Cari amici e cari compagni,
oggi ne sparo una grossa. Così grossa che susciterà sicuramente molte più o meno giustificate critiche ma, oltre che grossa, è così sincera che non posso fare a meno di dirla: le tre persone, o meglio i tre Intellettuali con la I maiuscola, che hanno accompagnato la mia crescita infondendomi un miscuglio di emozioni positive e negative al tempo stesso, si chiamano Pasolini, Sciascia e Sofri.
Sono tre persone che ho amato e, almeno per quanto riguarda il terzo, amo tuttora visto che è ancora vivo e gli auguro di esserlo per moltissimo tempo ancora (e Sofri tocca ferro). Nelle diverse fasi della mia vita sono i tre che più mi hanno fatto incazzare e, al tempo stesso, riflettere seriamente, soprattutto per un loro fastidiosissimo integralismo critico e per la loro capacità di inserire spazi enormi di poesia e intelligenza molto rari da ricevere in dono. Nulla è mai stato scontato in loro e mai è rimasta infruttuosa una loro sollecitazione, pur dolorosa che fosse.
Dico tutto questo nel tentativo di giustificare il fatto che pubblico e diffondo uno scritto che Adriano Sofri ha dedicato a me sulla Piccola Posta che quotidianamente tiene sul Foglio di Cerasa. Chiarisco subito che l’accenno al Covid che lui fa all’inizio non è riferito ad un mio possibile contagio (qualcuno lo ha interpretato così) e posso assicurarvi che fino a questo momento sono risultato negativo. Il fatto che non ci frequentassimo da un po’ di mesi era dovuto in realtà ad una mia ennesima solenne incazzatura nei suoi confronti. Questa pubblicazione significa anche, ovviamente, che questa incazzatura è rientrata. Trovate il suo pezzo di seguito.
Cambiando argomento, cliccando qui potete rivedere la mia performance di venerdì sera a Propaganda Live. La cosa mi ha meravigliato molto perché nelle tante presenze fatte in diversi programmi televisivi mai avevo registrato un indice di gradimento, o almeno di interesse, così alto. Sono stato letteralmente sommerso di email, sms, tweet e chi più ne ha più ne metta, per me del tutto inaspettati. Non pensavo tra l’altro che una trasmissione satirica non facile come quella messa su da Diego Bianchi avesse un seguito così grande e soprattutto un seguito di persone così belle, solidali e di sinistra che mi hanno fatto commuovere. Naturalmente approfitto di queste righe per mandare un grande ringraziamento a Diego e al collega Makkox i cui meravigliosi disegni non commento per averli già ampiamente elogiati al loro primo apparire alcuni anni fa.
Dopo il pezzo di Sofri, una mia vignetta uscita su La Stampa sabato.
Grazie a tutti e teniamoci in contatto.
Sergio
Staino e la stagione d’oro – Adriano Sofri
Sergio Staino ha preso il Covid al balzo per non frequentarmi, e ha dispiegato un attivismo creativo sensazionale, mentre io, dall’altro versante del colle, stentavo a persuadere i cinghiali a ridurre le visite e lasciar maturare i miei sudati pomodori. Per Rizzoli Lizard Staino ha pubblicato una sontuosa antologia di quarantun anni di Bobo, “Quel signore di Scandicci”, dedicato all’amata Bruna, introdotto dalla bellissima Dacia Maraini, 400 pagine, “meno di 5 euro al chilo”. E’ bellissimo, dice l’autore: è vero. Dice: “Cosa c’è di più bello di un Natale chiusi in casa, vicino al caminetto o comunque vicino a uno scaldino, ridendo da soli leggendo questo libro di Sergio Staino?” (Ora, per fare rima con vicino e scaldino, qualcuno si persuaderà che si dice Staìno: no, Stàino!). Appena prima era uscito “Quell’idiota di Bobo”, per La Nave di Teseo, col testo di Mario Gamba e Marco Feo, filosofi e storici dell’arte e artisti e fumettisti, impegnati ad annoverare Bobo fra gli emuli del principe Myshkin, l’uomo perfettamente bello e buono, dunque buonista. Sottotitolo: “In difesa del buonismo nella vita, nella satira e nella politica”. (Con l’approvazione di Sergio Givone, autore di riferimento per la lettura di Dostoevskij filosofo). Un po’ prima era uscita la collezione delle storie sull’Avvenire, quotidiano che sarà specialmente ricordato, fra molti meriti, forse per aver fatto entrare Staino, forse per averlo fatto uscire, e comunque tutt’e due: “Hello Jesus”, ed.Giunti, introduzione di Morgan, matto da slegare. Poi c’è il libro dedicato da giornalisti dell’Unità al centenario del PCI, “Care compagne e cari compagni”, ed. Strisciarossa, pref. di Livia Turco, vignette di Ellekappa e Staino. Poi ci sono i disegni quotidiani sulla grande stampa, e quelli che Staino non fa mancare a chiunque glieli chieda per una buona causa o senza causa apparente. Poi c’è la presidenza del Club Tenco, cui il Covid non ha impedito di premiare Ramy Essam, il musicista egiziano di piazza Tahrir che vive esule in Finlandia. Poi chissà quali e quante altre cose. A 80 anni suonati e disegnati, picciola vigilia dei nostri sensi ch’è del rimanente, c’è chi invece di tirare i remi in barca mette sé per l’alto mare aperto, sempre acquistando dal lato mancino. Dev’essere grazie all’inclinazione all’autocritica, per la quale Bobo va celebre. Il guaio dell’autocritica è che ogni volta che di nuovo ti viene un’idea da dire perentoriamente, una piccola voce interiore ti avverte delle innumerevoli volte precedenti, e della relatività del tutto. Ma di relatività assoluta non si vive, come del solo pane: di relatività relativa sì.
Adriano Sofri, il Foglio, 4 dicembre 2020
Comment
Grazie Sergio per questo scritto che hai condiviso con noi tutti.
Sono contento che ci sia anche Pasolini nel tuo elenco di stelle polari, perchè nel mio c’è e ci sarà sempre, anche se ogni volta va compreso daccapo, anzi forse proprio per questo.
Massimiliano