L’assemblea lombarda di Liberi e Uguali, composta da persone senz’altro appassionate, ha concluso – con entusiasmo, a stare alle cronache – per la presentazione di un proprio candidato alle regionali, Onorio Rosati. Era già consigliere regionale, dopo la responsabilità della Cgil lombarda. (la Cgil nazionale si è divisa sul punto delle regionali). Secondo le cronache il capogruppo di LeU alla Camera, Laforgia, avrebbe spiegato così la decisione (le cronache, si sa, sono sbrigative): “Perché ci sia il centrosinistra bisogna che ci sia la sinistra” Già, ma allora bisognerebbe che ci fosse anche il centro. Poi le cronache dicono che Gori è “troppo vicino a Renzi”. Un connotato dall’aria antropologica, per così dire, più che politica. Pensate se lo si applicasse ai 5 stelle: “Sono troppo vicini a Grillo”. Fossi in Renzi, comunque, mi farei una domanda.
Queste spiegazioni saranno giornalistiche. Ne avevo chiesto qui a Pippo Civati. Non pretestuosamente, come qualcuno ha pensato, al contrario: perché è stato, dunque è, direi, abbastanza mio amico. Non mi ha risposto e si capisce, avrà da fare. Si era fatto conoscere, ormai parecchi anni fa, come uno dei componenti della coppia di giovani promotori della Leopolda, l’altro era Matteo Renzi. Ora, mi suggerisce chi lo frequenta, “semplicemente non vuole avere a che fare col Pd”. Posizione prepolitica, si direbbe, o postpolitica, se preferite. Il Pd dev’essere sinonimo di Renzi, per lui. Non saprei dargli ragione (il Pd ha anche parecchi “non renziani”) però, se fossi Renzi, mi farei un paio di domande.
Enrico Rossi era l’ultimo dal quale mi sarei aspettato che uscisse dal Pd. Eppure posso dire di conoscerlo bene. Si era dedicato ad animare un impegno dentro il Pd che si ispirasse a un’eredità di ideali, se non di programmi – i programmi devono prendere le misure del mondo che cambia, gli ideali possono restare più saldi – del socialismo. E’ nato a Bientina, era, è ancora, presidente della Regione Toscana dopo esser stato sindaco di una città toscana, assessore alla sanità in Toscana, l’intera carriera di Renzi fino a Roma si è svolta a contatto di gomito (espressione ambivalente) con lui. Un anno fa nel giro di una nottata ha capovolto un impegno fervido – è uno che lavora come un matto – nel confronto interno al Pd, decidendo di uscire, sorprendendo tutti e anche se stesso, credo. (Ero lontano dall’Italia, non seguii). Credo che prevalesse una insurrezione umana, per così dire, nei confronti di Renzi e dello stile delle persone toscane più vicine a Renzi. Fossi in Renzi, mi farei una domanda. Magari se l’è fatta. I buoi erano usciti dalla stalla, diciamo (è detto con partecipazione, t’amo pio bove). Nei giorni scorsi Enrico Rossi ha auspicato che alle regionali si anteponesse – previo un confronto sui programmi, ha detto anche lui, com’è ovvio – un accordo contro la destra e i 5 stelle alla scelta di “andare da soli”, cercando un’affermazione relativa che esclude comunque la possibilità di vincere.
Stefano Fassina, all’indomani della decisione di Liberi e Uguali che ha scelto per la presentazione propria in Lombardia e una posizione interlocutoria nel Lazio, ha divulgato una dichiarazione bizzarramente minatoria all’indirizzo di Enrico Rossi: “Il presidente Rossi dovrebbe fare più attenzione a quanto scrive… Con le sue continue e scomposte esternazioni non è chiaro a nome di chi…”. Mi ha colpito questo tono. Fassina, come Civati, se ne andò prima di altri e al costo di un relativo isolamento. Forse anche di lui si può supporre che “semplicemente non vuole avere a che fare col Pd”. Di lui si può più plausibilmente pensare che consideri con interesse i 5 stelle. Ora si dà il caso che anche di Fassina io mi ritenga abbastanza amico (uso una riserva perché non voglio essere indiscreto e tantomeno smentito). Hai troppi amici, direte voi: macché, ne ho troppo pochi, e una quantità di nemici. Ma essendo io fuori gara, amicizie e inimicizie nei miei confronti non devono fare calcoli di convenienza, e viceversa. Dunque avendo verso di lui sentimenti amichevoli mi chiedo come mai il dissenso politico di Fassina sia diventato una barriera umana. Per risparmiare spazio, riduco grossolanamente la spiegazione che mi do alla memoria di quella battuta di Matteo Renzi: “Fassina chi?” Fossi in Renzi, mi rifarei quella domanda.
Ho simpatia e sentimenti amichevoli per Pierluigi Bersani. Trovo, come i più, che abbia un impianto politico e umano pregevole, e che sia spiritoso, decisamente più dello stuolo di professionisti che credono di fare gli spiritosi a sue spese. La mucca nel corridoio: si capisce, caso mai avrei un’obiezione all’assimilazione alla destra razzista (infatti amo anche te, paziente mucca). Anche da lui non mi sarei aspettato che uscisse dal Pd, anche con lui stavo alla sua parola: non lo farò mai, diceva, è casa mia, e aveva ragione. Dunque anche lui dev’essere arrivato a un punto d’insofferenza umana oltre che e forse più che politica. Ci sono passaggi che aiutano a spiegarlo. Uno soprattutto: quando Bersani “non vinse” le elezioni, come si dice (infatti non le perse), ed ebbe la generosità e l’ingenuità di concentrare l’attenzione universale sull’increscioso streaming coi 5 stelle, il presidente Napolitano non volle mandarlo in parlamento a cercare la fiducia a un suo programma e un suo governo. Io penso che meritasse di fare il suo tentativo e che Napolitano abbia in quella circostanza ceduto a sua volta a un impulso impolitico. Bersani fu comunque leale anche dopo, quando fu battuto nettamente da Renzi. Una volta vincitore, Renzi (ma questo l’ho scritto mille volte ed è fin troppo facile ripeterlo oggi) invece di sbarazzarsi di uno slogan come la rottamazione, redditizio a breve ma destinato alla lunga a ritorcerglisi contro, e di promuovere la conversazione e la collaborazione interna al partito di cui altrimenti sarebbe diventato soltanto il padrone, è sembrato compiacersi della mortificazione del consorzio di padroni precedenti passati in minoranza. Se fossi in Renzi mi farei delle domande, ma a questo punto se le è fatte tutte, direi, e sarebbe ora di passare alle risposte. Ieri l’ho sentito dire a Torino come il rapporto umano conti infinitamente più di tutto il resto. Spero che fosse lui e non un sosia. Ah, dimenticavo: sono piuttosto amico di Renzi.
(P.S. Potreste chiedervi come mai non parlo di Massimo D’Alema: no, di D’Alema no, siamo troppo amici).
Da Facebook Conversazione con Adriano Sofri
5 Comments
Formidabile articolo! Mi ricorda certi interventi nei congressi nazionali della Democrazia Cristiana anni 70. Moroteo, con sfumature dorotee. Se un compagno vota per propri meschini interessi insieme ai fascisti di Forza Nuova io lo chiamo traditore e gli sputo in faccia a vista.
Evidentemente Sofri ha un carattere più accomodante.
Tra il serio e il faceto Sofri ne ha un po’ per tutti, e magari anche a ragione, pur se a mio parere invita Renzi a farsi troppe domande. Quello che mi pare non abbia capito Adriano, e mi scuso per la presunzione, è che Renzi (almeno dal mio punto di vista) voleva correre come un treno, per attuare le riforme nelle quali credeva e che riteneva indispensabili per tirare fuori il Paese dal pantano. Gli altri, invece, tutti, avrebbero voluto che si sedesse attorno ad un tavolo con loro per cominciare una delle solite, stantie, defatiganti discussioni con le quali ci hanno (e ci siamo!) scassati i marroni per lustri! Il suo essere “brusco”, per nulla diplomatico, non può essergli venuto a seguito della pretesa “degli altri” di discutere su tutto e di tutto e dal suo convincimento che accettare le loro richieste avrebbe rappresentato un’inutile perdita di tempo? Certo, direte voi, ma c’è modo e modo anche di mandare a quel paese una persona, se magari glielo dici col sorriso sulle labbra, quasi in tono scherzoso, può essere che quella non se la prenda neppure e capisca il concetto, giusto? Però qui dobbiamo fare i conti col carattere di ognuno di noi e non credo sia giusto pretendere che siano gli altri ad adeguarsi al nostro, specie quando “gli altri” rivestono un ruolo di responsabilità più alto del nostro. Quello che io ho sempre contestato, e continuo a farlo, a chi è uscito dal PD è che loro, di fatto, non hanno mai voluto riconoscere, salvo forse Bersani all’inizio, il ruolo di Segretario a Matteo Renzi e, con ciò, che dovesse prevalere la linea che lui rappresentava e che era, guarda caso, quella della maggioranza del Partito! Assenza di “senso della democrazia”? Anche!
Seguo Sergio Staino e quindi leggo tutto quello che pubblica e che trovo sempre interessante.
Ho letto Paolo Pasquini al quale chiedo scuso della mia ignoranza ma non ho capito a chi si riferisce, a chi vorrebbe sputare in faccia.
Bravo Silvano! Sono completamente d’accordo.
Caro Sergio,
naturalmente condivido quello che Sofri scrive. Ma penso: perché non la smettiamo di parlare di questi piccoli personaggi che pensano di essere l’ombelico del mondo e sono solo dei mediocri commedianti che recitano sempre lo stesso copione, che hanno fatto più danni della grandine, che sbagliano tutte le analisi politiche, che hanno fatto la scissione perché sapevano che il PD non li avrebbe ricandidati, che ancora pensano che il M5S sia un interlocutore? Credo che quando diciamo “politica” non tutti intendiamo la stessa cosa. La loro politica non può essere la nostra. Non è progetto, non è speranza, non è generosità, è un fatto di pochi mestieranti senz’anima. È chiusura. Tanto, caro Sergio, si perde lo stesso. Il loro pugno di voti se lo tengano. Sono da sempre i migliori amici della destra. Dal 5 marzo deve essere resistenza. Dovremo trovare il modo. Non diremo nemmeno che è colpa loro. Ma che non ci rompano più le scatole. Basta.
Ti abbraccio. Sergio M.