Il 25 aprile del 1945 il Comitato di liberazione nazionale alta Italia proclama l’insurrezione nel nord ed assume il governo politico, militare economico e sociale di quella parte del paese. Alcuni giorni dopo si incontra con il Comitato di liberazione nazionale e gli consegna l’autorità morale e politica che gli consente di assumere la guida di un processo di cambiamento della società italiana.
I sei partiti del Cln aprono una stagione straordinaria, tre anni in cui l’Italia chiude con una guerra combattuta con due alleanze diverse, evita la guerra civile, compie una straordinaria rivoluzione istituzionale: la monarchia è abbattuta, nasce la repubblica, lo Statuto albertino è abrogato, si dà vita alla Carta costituzionale della libertà. Nella divisione del mondo, l’Italia sceglie il campo euroatlantico e occidentale.
Oggi quei sei partiti, che dettero vita a questo straordinario processo di cambiamento e di innovazione del sistema politico e istituzionale del paese, non ci sono più. La repubblica oggi vacilla, la Costituzione è violata o aggirata. Vi sono dunque tutti i segni della difficoltà del nostro sistema, che vanno affrontati con coraggio, cogliendo gli attimi essenziali per fermare questo processo di decadenza della Repubblica.
Guardiamo alle condizioni attuali. Fra tre mesi si entra nel semestre bianco, fra sei mesi milioni di elettori voteranno, in grandi e piccole città, e saranno elezioni a significato politico; tra nove mesi l’elezione del presidente della repubblica. Primo stop, il semestre bianco: il governo Draghi si troverà in difficoltà perché non ci sarà più la deterrenza dello scioglimento del parlamento, ovvero la copertura che aveva avuto dal presidente della repubblica. Aumenteranno le fibrillazioni già presenti, e lo vediamo in queste ore anche su cose ridicole come un’ora di coprifuoco in più o in meno; le forze politiche del grande calderone di consensi governativi forzati vorranno esasperare le distanze fra loro. Il parlamento sarà ingovernabile e non gioverà alla distensione quello che succederà fra sei mesi, le elezioni nelle grandi città.
Anzi aumenteranno le difficoltà della vecchia alleanza fra Pd e Movimento 5 stelle, quella del governo Conte II; anche anche perché i Cinque stelle in parlamento restano il partito di maggioranza relativa con il loro 34 per cento, ma sono anche un partito che ormai si è dissolto: senza capi, senza strutture, senza idee, senza programmi e soprattutto senza corrispondenza fra la realtà del parlamento e la realtà sopravvissuta nel paese.
Tra nove mesi, infine, questo parlamento in continuo e crescente stato di fibrillazione e di lotta di tutti contro tutti dovrà eleggere un presidente della repubblica in una condizione costituzionalmente debole: si troverà ad essere un seggio elettorale che l’attuale norma considera abusivo e in soprannumero almeno per un terzo, a dover eleggere il presidente di un settennato che dovrà affrontare il superamento dello stato nazionale verso un’unità politica europea. I prossimi anni saranno sette anni cruciali e difficili per i nuovi equilibri di carattere internazionale, l’unità europea si troverà a dover affrontare non solo temi di novità dal punto di vista dell’economia e della politica, ma anche da quello di un nuovo ordine mondiale.
Anche in tempi normali sarebbe richiesto il ritorno alla consultazione del popolo. Figuriamoci in questi nostri tempi straordinari, quelli di un parlamento che è nato già morto tre anni fa. Al semestre bianco Draghi avrà portato alla vaccinazione, speriamo, un’area molto vasta della popolazione, saremo dunque prossimi all’immunità di gregge; avrà varato un piano nazionale di ripresa, quello che verrà approvato nei prossimi giorni dal parlamento, probabilmente pieno di buoni o parzialmente buoni propositi, ma sicuramente un piano che conterrà dentro di sé una serie di indicazioni che per essere affrontate necessitano di una maggioranza politica coerente e qualificata. Come è possibile pensare di disegnare e approvare una riforma della giustizia, una riforma della pubblica amministrazione, una riforma del fisco, senza avere una netta chiara indicazione delle posizioni politiche esistenti nel paese su ciascun singolo tema?
Il bagno elettorale è dunque una necessità. Bisognerà unificare le elezioni amministrative di settembre, elezioni parapolitiche, con quelle politiche nazionali. Il parlamento dovrà essere rinnovato per eleggere un presidente che abbia un sostegno tale da dare al paese un garante costituzionale, un vigilante nel cruciale settennio successivo, quello che ci porta alla soglia del 2030 quando tutte le analisi dicono che andiamo verso stagioni turbolente, non previste, non prevedibili e non controllabili. Le forze politiche devono avere un sussulto di dignità democratica, uscire dallo stato di torpore e di rassegnazione passiva. Le cose non si aggiustano da sole, e neanche con uno stanziamento aggiuntivo di un fondino di 30 miliardi oltre i 190 del Piano di rilancio.
Si affronti una discussione aperta sulle grandi riforme che nei prossimi decenni dovranno sostenere lo sviluppo del paese e farne un protagonista della costruzione dell’unità politica dell’Europa. Questo avrà necessariamente un riflesso nella politica estera nostra e comune.
Quello che avviene in queste ore nel nostro cortile, nel nostro Mediterraneo è mortificante dal punto di vista democratico, e dice che la linea Minniti-Salvini è anche quella che sta rassegnatamente seguendo l’attuale governo. Ma non si può vivere un degrado sul piano dei diritti civili e di diritti umani e contemporaneamente illudersi di essere capaci di partecipare e anzi condurre una svolta nello sviluppo politico dell’Unione europea.
Se entro la fine di luglio non vi sarà lo scioglimento delle camere, il presidente della Repubblica, per evitare la paralisi istituzionale, potrebbe essere costretto alle dimissioni. Si avrebbe una terrificante situazione costituzionale: le camere dovrebbero eleggere un presidente della repubblica che possa tornare ad avere il potere di sciogliere le camere. Un suicidio collettivo delle istituzioni. Vera notte della Repubblica.
7 Comments
Ciao Sergio,
l’articolo di Formica è sicuramente interessante e scritto da chi ormai vede la politica da lontano e può permettersi strappi e forzature. Ma non riesco a capire la sostanza: ad eleggere il presidente dovrebbe essere una rappresentanza parlamentare più vicina a quella presente nel paese di oggi e non a quella del voto del 2019? E perché mai? Perché i partiti oggi sono in crisi? Vorrei ricordare che quando si trattò di eleggere il presidente subito dopo il voto del 2013 (quindi con un parlamento freschissimo) si arrivò a rieleggere, contro la sua volontà, Napolitano dopo una serie di fallimenti fragorosi. Il nocciolo dell’elezione del presidente è quindi sempre politico ed è nella maggioranza che si forma attorno al suo nome all’interno del parlamento, che è legittimo fino alle elezioni successive e la cui legittimità non può essere messa in dubbio sulla base dei sondaggi.
Vero che il M5S è in una crisi drammatica e poco prevedibile, vero che le alleanze che furono non sono oggi sensatamente affidabili, ma non capisco perché una drammatizzazione e lo scioglimento del parlamento anzitempo dovrebbero garantire una maggiore stabilità in prospettiva. Mi chiedo: il governo Draghi ha già finito il suo lavoro? tra tre mesi (quando il P?arlamento andrebbe sciolto per evitare il semestre bianco) non sappiamo ancora nè quale sarà l’andamento reale dell’emergenza Covid e neppure se il PNRR sarà approvato dal parlamento e chi andrà a trattare con l’Europa se dovessero sorgere dei contrasti?
Nei mesi scorsi il presidente Mattarella aveva saggiamente parlato di eliminare dalla costituzione il semestre bianco per evitare proprio che ci fosse attorno a queste date lo scatenamento delle tensioni maggiori. Ecco forse questa è la soluzione, non l’accelerazione drammatica che sarebbe letta come il fallimento del governo Draghi e la spinta ad accrescere, in una campagna elettorale all’ultimo sangue (senza neppure poter intervenire sulla legge elettorale), la conflittualità tra le forze politiche. Le accelerazioni e le drammatizzazioni non mi paiono in grado di risolvere i problemi del paese e probabilmente finirebbe per bruciare anche la figura di Draghi come candidato presidente della repubblica. Io credo che invece il prossimo parlamento con una vittoria della destra potrebbe eleggere presidente Silvio Berlusconi per tenerselo attaccato nel voto e magari perché durerebbe poco e, magari, lascerebbe spazio in due tre anni a Salvini.
Un abbraccio Roberto
Caro Sergio,
ho letto l’articolo di Rino Formica. Non si può che essere d’accordo con lui: costituzionalmente (ed eticamente) non fa una piega. Mi domando però se strategicamente, politicamente parlando, sia la migliore soluzione.
Mi spiego: andando al voto a settembre/ottobre, non inganniamoci, la destra – che, al di là delle solite manfrine retoriche, si presenterà unita – farà cappotto con l’attuale legge elettorale. Non si tratta di uno scenario troppo pessimista, ma realista: si aprirebbe una legislatura con Salvini e Meloni al governo; loro gestirebbero la fase cruciale per l’Italia (e l’Europa) fino al 2026 (come minimo); loro avrebbero il controllo a maggioranza assoluta del Parlamento – ridotto per lo più per le manie populiste e antidemocratiche dei grillini, a cui il PD non ha saputo nemmeno opporsi un anno fa -; loro eleggerebbero con questi numeri – a cui si aggiungono i delegati regionali, a grande maggioranza in quota delle destre – il nuovo presidente della Repubblica, senza difficoltà alcuna.
Si dice troppo spesso che l’Italia non è l’Ungheria o la Polonia, che la nostra Costituzione e le nostre istituzioni ci proteggono da una possibile deriva autoritaria. Ma quando Orbán andò al governo nel 2010 nessuno avrebbe immaginato che un decennio più tardi a Budapest ci sarebbe stato un regime autoritario (perché questo è l’Ungheria di Orbán), per di più nel cuore dell’UE. Siamo così sicuri che in Italia non potrebbe succedere qualcosa di simile? Allora mi domando: non converebbe proteggere la nostra democrazia – perché è di questo che si tratta – evitando di fare un regalo all’estrema destra di Salvini e Meloni? Certo, non andando a votare in autunno non è che risolviamo il problema, ma almeno prendiamo tempo e proteggiamo un po’ la nostra democrazia. In una recente intervista su “El País”, Enrico Letta chiedeva due anni per poter rinnovare il PD: andando al voto ora, il suo progetto sarebbe messo a dura prova. Pensiamoci.
Non vorrei che ad essere troppo ligi all’etica democratica e alla prassi costituzionale – che è quello che ricorda Formica – finissimo per porre la prima pietra di un affossamento della nostra democrazia.
Un abbraccio
Steven
Sarebbe più semplice (si fa per dire, qui di semplice non c’è nulla…!) o più logico far dimettere Mattarella a fine luglio, convincerlo a farsi rieleggere solo fino all’inizio del 2023 e saltare così il semestre bianco; andare a votare il nuovo Parlamento alla scadenza naturale ed infine eleggere un nuovo Presidente col nuovo Parlamento.
Nel frattempo, sarebbe utile affiancare al Parlamento una Bicamerale deliberante che apporti alla Costituzione poche importanti modifiche (unificazione età di voto, ritocchi Titolo V, fiducia a camere congiunte) e vari una nuova legge elettorale tipo Mattarellum.
Non mi pare uno scenario né più né meno fantascientifico di quello di Formica, particolarmente apocalittico
In realtà è molto probabile che si tirerà avanti con una galera parlamentare fino alla fine della legislatura, mentre per il Presidente si dovrà guardare un po’ oltre l’orizzonte della politica per evitare traumi troppo forti, che non sarebbero né capiti né graditi dall’Europa, che terrà gli occhi molto bene aperti su di noi.
Ci aspettano tempi “interessanti” …
ET
Ciao Sergio,
Sulla riflessione di Formica condivido abbastanza la parte di analisi ma non la soluzione che sarebbe la peggiore.
Penso che la soluzione potrebbe essere quella che il Presidente Mattarella annunciasse la disponibilità a rimanere in carica altri due anni, (visto che tutti glielo hanno chiesto anche se non tutti sinceramente). E il parlamento con un voto sancisca la decisione.
Perché passi “la nottata” e non distruggiamo tutto. E a quel punto, dopo le elezioni a fine legislatura, eleggere il nuovo Presidente (potrebbe essere ancora Draghi? Non lo so dipende dal risultato delle elezioni con un parlamento dimezzato e anche con quale legge elettorale si andrà a votare, in ogni caso.
Un grande abbraccio,
Mariangela
Tutti vedono le tre scadenze che spingeranno il Paese verso uno stato di agitazione: l’assai prossimo “semestre bianco” poi, a seguire, importanti appuntamenti amministrativi e, per finire, l’elezione del Presidente della repubblica. Tutti ne vedono l’arrivo, nessuno intravvede l’accavallarsi di onde d’urto sempre più forti contro l’intero sistema politico-istituzionale del Paese. Tutti, dunque, conoscono il calendario ma è Rino Formica, solitario come spesso accade al Politico, a comprendere che le tre scadenze, la trama di fili della nostra situazione, compongono un nodo inestricabile, il nodo di Gordio della politica nazionale. E, come si sa, il nodo di Gordio va sciolto con la spada, vale a dire con la responsabilità, con la decisione, con il coraggio che appartiene al Politico.
Lo scioglimento anticipato delle Camere, entro il prossimo luglio, deciso da un Presidente della repubblica dimissionario per lucida decisione è il passaggio obbligato, secondo Formica, per impedire l’ingorgo di conflitti inestricabili e paralizzanti che le tre scadenze si portano dietro: le Camere libere di “auto-governarsi” perché svincolate dallo scioglimento anticipato; la competizione di tutti contro tutti nelle elezioni delle grandi città che sottoporrà a pressione tutte le alleanze più o meno strategiche che si vanno faticosamente componendo a sinistra e a destra; la scelta del nuovo Capo dello Stato da farsi in un Parlamento (il ‘seggio elettorale’ abusivo, come dice Formica) già “superato” dallo smagrimento di eletti, voluto dai “riformatori” di Beppe Grillo.
C’è da attendersi un profluvio di reazioni “benpensanti” alla proposta di Formica. Solo una di queste avrebbe valore: la possibile interruzione dell’azione ricostruttiva di Mario Draghi, non tanto per i cronoprogrammi chiestici dalla e concessi alla UE ma per l’obbligo della accelerazione riformatrice che la crisi impone. Ma il nodo stringe il paese. Prima lo si scioglie e prima si riparte, con il paese che avrà già parlato, con il voto, alle forze politiche e dirigenti.
Non è retorica ricordare che nel dopoguerra l’Italia fu ricostruita grazie a un clima “ri-costituente” e a tre personaggi che hanno incarnato culture politiche diverse e fondamentali: De Gasperi, Einaudi, Menichella. Le prime due riempiono solo dibattiti appassionati. Riuscirà la sola tradizione della Banca d’Italia a rimettere in marcia i nostri destini?
Elio Ceglie
Interessante, grazie
Ognuno di noi dice la sua in politica e in generale nella vita, ma siamo disposti a risolvere i problemi della nostra comunità solo se riusciamo a far prevalere i nostri interessi. Parafrasando il grande Trilussa nella poesia sotto riportata concludo:“ semo tutti d’accordi solo se c’è da magna’ “. Comunque mi auguro che l’attuale parlamento possa portare a termine la sua legislatura eleggendo regolarmente e costituzionalmente valido il nuovo presidente della Repubblica: così vorrebbe la democrazia rappresentativa, sulla quale a parole siamo tutti/e d’accordo.Buona giornata a tutti e tutte Antonio De Matteo Milano
Ner modo de pensà c’è un gran divario:
mi’ padre è democratico cristiano,
e, siccome è impiegato ar Vaticano,
tutte le sere recita er rosario;
de tre fratelli, Giggi ch’è er più anziano
è socialista rivoluzzionario;
io invece so’ monarchico, ar contrario
de Ludovico ch’è repubblicano.
Prima de cena liticamo spesso
pè via de ’sti princìpi benedetti:
chi vo’ qua, chi vo’ là… Pare un congresso!
Famo l’ira de Dio! Ma appena mamma
ce dice che so’ cotti li spaghetti
semo tutti d’accordo ner programma.