Stefano Ceccanti nella sua rassegna stampa ripropone questo articolo uscito a giugno sulla rivista dei gesuiti di Milano “Aggiornamenti sociali“. Mi sembra molto utile rileggerla all’indomani dell’approvazione delle DAT.
Custodire le relazioni: la posta in gioco delle DAT
Nelle scorse settimane il Parlamento ha riaperto la discussione sulle disposizioni anticipate di trattamento (DAT): la Camera dei Deputati ha approvato un progetto di legge che è ora all’esame del Senato. Il Gruppo di studio sulla bioetica di Aggiornamenti Sociali (vedi in fondo la lista dei componenti) ha ritenuto opportuno analizzarne il contenuto, a prescindere dall’esito dell’iter di approvazione, legato anche alla possibilità di una conclusione anticipata della legislatura. La valutazione, qui di seguito sinteticamente argomentata (e pubblicata anche sul numero di agosto-settembre della rivista), è che il testo approvato dalla Camera contenga numerosi elementi positivi e rappresenti un punto di mediazione sufficientemente equilibrato da poter essere condiviso.
***Aggiornamento – Il 14 dicembre 2017, con il voto favorevole del Senato, la legge sul biotestamento è stata definitivamente approvata. Il testo licenziato al Senato è lo stesso su cui si è espresso il nostro Gruppo di studio sulla bioetica***
Le questioni legate alla fine della vita suscitano accesi contrasti nella nostra società, abitata da un forte pluralismo morale. Il progetto di legge promuove la consapevolezza della complessità delle questioni, afferma il principio del consenso ai trattamenti e il rifiuto di ogni irragionevole ostinazione terapeutica, imposta una relazione tra medico e paziente centrata sulla pianificazione anticipata delle cure, non presta il fianco a derive nella direzione dell’eutanasia.
Pur suscettibile di miglioramenti, la sua approvazione dovrebbe essere considerata un passo avanti. Esplicitiamo qui alcune considerazioni a sostegno di questa posizione.
1. Il dibattito sulle DAT mette in luce grandi questioni umane, etiche e culturali, la cui densità coinvolge credenti e non credenti, in un processo di dialogo e apprendimento reciproco. Autonomia e relazione, sollecitudine e soggettività, possono diventare fecondo terreno di incontro sociale e politico. Affrontando la questione delle DAT, come società ci misuriamo con l’inquietudine dell’esperienza del morire e di una tecnologia medica capace di mantenere sospeso il momento del trapasso senza restituire la salute. Così fortemente personale, la morte implica una relazione e non può ridursi nel “privato”. Vedendo l’altro che muore, io conosco la mia morte, come l’esperienza anticipata di essere sottratto a me stesso. Nella sua morte ne va di me, come nella mia morte sono coinvolti altri, in specie i familiari e gli amici. La sfida sta nel custodire le relazioni fino all’ultimo, anche nel caso della perdita di coscienza. Nella cura per l’altro, di cui la medicina è forma eminente, siamo chiamati ad attestare quanto la sua vita mortale per noi sia unica e preziosa.
2. Le riflessioni qui proposte si collocano al livello etico che, al di là degli schieramenti partitici, è implicato nel dibattito politico e giuridico sulle DAT. Uno Stato democratico è composto di cittadini impegnati a rispettare le differenti etiche, visioni del mondo e religioni, in un contesto di reciproca inclusione e sincera ospitalità, senza che una pretenda di imporsi sulle altre. Lo Stato democratico non è però neutrale, poiché la convivenza pacifica ha un rapporto inscindibile con l’esperienza del bene comune e questo implica il riconoscimento del legame tra soggetti liberi e moralmente uguali. Per questo la giustizia delle leggi non è riducibile ad accordi procedurali. Questa prospettiva impedisce di spingere la tolleranza ad un eccesso in cui essa imploderebbe trasformandosi in indifferenza. Le leggi, soprattutto quelle umanamente più significative, custodiscono la qualità etica dei rapporti civili, nella misura del possibile e nel dialogo reciproco. In ciò consiste il compito culturale della politica. Questo investe anche la legislazione in campo medico e sanitario.
3. La medicina è, fondamentalmente, relazione di cura. Il progetto di legge sembra assumere un orientamento che supera il tradizionale paternalismo, senza cadere negli eccessi di una autonomia assoluta, ma promuovendo l’efficacia della relazione di cura grazie a scelte condivise. In particolare, la pianificazione delle cure (art. 5) ha luogo quando il paziente soffre di una patologia cronica, caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, di cui ha piena consapevolezza. Egli condivide con il medico che lo sta curando quali trattamenti siano coerenti con il suo progetto di vita e siano da attuare quando non sia più in grado di esprimersi, coinvolgendo se lo desidera i familiari. Questa procedura non si focalizza unicamente sui trattamenti da attuare o rifiutare, ma attesta la necessità di un percorso relazionale al termine del quale il paziente decide di sé. In questa prospettiva, la pianificazione anticipata risulta vincolante per il medico.
4. Le DAT, invece, possono essere redatte da un cittadino anche quando non è malato (art. 4) e al di fuori della relazione con il medico, in previsione di una sua eventuale definitiva incapacità di esprimere la propria volontà. Esse gli permettono di vedere riconosciute le proprie preferenze di cura, così che l’équipe curante possa definire in modo più preciso il beneficio per il paziente all’interno del quadro clinico oggettivo. Il rilievo conferito alle DAT riceve una migliore configurazione se posto in continuità con il consenso informato come prassi di condivisione del processo terapeutico, che integra l’autonomia decisionale del paziente con l’impegno del medico a definire la terapia appropriata (art. 1.2). Le DAT non costituiscono l’unico elemento da considerare nel processo decisionale, in quanto non possono prevedere tutti i possibili casi particolari: è quindi necessario interpretarle alla luce delle effettive condizioni cliniche del paziente e delle terapie disponibili (art. 4.5). Tuttavia, in caso di definitiva incapacità decisionale, esse rappresentano il riferimento prioritario di valutazione: il loro valore, infatti, pur non vincolante l’atto medico in senso assoluto, non può ritenersi meramente orientativo.
5. Una questione controversa riguarda la nutrizione e idratazione artificiali (NIA), che il progetto di legge include fra i trattamenti che possono essere rifiutati nelle DAT o nella pianificazione anticipata. Nella riflessione cattolica si è spesso affermato che questi mezzi sono sempre doverosi; in realtà, la NIA è un intervento medico e tecnico e come tale non sfugge al giudizio di proporzionalità. Né si può escludere che talvolta essa non sia più in grado di raggiungere lo scopo di procurare nutrimento al paziente o di lenirne le sofferenze. Il primo caso può verificarsi nella malattia oncologica terminale; il secondo in uno stato vegetativo che si prolunga indefinitamente, qualora il paziente abbia in precedenza dichiarato tale prospettiva non accettabile. Poiché non si può escludere che in casi come questi la NIA divenga un trattamento sproporzionato, la sua inclusione fra i trattamenti rifiutabili è corretta.
Il Gruppo di studio sulla Bioetica di Aggiornamenti Sociali è composto da: don Maurizio Chiodi, docente di Teologia morale, Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano, e neo-componente della Pontificia Accademia per la Vita; p. Giacomo Costa SJ, direttore di Aggiornamenti Sociali; Paolo Foglizzo, redattore di Aggiornamenti Sociali; Alberto Giannini, responsabile della Terapia intensiva pediatrica, Fondazione IRCCS Ca’ Granda – Ospedale Maggiore Policlinico di Milano; don Pier Davide Guenzi, docente di Teologia morale, Facoltà teologica dell’Italia settentrionale (Milano-Torino); Mario Picozzi, professore associato di Medicina legale, Università degli studi dell’Insubria (Varese); Massimo Reichlin, professore ordinario di Filosofia morale, Facoltà di Filosofia, Università Vita-Salute San Raffaele (Milano).
15 giugno 2017
3 Comments
Sono molto contenta e soddisfatta che un così alto consesso di personalità, che suppongo cattolici osservanti, si siano espressi già a giugno favorevolmente alla Dat, che rappresenta viceversa la legittima aspirazione di una società laica ma non per questo a-religiosa o a-spirituale.
Del resto anche papa Francesco ha usato parole molto “aperte” sulla questione del testamento biologico, quindi sono molto grata ai cattolici che non si sono chiusi nelle loro certezze di fede negando diritti a chi non la pensa come loro.
Mi meraviglia però che non ci siano donne nel gruppo di studio, e non perché le ritenessi più bendisposte al progetto di legge ora approvato – le signore Binetti, se del caso, possono essere più integraliste dei signori Ferrara – ma perché la società è più correttamente rappresentata dalle posizioni dei due generi e, da donna, mi stupisce sempre che i vertici (maschi) di una qualsiasi formazione pubblica o privata organizzino incontri, convegni, gruppi di studio e altro, senza sentire il piacere o la necessità di avvalersi anche delle opinioni delle donne.
Vorrei una società senza divisioni, neppure tra uomini e donne, ma tra chi ha pensieri da esprimere essendo, uomo, donna, gay, bianco, nero, giallo, vecchio, giovane … buona Dat a chi l’aspettava con ansia.
Una legge di civiltà, che non offende nessuno, perché ciascuno è libero di scegliere secondo coscienza, religione e/o credo!
Attenzione! Non minimizziamo come legge di civiltà. Certo, è una Legge di Civiltà ma fortemente voluta dall’attuale governo di CS malgrado un panorama parlamentare molto ma molto difficile. Si resta stupefatti quando si sente qualche auto nominatosi Censore definire sdegnosamente il PD di centro se non di DX. Che si guardino allo specchio e si vergognino!