Da domani, martedì 12 gennaio, in tutte le librerie troverete il mio libro “Storia Sentimentale del PCI” edito da Piemme. Legata a questa uscita vi invio la recensione-intervista fattami da Paolo Griseri e pubblicata da Tuttolibri sabato scorso.
Per una volta Bobo scrive. Racconta senza ricorrere alle vignette, in un viaggio politico e di affetti attraverso i suoi primi 80 anni. La sua Storia sentimentale del Pci è in fondo quella di tanti militanti di quello che fu per decenni il principale partito dell’opposizione italiana. È anche la storia di un vignettista non ortodosso. Un racconto urticante e non nostalgico come al contrario farebbe temere il suo titolo. Un modo per fare il ritratto e dare la pagella ai tanti personaggi pubblici incontrati in molti anni di carriera.
Staino, satira e comunismo: un ossimoro?
«Certamente un ossimoro. Almeno nel comunismo realizzato, quello leninista. Del resto tutte le società fondamentaliste sono incompatibili con la satira. La satira la si accetta solo come propaganda politica contro l’avversario. Per la satira sana, quella autentica che nasce dal dubbio, non c’è spazio».
Detta da chi ha disegnato per anni sulle pagine dell’Unità può sembrare una contraddizione…
«E invece, in fondo, è una conferma. All’Unità sono arrivato relativamente tardi, quando le impostazioni originarie del comunismo erano di fatto venute meno. Al punto che sul giornale ufficiale del partito si potevano disegnare vignette che prendevano in giro il segretario».
Com’è nata l’idea del controcanto sul giornale del Pci?
«È partita come una sfida. L’allora direttore, Emanuele Macaluso, mi aveva proposto di collaborare. Ero molto titubante, anzi contrario».
Per quale motivo?
«Arrivavo dal partito maoista, il Pci (m-l). Per noi Macaluso, come gli altri miglioristi era l’emblema del cedimento alla socialdemocrazia, lo accusavamo di essere troppo debole con i socialisti».
Come fece Macaluso a convincerla?
«Io gli dissi che non avrebbe mai avuto il coraggio di pubblicare le mie vignette. E per dimostrarglielo ne mandai una decina una più indigesta dell’altra per l’ortodossia del Pci. Così, pensavo, ci togliamo il pensiero e non ne faremo nulla».
E invece?
«Sorprendendomi lui disse di sì. Accettò di avere sul giornale qualcuno che smontava la chiesa del Pci pezzo per pezzo. Perché, in fondo, Bobo metteva in chiaro i dubbi di molti iscritti al partito».
Il migliorista si mostrò migliore di quel che Staino pensava?
«Macaluso è stato il miglior direttore dell’Unità con cui ho avuto a che fare. Perché coltivava il dubbio. Su di lui e sulla posizione dei miglioristi la mia autocritica è totale. Penso che la loro posizione fosse l’unica possibile per ricucire la frattura nata nel 1921 con il Psi e far nascere in Italia un partito laburista».
Beh, una bella autocritica per chi aveva posizioni a sinistra del partito comunista cinese, come scherzava Paolo Villaggio…
«Sì, politicamente ho fatto una strada molto lunga. Da giovane ero affascinato dal comunismo della generazione di mio nonno. Era un misto di anarchia e riformismo. Mi colpì il giorno che teorizzò l’alternanza permanente: “Quando vinceremo le elezioni, io andrò all’opposizione. Ci vorrà pur qualcuno che critica il governo”. Il suo era un comunismo ribelle e pragmatico, nato negli anni della Resistenza. Aveva poco a che fare con Lenin, l’Urss e l’ala filosovietica del partito, con gli estremismi di Secchia e del gruppo di Radio Praga».
Perché nel Pci pochi denunciarono il regime sovietico? Non se ne accorsero? Non sapevano?
«Non credo. Almeno a livello di vertice molti conoscevano quella situazione. Penso che tacquero per opportunismo, per non turbare la base elettorale».
E Bobo? Quando si disilluse?
«Nel 1967, durante un viaggio in Urss. Ci rendemmo conto che qualsiasi domanda politica facessimo ai nostri interlocutori cambiavano rapidamente discorso e parlavano delle bellezze dell’Italia».
Anche con l’Albania di Hoxha andò in quel modo?
«I viaggi furono importanti ma decisivo fu il moralismo bacchettone del partito maoista. Mi stavo separando da mia moglie e avevo appena avuto un figlio con la mia nuova compagna. Una situazione quasi illegale per lo stato italiano di allora, inconcepibile per il partito maoista. Erano peggio dei preti».
Macaluso il miglior direttore. Il peggiore?
«Senza alcun dubbio D’Alema. E non solo come direttore dell’Unità, proprio come uomo politico. Non ha il senso dell’umorismo (e infatti da segretario si oppose alla direzione di Michele Serra) è afflitto da una megalomania patologica, ha difficoltà a comprendere la realtà politica».
Addirittura…
«Credeva di fare un risultato a due cifre in Puglia: non è andato oltre il 3 per cento. Si crede il più intelligente. Diciamolo, mi ricorda un altro».
Chi altri può ricordare?
«Ma naturalmente Renzi. Del resto non ci sarebbe l’uno se prima non ci fosse stato l’altro. Solo che Renzi è più cinico».
Bobo non ha mai avuto il dubbio di essere funzionale al Pci e al sistema che criticava? Una specie di lusso che ci si permette per salvare la baracca. Un “ruttino socialdemocratico” come diceva Dario Fo?
«Ah non penso proprio. In quel momento c’era poco da difendere. La mia era davvero una satira senza briglie, che faceva male. Il giorno dopo Tienanmen disegnai su Tango la vignetta con la bambina insanguinata e la scritta “Bel lavoro compagno Deng”. Non credo che fosse satira di comodo».
Qual è stato il suo rapporto con Dario Fo?
«È stato strettissimo. Lavoravamo bene insieme. Fino a quando non è stato attratto dal fanatismo populista. Lui come altri compagni a sinistra, penso, ad esempio, a Stefano Rodotà. Quanti ne ho visti passare di colpo dal sogno del sol dell’avvenire a quello delle manette. Tutti a inseguire i Grillo, i Travaglio».
Beh, Travaglio è di destra, come lui stesso ha sempre riconosciuto. Viene da lì, non ha molto a che fare con la storia della sinistra…
«Infatti, ma parecchi miei compagni lo hanno creduto. Ho visto paurosi sbandamenti, gente che improvvisamente si è messa a inseguire il giustizialismo dei magistrati alla Davigo».
Quando è cominciata questa deriva?
«La sera del Raphael, quando andammo davanti all’albergo di Craxi a tirare le monetine. Una scena che piacque molto, ricordo, a Nanni Moretti. Ecco, lì iniziò la deriva».
Prosegue ancora oggi?
«Certamente. Il populismo grillino è dentro il Pd. Quando vedo Zingaretti dire sì al taglio dei parlamentari penso alla scarsa qualità politica dei nostri dirigenti e credo che siamo arrivati al livello più basso da molto tempo».
La critica ai dirigenti non è nuovissima. Somiglia al grido di Nanni Moretti dal palco di piazza Navona…
«Ma Moretti criticava da fuori. È più difficile dire certe cose dentro il partito».
È stato mai censurato?
«Ah, no di certo. Ci hanno provato in tanti ma senza successo. Ci stava riuscendo Walter Veltroni il giorno che mi chiese di non pubblicare una certa vignetta. Stavo facendone una nuova quando mi richiamò: “Ho sbagliato a cercare di censurarti. Scusa”».
Un signore. È sempre andata così?
«No certamente. Ricordo l’aggressione di Natta al congresso di Rimini, quello in cui si decise di cambiare nome al Pci. Venne da me a dire. “Se siamo arrivati a questo punto è per quel tuo maledetto Tango”».
Aveva ragione?
«Sul momento gli risposi che mi dava troppa importanza. In fondo Tango era solo un inserto satirico. Poi, ripensandoci, credo che le mie vignette un contributo possono averlo dato».
Come resisteva Bobo alle richieste di censura dei dirigenti del Pci?
«Avevo un’arma formidabile: lo scandalo che sarebbe nato dentro e fuori il partito se mai si fosse saputo che avevo dovuto cambiare una vignetta. E ha sempre funzionato».
Bobo compie 80 anni. Che cosa resta oggi del comunismo?
«Spero nulla. Almeno del comunismo realizzato, quello che abbiamo conosciuto in Urss e in Cina, in Albania e a Cuba. Non si è salvato nessuno e non ne sento la mancanza. Certo umanamente fa male sapere che per quel comunismo sono morti tanti compagni. Ma il comunismo era la teoria della dittatura del proletariato, era quella che differenziava i comunisti dai socialisti. E io sono per l’alternanza democratica, non per le dittature».
Arrivati a una certa età si tende a perdonare. Lei si è ricreduto presto su Macaluso, che oggi elogia. Ci sarà un giorno in cui riabiliterà D’Alema?
«Ah, ah, non credo proprio. Sono quasi certo che morirò prima».
Paolo Griseri, tuttolibri, 9 gennaio 2021
2 Comments
Caro Sergio,
ho letto la tua intervista, non sapevo della tua appartenenza al piccolo partito comunista maoista , mi pare di capire che la tua militanza o collaborazione con il PCI iniziò già da adulto , più o meno a 28 anni , se posso senza fare quello che si crede di essere portatore dell’esperienza del PCI però posso dire che ci sia un “poco “di distanza tra te e altri che vissero per anni a criticare, “molto “ violentemente “ il pci , con accuse di stalinismo revisionismo traditore della classe operaia imborghesiti ecc ecc . Io ricordo bene questi atteggiamenti, erano gli stessi che poi portarono dal 68 in poi a vedere il PCI come “ traditore “ del comunismo e del proletariato. Potere operaio lotta continua ecc ecc . Scusa non è rivolto a te ma l’aria che tirava era quella, colpire i partiti del sistema la DC che era sempre al governo e i traditori del PCI …. L’ assalto a LUCIANO LAMA fu l’apoteosi che il nemico da abbattere era IL PCI ….. tutto il resto è storia tu sicuramente la conosci meglio di me . Perché scrivo questo breve passo , per un motivo principale, non abbiamo fatto la stessa esperienza, noi del PCI eravamo i CATTO COMUNISTI allo DON CAMILLO E PEPPONE , tu scusa eri già oltre il PCI in sostanza non avevi quello che la maggioranza di quelli che sono “ nati “ nel PCI sentivano come il SENSO DI APPARTENENZA, cosa oggi dimenata ma all’epoca era fondamentale, da li si arrivava sempre, anche dopo lunghe discussioni e critiche al famoso “ CENTRALISMO DEMOCRATICO “ , dove tutti diligentemente si adattavano per il bene dell’ unità del partito alle decisioni della maggioranza. Guarda che la mia non è una critica nei tuoi confronti è di tanti altri entrati nel PCI da altre esperienze e condizionamenti , voglio solo dire che è sicuramente interessante la tua esperienza e rapporto con il PCI , ma non è la stessa cosa di chi “nasceva “nel pci , soprattutto sentimentalmente oltre che politicamente. Guarda nulla di personale, ma io ricordo bene che il partito comunista maoista oltre che pensare di essere alternativo con tanto di “ verità “ in tasca era molto OSTILE nei confronti del PCI . Per questo motivo scusami , forse mi sbaglio, non puoi avere dentro di te lo stesso percorso atteggiamento sentimenti, forse simile ma non uguale , non del mio personalmente ma quello di moltissimi che erano “ INNAMORATI “ del pci , c’è differenza, non voglio dire meglio o peggio , tra chi a 12 anni era nei PIONIERI e chi entrava nel PCI da adulto, per carità tutti ben accetti ma con storie diverse , capisco che tu sei un “ artista “ capisco che il tuo impegno rapporto e “ militanza “ è sempre stato condizionato dal tuo lavoro di ARTISTA , sicuramente hai inciso più tu che tanti altri piccoli militanti come me , difatti non conoscendo il tuo percorso MAOISTA credevo che tu fossi un “ intellettuale “ artista “ nato “ nel PCI , uno che militava in sezione faceva la diffusione la sottoscrizione la propaganda le manifestazioni ecc ecc ecc , forse mi sbaglio, ma secondo me ti sei perso un pezzo di storia del PCI . Non vorrei essere malinteso e spero di avere reso L’idea, è solo per parlare come se fossimo a una cena tra “ amici “ che parlano di politica soprattutto quella passata . Ps comprerò sicuramente il tuo libro , per D’ALEMA, scusa nessuno è perfetto ma noi di base , perché si da il caso che il PCI per molti anni è stato un partito di base , e D’ALEMA da quella base proveniva , lo ricordo nella FGCI DI GENOVA dove lui era un ottimo studente del LICEO DORIA , con suo padre dirigente nella federazione di Genova in SALITA SAN LEONARDO , non abbiamo lo stesso “ giudizio “ , anzi per molti anni , indipendentemente dal suo essere intelligente intellettuale sopra le righe , sicuramente era vanitoso, ma come altri in quei momenti, ma lo abbiamo sostenuto con PIACERE, e non per invaghimento miope , era bravo capace era , non so oggi dopo la sua uscita dal PD , uno di NOI . Un abbraccio.
Giovanni Ornati
Caro Giovanni,
se leggi il mio libro vedrai che non è così. La mia prima bandiera rossa, piccola e fatta di carta velina, l’ho sventolata a tre anni, andando con il nonno all’assalto della casa del fascio del mio paese. Da allora ho vissuto quasi più nelle Case del Popolo che in casa mia. Anche a dottrina ovviamente da buon cattocomunista .Non sono stato nei pionieri ma ne leggevo il giornalino. Mi sono scritto al PCI ai 20 anni e ne sono uscito ai 29 per andare nei maoisti. E’ stato uno sbandamento di ben 10 anni , ma la fortuna è stata che non ho mai rotto il legame umano con i compagni del PCI. E’ questo che mi ha salvato, impedendomi di finire in qualche gruppo dall’eversione disperata. Il resto lo conosci.
Sergio