Sono ore che sento passare le sirene. Più frequenti del solito. E da quegli urli meccanici capisco che la situazione sta peggiorando. Otto marzo, una giornata che dovrebbe essere di festa. Ma non ci saranno feste. Troppi malati e troppi morti.
Ci fa ricordare che l’8 marzo non nasce da un’occasione gioiosa ma da un evento terribile: il massacro di quasi duecento operaie intrappolate nella fabbrica Cotton di New York agli inizi del Novecento. Una morte che si poteva evitare, e che è derivata dalla abitudine di chiudere le donne in fabbrica perché non si allontanassero dalle macchine.
Eppure ci sarebbe qualcosa da festeggiare: il cambiamento delle leggi che riguardano la parità di diritti. Sulla carta li abbiamo ottenuti, anche se spesso non se ne tiene conto. D’altronde si sa, è più facile cambiare una legge che trasformare una mentalità, una abitudine collettiva dalle radici millenarie. Si potrebbe festeggiare la presenza sempre più frequente di donne in posti decisionali. Ancora pochi e stiracchiati, ma sempre meglio di quello che succedeva una settantina di anni fa. Bisogna sempre storicizzare per capire se veramente esiste un processo di emancipazione. Se penso che a mia madre, quando era ragazza e in collegio, proibivano di fare il bagno nuda e doveva fare acrobazie per lavarsi con la camicia. E se penso che una mia compagna di scuola veniva legata al termosifone perché voleva uscire da sola. E non si trattava di casi isolati ed estremi ma di abitudini delle famiglie cittadine con figlie adolescenti.
Le donne stanno pagando duramente la pandemia: le prime a perdere il lavoro, le prime a essere ricacciate in casa: quella casa che abbiamo imparato a conoscere come un posto spesso pericoloso.
Eppure, nonostante queste difficoltà, le donne reagiscono, lavorano sodo, prendono la segregazione come un’occasione per rilanciare un impegno sociale difficile e faticoso. Penso alle insegnanti delle scuole che stanno facendo del loro meglio per mantenere vivo l’apprendimento. Penso alle tante infermiere che rischiano la vita negli ospedali, chiuse dentro scafandri da palombaro che diventeranno dei forni nei prossimi mesi estivi.
In questo pandemonio molti si affannano a cercare un colpevole. Un complotto? Una manovra subdola e velenosa per tenere sotto scacco il popolo innocente? Lo si è sempre fatto in tempi di epidemie, ma non è mai servito a niente, salvo creare sospetti, livori e aggressività. La paura porta a galla i peggiori istinti dell’uomo: homo homini lupus, mai così vero come in momenti di allarme sociale e sanitario.
Cosa fare? Prima di tutto non lasciarsi scoraggiare. Prendiamo l’occasione per rivedere le nostre idee, le nostre sicurezze. Rimbocchiamoci le maniche per cercare di costruire un nuovo modo di stare al mondo, più attento al futuro, più responsabile e coraggioso.
Io stessa, che oggi sono divisa fra lo scoraggiamento e la voglia di reagire, capisco che devo allontanare lo smarrimento e cercare vitali alleanze per sconfiggere un nemico invisibile, crudele e misterioso.
Dacia Maraini, La Stampa, 8 marzo 2021
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Siamo sicuri che la colpa della mancata parità di diritti fra i sessi umani sia sempre e comunque attribuibile a quello cosiddetto ” forte”? Eppure alcune donne, quando vogliono, raggiungono le vette più alte della carriera umana, con il loro impegno, la loro passione e costanza a parità di diritti. Gli esseri umani fino a quando cercano e cercheranno il capro espiatorio fra di loro, la natura, o Dio per i credenti, li gestirà come vuole e tutti noi saremo sempre impotenti come lo siamo difronte al maledetto covid19. Forse tutti insieme capiremo meglio le leggi della natura e ci difenderemo con maggiori risultati. La speranza ci può aiutare ed invochiamola mentre resistiamo provando ad avanzare. Grazie per la vostra attenzione e buona giornata Antonio De Matteo MI
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