Per chi non lo avesse letto.
Cara sinistra, per guarire rileggi Turati – Massimo Recalcati
La malattia della sinistra italiana pare cronica e rivela radici antiche. Uno dei suoi sintomi maggiori è la spinta alla frammentazione, alla litigiosità interna che porta le sue diverse componenti a entrare in competizione tra loro e a lottare ottenendo l’esito fatale di indebolire la propria forza. La sua matrice non è tanto psicopatologica, ma pienamente politica: « Noi siamo spesso contro noi stessi, lavoriamo per i nostri nemici, serviamo le forze della reazione » . Chi parla così? Da dove provengono queste parole che sembrano scritte da un commentatore della crisi attuale della sinistra? Sono le parole che Filippo Turati pronuncia in occasione del congresso socialista del 1921, svoltosi a Livorno, dove si consumò la scissione dalla quale nacquero i comunisti italiani. Il discorso di Turati andrebbe oggi riletto per intero e meditato profondamente. Non tanto e non solo per la diagnosi e prognosi che esso formula con vera lucidità anticonformista sul destino fatalmente nefasto della rivoluzione d’ottobre, ma per l’elogio che egli compie dell’anima riformista della sinistra italiana in quel momento storico messa sotto accusa dalla tendenziale prevalenza dell’anima massimalista. Secondo Turati se si sceglie la via del riformismo si deve rinunciare alla violenza della rivoluzione.
Traduco e attualizzo a mio modo: l’opzione riformista per essere tale implica la castrazione di ogni miraggio utopico. Una delle ragioni che impedisce la costituzione di un campo unitario della sinistra non è forse dovuta alla prevalenza di una componente ideologicamente neo-massimalista che non riesce a cogliere il carattere necessariamente imperfetto, provvisorio e sempre migliorabile dell’azione riformista? La critica implacabile delle riforme varate dai governi Renzi e Gentiloni e la necessità di un cambio di rotta radicale e, ovviamente, inconciliabile con la direzione di quelle riforme sostenuta dalla sinistra radicale, ricalcano tutti i limiti politici del massimalismo. La storia è sempre la stessa: essere contro se stessi e lavorare per il nemico. Con l’aggravante, se posso esprimermi così, che il neo-massimalismo appare geneticamente imparentato con un profondo conservatorismo. Essere di sinistra significherebbe coltivare una concezione immobilista della propria identità, ribadire il valore di concetti, categorie, principi che appartengono al secolo scorso.
Il circolo è vizioso: il neo-massimalismo si nutre del conservatorismo e, a sua volta, il conservatorismo diventa una manifestazione estrema del neo-massimalismo. Si tratta, insomma, di un mostro a due teste. La rigidità politica del neo- massimalismo che considera ogni riforma inadeguata, incerta, compromissoria e ambigua deriva direttamente dal conservatorismo ideologico a sua volta combinato, non a caso, con un certo odioso paternalismo. È una combinazione micidiale (conservatorismo=paternalismo=massimalismo) che genera effetti altrettanto micidiali: l’utopia diventa una galera che impedisce di intervenire nella trasformazione effettiva della realtà. L’idealismo neo-massimalista implica sempre e unicamente la testimonianza della sua sconfitta. Non a caso il frazionamento politico a sinistra del Pd rivela il carattere elitario del narcisismo delle piccole differenze; ciascuno rivendica la propria maggiore coerenza ideale senza tener conto che nel frattempo il mondo è cambiato. Perché accade? Perché lo scissionismo è una malattia che affligge sempre più la Sinistra della Destra? Perché, appunto, la sua matrice è l’idealismo o, se si preferisce, la vocazione utopica del massimalismo. Nel nostro caso si tratta di una sinistra che resta agganciata a un paradigma teorico superato, che utilizza categorie che il tempo storico ha svuotato di senso e ha reso simili a carcasse spiaggiate.
La difficoltà per ogni uomo di sinistra — quale io stesso sono — è quella di elaborare un lutto compiuto di quel paradigma. Ma perché è così difficile? Perché la sinistra italiana ha avuto lo straordinario merito nella storia del nostro Paese di elevare la politica alla dignità di un poema collettivo. Esistono una simbologia e un immaginario densissimi che resistono al loro necessario superamento: l’eroismo e l’intelligenza di Gramsci, la bandiera rossa, la lotta di classe, la resistenza, l’antifascismo, le grandi conquiste sindacali, la contestazione del ’ 68, la battaglia contro il terrorismo e la difesa dello Stato democratico, il volto di Berlinguer e la sua testimonianza morale. Per l’uomo di sinistra questo patrimonio non può essere svenduto, né semplicemente liquidato. Esso mantiene una tale forza attrattiva che però può, purtroppo, far scordare che quella narrazione del mondo si è definitivamente esaurita perché il nostro mondo non è più il mondo del Novecento. Quando Matteo Renzi dichiara che il punto il riferimento ideale della sinistra oggi non è più Gramsci, Togliatti o Berlinguer, ma Obama non ci invita a cancellare il passato ma a incorporarlo per guardare avanti.
Lo strappo è forte: in gioco è la realizzazione di un lavoro compiuto del lutto. Non si tratta di cancellare la memoria di ciò che la sinistra è stata, del suo poema collettivo, ma di incorporare quella memoria senza volgere più il nostro sguardo all’indietro. Bisogna lasciare che i morti seppelliscano i morti. Fintanto che la sinistra non compirà questa operazione simbolica sarà destinata a ripetere la sua antica malattia diagnosticata lucidamente da Turati: « essere contro se stessi, lavorare per i nemici, alimentare le forze della reazione ».
La Repubblica, 28 novembre 2017
5 Comments
Caro Sergio,
molto interessante l’ analisi di Massimo Recalcati, che indaga con lucidità e acume i cosiddetti mali della sinistra, che sembrerebbero incurabili. Certo, ci fa sentire bene ritenere i nostri comportamenti buoni e giusti, come fanno i vecchi compagni (mi piace chiamarli così). Forse andrebbe ridefinito oggi il concetto di compagno, un’espressione che nei lontani anni ’70, quando mi sono iscritta al PCI, mi aveva emozionato e inorgoglito, facendomi sentire parte di una grande comunità che voleva cambiare il mondo. Quel desiderio di fondo è rimasto inalterato, un’utopia che profuma di giovinezza, di fronte alle palesi ingiustizie della nostra società, ingiustizie che iniziano dalla nostra collocazione iniziale, cioè da quando veniamo al mondo. Recenti statistiche (ma non ce n’era bisogno, lo sapevamo già), evidenziano come la riuscita scolastica appaia già molto divaricata tra chi nasce in una famiglia acculturata e benestante e chi invece si ritrova in una famiglia con pochi mezzi, non soltanto economici. Quindi per questa seconda “fascia” di persone il percorso si fa più arduo e gli ostacoli maggiori, anche se non insormontabili, una difficoltà che ovviamente si ripercuote anche nel mondo del lavoro. E’ per questa ingiustizia che si diventa “compagni” e poi si cessa di esserlo (a volte succede) quando quelle disparità iniziali si sono attenuate? Oggi è innegabile che un certo benessere è più diffuso, e le sirene del capitalismo (quello esiste ancora) rendono tutti meno propensi al sacrificio e all’accettazione di una esistenza modesta (anche se nobilitata da quell’aggettivo “dignitosa” che sinceramente mi ha sempre dato fastidio). Il “poema collettivo” di cui parla Recalcati, come tutte le creazioni cariche di simboli che affondano nel profondo del nostro essere e che rimandano alle passioni che hanno accompagnato buona parte della nostra vita, sono difficili da estirpare. Io paragono questo distacco necessario al processo di maturazione che accompagna anche la nostra vita sentimentale, quando il concetto di “donna ideale” o di “uomo ideale” viene sostituito da quello di un amore in carne e ossa, meno idealizzato ma più vero perché accettato e compreso con i suoi difetti e le sue mancanze, che sono poi anche le nostre.
E può darsi che un giorno, come succede in quella scena di un film di Chaplin, dove un camion con un grosso carico contrassegnato da un pezzo di stoffa rosso perde quel pezzo di stoffa e Chaplin, che passa di lì, lo raccoglie e in un attimo dietro di lui si forma un corteo bellicoso, può darsi dicevo che un giorno quel pezzo di stoffa avrà di nuovo un significato importante per altre generazioni.
Recalcati esprime molto bene il concetto di elitarismo che connota la sinistra che giudica e condanna il renzismo, quando parla di narcisismo delle piccole differenze.
Ti abbraccio
Grazia
Illuminante l’analisi di Recalcati, molto realistico il commento di Grazia.
Io vorrei proporvi un ulteriore passo avanti nella direzione indicata da entrambi.
“Castrare il miraggio utopico” è un concetto davvero molto pesante, nel senso che sembra andare contro le legittime aspirazioni ideali, tipiche della sinistra, cresciuta nell’attesa del “sol dell’avvenire”.
Non è così, a mio modesto parere.
Castrare non significa uccidere, significa sterilizzare; l’utopia resti nel nostro sentire, ma non produca o guidi le nostre azioni politiche, che invece vanno indirizzate al progressivo miglioramento della realtà esistente, compatibilmente con le condizioni date.
Il nostro compito non è più solo rappresentare o promuovere le classi disagiate, ma governare un’intera società, pur con una esplicita propensione programmatica verso la riduzione delle differenze socio-economiche, verso l’uguaglianza dei punti di partenza, verso la valorizzazione del merito individuale, …
In questo contesto l’importante non è tanto recuperare i voti degli scontenti, degli esclusi, degli emarginati, quanto quello di agire in loro favore, in un quadro di generale sviluppo della società.
Non è un fumoso discorso tardo-democristiano, ma è l’essenza del riformismo.
Guardare più lontano dell’immediato consenso dei votanti tradizionali, traguardando un miglioramento del quale dovranno godere anche loro in tempi ragionevoli.
L’importante insomma è prendere voti a sufficienza per governare ed attuare il programma, anche se quei ceti ci voteranno contro.
D’altronde, dove si è mai visto che delusi, scontenti, disagiati, oppure giovani idealisti, arrabbiati, estremisti, possano votare una qualsiasi forza di Governo, foss’anche di sinistra? Essi staranno sempre con l’opposizione, e bisogna farsene una ragione, nel LORO interesse.
Ripeto una cosa che ho già scritto: compito di una sinistra riformista è CANTARE E PORTARE LA CROCE.
Bisogna essere bravi a caricarsi le responsabilità sulle spalle, anche in mezzo alle critiche del mondo che ci è vicino, e contemporaneamente declinare un programma di governo attuabile, reale, che possa aggregare una maggioranza relativa di elettori ed una conseguente maggioranza parlamentare.
Insomma, “partito di lotta e di governo” è uno slogan suggestivo, ma è privo di consistenza politica.
La società cambia se la governi.
Solo se e quando ti capita di restarne fuori (se perdi le elezioni), potrai dedicarti alla lotta necessaria per recuperare la capacità operativa, previo il piccolo dettaglio che prima o poi DEVI tornare a vincere le elezioni, se non vuoi essere irrilevante.
E’ dura la vita del riformista, ma almeno dà la consolazione di vedere qualche reale miglioramento.
L’utopia scalda i cuori, ma lascia le cose come stanno.
Cantare e portare la croce! Sì è vero. Da che mondo è mondo questo è il destino della Sinistra. Non raramente le classi dominanti hanno utilizzato il sottoproletariato per schiacciare le aspirazioni di libertà e di uguaglianza. Non sempre ma spesso le classi più deboli e meno coscienti sono cadute nel tranello. Però per meglio cantare e più agevolmente portare la croce è importante avere nel cuore l’utopia!
Caro Bobo,
ho letto Recalcati che scriveva anche sulla tua Unità e mi sembra importante c he rivisiti le situazioni che hanno portato alle vittorie della destre nel primo novecento.
Seguo le ultime vicende Politiche Governative e…sudo freddo. Mi sovviene il discorso di Napolitano prima dell’insediamento di Monti e le sedute del Parlamento della Repubblica da Lui giustamente rimproverate per la situazione di assalto alla diligenza del Quadro Politico che personalmente ritengo di poter chiamarlo dopo la bocciatura Referendaria “Sistema” inteso in senso Marxiano. Un sistema che dopo essersi prese le sberle di Napolitano corre a chiederle di rimanere per non rispondere delle vergogne. A un Partito che prima approva in direzione le proposte Referendarie e poi le vota contro per accaparrarsi i consensi sperduti nelle macchie di Leopardo. Un atteggiamento di vera e propria “Casta” oramai inglobata nel Sistema senza oneri rispetto alla Storia, i Principi che hanno reso grande la Sinistra. Sto cercando disperatamente un compagno che dica che erano scelte giuste (abituati a Vincere e ad essere coccolati da Media?), detto questo restano i fatti e le cose vere e importanti che le modifiche strutturali del Ref. Proponevano. Siamo seduti su una polveriere con il “nemico” rosso della Corea del Nord fa da Promoter dell’industria bellica, un gioco che piace da matti a Trump. Siamo un Paese che non è capace di fare un Sistema pensionistico che non gravi solo sullo stato come è in tutto il mondo Civilizzato per nutrire i meno abbienti in concorrenza con la Caritas. Che nutre fior di Casta con un sistema giudiziario con tre gradi di giudizio e mille scappatoie sulle proscrizioni. Che non è capace di modificarsi e fare regola condivise sugli aspetti Legali/Istituzionali per evitare che ad ogni delibera una ventina di pagine sia occupata da i Visto, Visto la Legge..,Visto il Decreto Ecc. al netto dai ricorsi al TAR. Che ogni decisione sia rimpallata tra due Camere. Che le viaggiano su terreni sconosciuti dalla maggioranza della Popolazione per fare gli affari suoi e i compromessi con le Lobby (previste dalla Costituzione?) oramai acquisite come interlocutrici alla faccia del voto e della Democrazia (un gonna oramai corta, tanto che la destra avanza anche per quello) se lo domandino i vari padri fondatori che hanno fatto le pulci al Referendum.
Detto questo cosa credi che siamo nelle mani del FMI e che ci sia qualcuno che ci perdona se l’Economia va indietro con il debito pubblico che ci ritroviamo?
Mi preoccupa il silenzio del PD al quale sono iscritto su queste questioni tutto teso a rimediare posizioni rispetto alla distribuzione del Reddito. Sono Renziano perché ha avuto il coraggio di muovere il problema. Spero che non lo dimentichi o peggio che lo cataloghi come un Errore Ciao e buon lavoro.
Gustavo Pasquali, Verona
Non ho mai letto Turati, pur avendo contezza della sua figura politica, e me ne dolgo. Faccio ammenda e vedrò di porre rimedio perché nella frase che di lui riporta Recalcati a mio avviso è condensato il significato di “sinistra” nel nostro Paese. Dico questo perché credo che la propensione all’autodistruzione sia stata, almeno fino a qualche anno fa, un’esclusiva tutta nostra, anche se ultimamente sembra essersi diffusa altrove. Ho molto apprezzato lo scritto di Recalcati e tutti i commenti postati. Al dunque io credo che si debba decidere cosa fare. Detto che certa “sinistra” non sarà mai capace di abdicare ai propri convincimenti, quelli fatti delle “parole d’ordine” e delle prese di posizione che appartengono al secolo scorso inoltrato per intenderci, dovremo gioco forza decidere di andare avanti senza di loro, e se loro ci “lotteranno” contro, pazienza. Lo vado ripetendo da un po’: il mio convincimento è che si debbano chiamare a raccolta coloro che hanno più capacità di PROPOSTA che di PROTESTA. E se in una coalizione di moderati, riformisti/progressisti, ci saranno anche liberaldemocratici di “centrodestra”, io dico SIANO I BENVENUTI! Ho già sostenuto, e lo ribadisco, che i governi Renzi e Gentiloni hanno avuto un alleato più LEALE in Alfano ed il suo gruppo che in Bersani e i suoi! La strada è questa, non cerchiamo sentieri tortuosi, e Pisapia deve farsene una ragione. A sinistra c’è molta più capacità di comprensione di quanto molti comunemente credano. Le “porcherie”, perché tali sono, fatte da quelli che io chiamo “i sinistri” i nostri compagni le hanno viste e capite, e non le perdoneranno! Si lavori ad un programma basato su pochi punti FONDAMENTALI e si sviluppino idee su come portarlo a buon fine. Non si possono accontentare tutti, gli scontenti ci saranno sempre, ma non dovremo mai dimenticarci che uno degli obiettivi fondamentali da perseguire deve essere quello di una maggiore e migliore equità sociale, da realizzare mediante una diversa, più giusta distribuzione della ricchezza del nostro Paese. Per farlo basterà applicare il principio costituzionale per cui “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” (art. 53)!