini ma soprattutto per lo Stato. Quando un governo non accetta la sovranità della legge, vuol dire che sta muovendosi verso un regime.
Orbán, l’asse con Visegrad e l’adesione al movimento di Steve Bannon, non testimoniano solo la volontà di alterare la collocazione internazionale dell’Italia utilizzando le prossime elezioni europee per distruggere l’Unione Europea. Segnalano il tentativo di cambiare la natura della nostra società, condizionare la libertà di stampa, disconoscere l’autonomia dei giudici e umiliare la scienza. In una parola, arrivando a toccare quei principi supremi della Costituzione per i quali è persino interdetta ogni revisione. Anche il crollo del ponte Morandi continua a insegnarci molto. Mostra la debolezza e l’assenza dello Stato. Da tre o quattro decenni, la mancanza di una efficiente struttura dello Stato è la più grave anomalia dell’Italia. Pesa sulle libertà, sui servizi ai cittadini, sull’economia. Quando il procuratore di Genova dice che il nostro Stato ha abdicato alla sua funzione di controllo, sta osservando qualcosa che va oltre Genova e il crollo del ponte. Parla di un capovolgimento di ruoli, per cui colossi finanziari e industriali soggetti al controllo pubblico prevalgono, per la loro forza, su controllori pubblici privi di capacità tecniche e forza contrattuale. Il punto non è tornare alle nazionalizzazioni di Di Maio, né demonizzare le privatizzazioni o, peggio, la concorrenza. Tutti rimedi peggiori del male. Ma la concorrenza, le privatizzazioni e le concessioni sono virtuose solo con uno stato regolatore efficiente, che sa scrivere atti di concessione equi, imporre i controlli e sanzionare gli errori, vigilare, costringere anche il più potente dei concessionari alle sue responsabilità. Quando lo stato non c’è o non ce la fa, tutto può accadere. Anche Genova.
Contro il ministero della democrazia diretta
Occuparsi di ridare forza e dignità allo Stato è un lavoro lungo e difficile, certosino. Fatto non solo di ingegneria istituzionale e amministrativa, ma anche di formazione e selezione di tecnici di eccellenza, di investimenti in tecnologia e di buone remunerazioni, di creare spirito di corpo, di garanzia di autorità e autorevolezza. La maggioranza che oggi governa l’Italia non ha né la voglia, né la cultura necessari per affrontare un’impresa che ha bisogno di tempi medio-lunghi e non ha alcuna prospettiva di un ritorno rapido di immagine. Ma oggi, sul senso dello stato, e sull’efficacia delle sue strutture si sta giocando molto del futuro dell’Italia. Per chi ha la storia del Partito Democratico, per tutte le forze di centrosinistra, la difesa dello Stato deve essere una priorità politica assoluta, da sventolare in alto e non abbandonare mai. Per questo mi ha molto colpito l’indifferenza con la quale, anche nel Pd, è stata accolta la comparsa nel governo di un ministro per la “democrazia diretta”.
Il progetto, ridotto all’osso, vuole rendere inutile il Parlamento per sostituire ogni mediazione democratica con il rapporto diretto tra il capo carismatico e il popolo. Il sistema istituzionale italiano è da tempo in grave crisi e da decenni discutiamo di riforme istituzionali, di presidenzialismo e di semipresidenzialismo, di monocameralismo, di federalismo. Dobbiamo saper affrontare senza tabù anche le sfide che le nuove tecnologie pongono alle democrazie. L’intelligenza artificiale e l’automazione costringeranno molte persone a reinventarsi la vita. Non è pensabile che le istituzioni non vengano investite dal cambiamento.
Ma non in questo modo. Non sulla base di un algoritmo della piattaforma Rousseau di Casaleggio. E’ indecente che sia il governo a proporre una nuova democrazia plebiscitaria di stampo neoperonista e lo faccia con tanta superficialità, pochezza di argomenti, bassezza di intenzioni. L’Italia ha bisogno di rinnovare la democrazia rappresentativa, non di abolirla. Renderla più democratica, non buttarla nelle mani di un’azienda specializzata sul controllo del web.
Come è possibile che la politica e la cultura italiana siano così rassegnati agli attacchi alla democrazia rappresentativa, da non reagire nemmeno quando viene istituito un Ministero con il compito esplicito di distruggerla? Un silenzio imbarazzante. Nel 1945 l’Italia ha conquistato la democrazia. Ma la sua durata non è automatica. Se la democrazia non viene difesa, se si consente che venga compressa e soffocata, muore.
Grillo è schietto e il suo pensiero è chiaro. Nel 2013 ha detto che avrebbe aperto il Parlamento come una scatola di tonno. Ha vinto le elezioni e lo sta facendo. Poi ha annunciato un referendum alla settimana e, assieme a Casaleggio, ha previsto il superamento della democrazia con un Parlamento non più di eletti, ma di sorteggiati. Sarebbe un errore tragico immaginare che stiano scherzando. Grillo e Casaleggio sono i capi del primo partito italiano e stanno muovendosi, apertamente, verso un progetto neoperonista. In questo contesto di debolezza dello Stato, le difficoltà del Pd pesano sul futuro del Paese. Il crollo elettorale e i sondaggi stanno convincendo tanti che nel prossimo futuro Lega e 5 Stelle siano destinati ad essere gli unici protagonisti della politica italiana. Le origini della crisi del centrosinistra sono lontane. Ma, se parliamo del Pd, dobbiamo partire dal risultato elettorale del 4 marzo e dalle dimensioni e profondità del terremoto politico che ne è seguito. L’astensionismo che supera stabilmente il 30% è un dato spesso dimenticato, ma preoccupante. Poi ci sono gli altri numeri. Importanti. I sondaggi e gli umori della gente dicono che la somma del Pd e LEU (tuttora antagonisti!), non arriva al 20%. Insieme, Lega e 5 Stelle superano il 60% di chi va a votare.
Difendere lo stato senza ipocrisie
Questi numeri sono il punto da cui partire. Mostrano come il futuro del Pd non riguardi solo il Pd, quanto la sorte e la tenuta dell’unico soggetto politico che nel futuro prossimo può far respirare la democrazia italiana. Non sono le percentuali, ma è la forza della cultura politica del Pd che ne fa il principale obiettivo degli insulti di Lega e 5 Stelle. Sanno che oggi solo dal Pd può venire una seria opposizione al loro disegno di trasformare la nostra democrazia rappresentativa in una sorta di neoperonismo, lo stato di diritto in un porto franco a disposizione di chi governa, di incattivire la società per poterla meglio usare. Sul futuro del Pd circolano molte idee. E’ probabile che nel futuro delle democrazie finiranno col prevalere aggregazioni plurali, ma la loro sintesi non potrà che avvenire intorno a grandi principi comuni. Ma, sia se pensiamo alla rifondazione del Pd, alla quale anch’io sto pensando, sia a un fronte repubblicano, sia a un progetto di stampo francese alla Macron, o spagnolo alla ciudadanos, il centrosinistra italiano non potrà mai fare a meno di un “centro di gravità permanente” che funzioni da spazio aggregante, da “campo base”, da cui ripartire. Per ragioni elementari di logica politica, oggi il Pd è l’elemento indispensabile di qualsiasi di questi progetti.
Il prossimo congresso del Pd non risolverà ogni problema. Ma senza il Congresso è impossibile ripartire. Sulla data c’è poco da dire. Va fatto al più presto. Se si tardasse, al posto di un congresso politico potrebbe capitare di dover convocare un convengo di reduci. Serve invece un congresso vero, che affronti la natura del Partito, ne affermi la linea politica, ne definisca le ambizioni. Con candidati veri, senza finti unanimismi. C’è l’annuncio della candidatura di Nicola Zingaretti che sarà confrontata con le altre che verranno, ma che va apprezzata per il coraggio con cui l’ha anticipata. In vista del congresso è stato posto il tema della continuità e della discontinuità in un modo che francamente non capisco. Che partito saremmo se non capissimo che la vita di un grande partito è fatta insieme di continuità e di discontinuità? Il Pd eleggerà un nuovo segretario che guiderà il partito con la sua personalità e il suo stile. Così segnando una discontinuità necessaria. Ma, ripeto, che partito saremmo se non cercassimo anche una forte continuità nei principi fondanti della nostra azione politica? Oggi per il Pd la continuità sta nel rafforzamento dell’Europa e nella lotta ai sovranismi, nella difesa della democrazia, del senso dello Stato, delle buone politiche sociali, economiche ed ambientali, della scuola e delle scienze. Nella difesa dei diritti e nella conferma doveri. Rivendico il lavoro delle senatrici e dei senatori nella passata legislatura.
A partire dal 2011 il Pd ha fatto scelte politiche di cui tutti ricordano le ragioni, a cominciare dal sostengo al governo Monti, poi proseguito con Letta, Renzi e Gentiloni. Maggioranze anomale e innaturali, pagate anche elettoralmente. Ma senza il lavoro di quei governi e delle loro maggioranze, l’Italia avrebbe corso avventure molto rischiose sia economicamente che politicamente. Oggi possiamo dire che in quegli anni, nella violenza della crisi e nell’assoluta irrilevanza internazionale dell’Italia, il Pd ha contribuito a salvare il Paese da un fuorigioco molto più pericoloso di quello della Grecia. Pensando al futuro del Pd bisogna partire da tre dati storici, indiscutibili. Primo. L’organizzazione territoriale del partito è a terra. Bisogna ricostruirla perché un partito deve avere una struttura forte. Secondo. Il Pd ha raggiunto un pericoloso isolamento politico, senza più forti alleati né al centro né a sinistra. Il tempo della vocazione maggioritaria tornerà. Ma oggi per vincere al Pd servono rapporti leali non solo con i partiti vicini, ma anche con le associazioni di cittadini, di lavoratori e imprenditori, con il mondo intellettuale, con la scuola e la scienza. Serve un rapporto laico e serio con le tante sensibilità religiose che animano in profondità la società italiana. Terzo. Dopo le elezioni europee del 2014 siamo riusciti a dissipare il più grande patrimonio di consenso che un partito di centrosinistra avesse mai raccolto in 70 anni e, conseguentemente, abbiamo perso tutto. Grandi e piccole città. Regioni strategiche. Referendum ed elezioni politiche. Molte di queste sconfitte sono state più di una battaglia persa. Sono state delle vere e proprie umiliazioni politiche. Alcune potevamo evitarle anche solo presentandoci agli elettori con meno presunzione.
Le radici della sconfitta del 4 marzo
Il risultato del 4 marzo non è stato improvviso. Seguiva molte sconfitte, determinando un trend che non si invertirà se non saremo capaci di comprendere le ragioni per le quali tra il Pd e vasti pezzi del suo elettorato c’è stata una frattura. Le liste dei candidati del Pd per il 4 marzo sono state definite con modalità molto discutibili. Ma la pesantezza della nostra sconfitta ha cause più profonde.
E’ stata una sconfitta politica. Abbiamo perso perché dopo più di 15 anni di stagnazione e di recessione, i buoni risultati di cinque anni di governo non sono bastati. E’ mancata la capacità di dare una prospettiva positiva, è mancata una voce politica che sapesse dare agli italiani una speranza per il futuro. I nostri governi c’erano, con le loro tante luci e le loro ombre. Ma il Pd non c’era. Senza un partito capace di riflessione e di azione, sono mancate l’analisi e le risposte ai bisogni e ai cambiamenti della società. E’ così che le parole d’ordine dell’antisistema hanno preso il sopravvento. Il Pd non è riuscito a spiegare perché la salvezza dell’Italia può essere solo nell’Europa, perché lo sviluppo si ottiene col lavoro e non con l’assistenza, perché le migrazioni debbono essere gestite e non negate. Al segretario del Pd serve un carisma speciale. Il Pd ha bisogno di una guida che sappia dirigerlo con la forza della linea politica, non con gli scatti della sua personalità. Il segretario deve saper guardare al mondo, all’Italia e soprattutto all’Europa. Pensando alla pace e all’equità sociale. Deve assumersi un impegno organizzativo molto forte. Coltivare le alleanze politiche necessarie per vincere. Occuparsi delle elezioni nel più piccolo dei comuni come di quelle politiche nazionali ed europee. Amministrare con rigore le finanze del partito. Al Pd serve un segretario che cerchi l’unità del partito e si impegni a consultare soprattutto i giovani. Che risponda a chi lo chiama, che accetti ed anzi ricerchi il contraddittorio con chi non la pensa come lui, che ascolti i suoi amici, ma non si accontenti e cerchi di averne sempre di più. I cerchi magici vanno bene per la Lega di Salvini e di Di Maio. Nel Pd i cerchi magici producono danni molto gravi. Il Pd ha bisogno di un gruppo dirigente nuovo, ma anche di rispetto per chi ha fatto la storia del partito. Ci sono tanti giovani che meritano di emergere e che debbono poterlo fare non perché qualcun’altro è stato rottamato, ma perché la selezione si è fatta più democratica. Tra febbraio e marzo il Pd farà il suo congresso e avrà un nuovo segretario eletto con le primarie. Il successo del congresso non riguarda soltanto il Pd. Può diventare il punto di forza della difesa della nostra democrazia parlamentare, delle funzioni dello Stato, della lotta ai sovranismi in nome dei valori dell’Unione Europea.
2 Comments
Caro Sergio,
difficile non concordare con quanto scritto da Luigi Zanda. Rimangono, tuttavia, a mio avviso, ostacoli grandi come macigni sulla via di una rifondazionde del PD, o di qualunque altra soluzione si voglia prospettare, ed è dalla rimozione di alcuni di questi macigni che può cominciare un percorso non effimero, che non riproduca, cioé, alla fine, una situazione analoga a quella da cui vogliamo uscire.
Un partito nuovo deve, intanto, separare le funzioni di segretario da quelle di presidente del consiglio,oggi previste da uno statuto pensato per il maggioritario. Niente vieta, se vi fossero le condizioni politiche, di unire le due figure, ma non per statuto (che tra l’altro crea la ridicola situazione di indicare un presidente che non ha i voti in un sistema proporzionale). Occorre infatti ripristinare la dialettica, sana, tra partito e governo, altrimenti in nome dell’efficienza dell’azione di governo uccidiamo il soggetto che questa azione deve ispirare, stimolare, correggere, controllare, trasmettendo le istanze che deve essere in grado di interpretare. Se vogliamo un partito, dobbiamo dargli forma e non pretendere che si riunisca e voti per eleggere il leader e basta. Quindi, occorre sciogliere il nodo delle primarie. Anche qui, queste sono nate come investitura di un leader (Prodi, Veltroni) già scelto nella sostanza. Uno strumento utile in quel contesto, ma oggi potenzialmente dannoso perché limita la discussione sul programma concentrandolo inviabilmente sulle persone. Ovvio che ogni segretario interpreterebbe il suo ruolo in modo diverso, più o meno inclusivo, ma non è questo il punto. il punto è che sarebbe utile, in questa fase, un congresso nel quale si discuta delle tesi, dei programmi, delle priorità, e poi si arrivi a una votazione che dovrebbe avere delle regole certe: aprirsi alla società dei non iscritti può essere un buon segnale, ma noi abbiamo anche bisogno di un segretario, e di una classe dirigente, scelta sulal base di un programma discusso nel modo più ampio possibile, e non appiatito sulla scelta del leader da demanare all’esterno. Sto ricordando quanto già avvenuto, non descrivendo scenari astratti. Quanti votanti alle primarie degli ultimi anni sanno per quali programmi hanno votato, o hanno votato sui programmi e non sulle persone?
Queste sono considerazioni aggiuntive al discorso di Zanda, non in contraddizione, credo. Certo, sono osservazioni molto parziali, che non vanno al cuore del problema, ma fare tesoro del passato, darsi un metodo limpido, che prenda atto della mutata situazione e del dramma nel quale ci dibattiamo, mi pare utle.
Quindi, occorre parlare di programmi; e qui dobbiamo essere molto coraggiosi. Ha ragione Zanda nel ricordare che dobbiamo rivendicare quanto di buono è stato fatto. E mostra coraggio e senso dello stato nell’includere i governi da Monti a Gentiloni, dato che questo è stato negato troppo frequentemente da noi stessi, come se il PD non ci fosse, o fosse appunto un altro PD da distruggere. Ma compiuto questo doveroso esercizio di lealtà e verità, dobbiamo guardare solo al futuro, e indicare alcuni temi e problemi che debbono essere fondanti, non solo enunciarli, ma anche riempirli di contenuti e fatti, ma anche di ideali e obiettivi che aprono orizzonti, di cui essere orgogliosi come cittadini responsabili.
Mi viene in mente uo splendido romanzo di Chales Dickens, Hard Times, nel quale lo scrittore sferza con spietata ironi ,l’insegnamento fondato sui “facts”, imponendo ai giovani studenti di non sognare, di non avere fantasia, ad esempio punendoli se vanno sbirciare fra le tende di un circo. Ecco, gli 0,virgola vanno bene, ma possiamo sognare un mondo nel quale i Salvini tornino a essere minoranza, soprattuttoper le loro idee e valori? E come è fatto questo mondo? Magari di una scuola riformata nei programmi, con insegnanti pagati dignitosamente, con strutture adeguate, nella quale investire 10 miliardi nell’arco di una legislatura? un mondo nel quale i contratti basati sullo sfruttamento, come quelli dei call centers e dei delivery boys vengano regolamentati adeguatamente? un mondo nel quale si riconosca che dobbiamo investire nella integrazione dei migranti, attraverso la scuola, l’avviamento al lavoro, la creazione di condizioni di vita decenti per quelli che vengono accolti? I numeri sono importanti, certo, anche qui, purché non servano a violare, negare, i principii; un mondo nel quale l’ambiente e i beni culturali ricevano fondi veri, siano centrali anch’essi nella nostra vita quotidiana, oltre a essere macchine per soldi e per il turismo; che va bene, ma in una scala di valori che ne riconosca prima di tutto la insostituibile valenza cultural, edcativa, identitaria, civile; come se la chiesa vicino a casa, o l’anfiteatro romano nella campagna di Treia, possano essere fonti di reddito! Sono però la nostra ricchezza, ciò che ci fa il paese che diciamo di essere, e non siamo. Come sel problema degli Uffizi, o di altri musei, fosse di vendere qualche biglietto in più, e non attrezzarsi per far comprendere ciò che vi è custodito a chi non ha il privilegio di averli a casa propria. Per non parlare della libertà di stampa e di espressione, oggi in discussione e che pongono problemi molto complicati su cui dobbiamo riflettere.
Mi fermo perché più allungo la lista deglii esempi più si notano le omissioni, e il dilettantismo di chi scrive. Gli esempi servono solo a dare l’idea di ciò che noi dobbiamo rivendicare di essere, e questa volta senza avvitarci in rincorse verso modelli e contenuti che non sono nostri, o che possono essere declinati in modo diverso. Troppo spesso abbiamo rincorso improbabili voti con ricette non nostre, che non appartengono ai valori fondanti di una società quale diciamo di volere. E troppi non ci credono più, e forse hanno anche ragione. Tralascio anche il tema delle riforme istituzionali, che non sono in questo momento prioritarie, ma su cui dovremo pur dire una parola di chiarezza, presto o tardi, ad esempo impegnandoci a difendere la democrazia rappresentativa, come giustamente dice Zanda, ma dicendo che il nostro modello, proprio perchè crede nella appresentanza, deve guardare ai diritti degli elettori cittadini, riconoscendo il fatto che i parlamentari sono eletti (qualuqnue sia il sistema elettorale) e non scelti. Tra l’altro, questo è uno dei modi per selezionare, democraticamente, una classe dirigente; eliminiamo per favore questa ambiguità, che falsa prima di tutto la discussione interna al Pd, trasformandola in una resa dei conti permanente su chi compila le liste dei nominati.
Credo sia inutile che mi scusi per il tono a tratti retorico di questa email, che stupisce per primo me, e che non avrei scritto in anni passati. ma forse èbene che tutti abbandoniamo l’abitudine a proteggerci, meglio sembrare stupidi banali che disinteressati
Caro professor Guido,
Condivido quello che lei scrive e soprattutto l’ultima frase del suo intervento: “meglio sembrare stupidi e banali che disinteressati”
I’attuale momento difficile, (non drammatico come durante le guerre passate ) per la nostra società si può superare solo se tutti noi cittadini Italiani ci interessiamo dei problemi della nostra comunità, ma soprattutto gli intellettuali dovrebbero fare uno sforzo ed avanzare delle proposte concrete, come ha fatto il professore Guido e l’onorevole Zanda. Io penso però che le proposte debbano essere sintetiche e concrete e per questo faccio un esempio. Il nuovo segretario del PD non deve presentare un programma che per leggerlo ci vuole un mese ed un altro per tradurre poi che cosa vuol dire, ma 5 o 6. punti chiari e precisi da realizzare se va al governo il PD. Io voterei volentieri un segretario del PD che dica semplicemente queste cose:
1) Il partito democratico non è un partito di classe ma inclusivo dall’imprenditore all’operaio.
2 ) il lavoro è il nostro primo obiettivo e combatteremo imprenditori e finanzieri che hanno come obiettivo l’accumulo di ricchezze a scapito dell’occupazione.
3 ) Amplieremo il reddito di inclusione e per tutti coloro che perderanno il posto di lavoro, compreso gli imprenditori onesti, lo stato Italiano se ne dovrà far carico , economicamente e psicologicamente, fino a quando non troveranno un nuovo posto di lavoro compatibile con le proprie capacità.
4 ) Per ridurre il debito pubblico chiameremo tutti cittadini al di sopra di un reddito medio, che sarà stabilito, a contribuire di più.
5 ) difenderemo l’Unione Europea proponendo l’ esercito ed il fisco europeo .
6) controlleremo il flusso migratorio in modo che in Italia arrivino solo gli emigranti Che possiamo degnamente integrale
Caro Professore Guido e caro on Zanda le mie proposte forse sono veramente stupidate, ma così mi piacerebbe partecipare alle votazioni per il segretario del partito democratico. Anzi dirò di più : Io penso che un programma del genere potrebbe realizzarlo e rappresentarlo l’ex nostro ministro Minniti. Spero che nascano dei comitati a questo proposito ed io,sono pronto a dare il voto ad una persona, preparata, seria, riservata e determinata come l’onorevole Minniti. Io mi auguro di vedere su questo blog sempre di più proposte concrete al posto dei discorsi filosofici lunghissimi e difficilissimi da leggere ed interpretare e con questo augurio smetto di annoiarvi e vi auguro buona notte. Antonio De Matteo Milano