Ricevo da Manuel Tugnolo, il giovane studente di Economia militante del PD in quel di Novara e collaboratore affezionato a questo mio blog, questa sua cronaca di un sabato pomeriggio, quella piccola goccia a cui tutti noi dovremmo contribuire.
Caro compagno Sergio,
ti racconto quello che abbiamo fatto sabato pomeriggio noi Giovani Democratici del circolo di Novara con una raccolta firme e la presentazione di un libro. Un paio di cose che in una città come Novara (la seconda del Piemonte per abitanti) dovrebbe essere linfa vitale sul territorio.
Su questo versante, l’adesione a luglio alla campagna ‘Ero straniero’ dei Radicali è stata la mossa giusta. Piazzi un banchetto tra corso Cavour e corso Italia, che sono cardo e decumano della città; fai sentire a loro agio i passanti che si avvicinano a quel metro quadrato di iniziativa popolare, perché l’adesione è qualcosa di più di una singola firma, è un paio di persone che entrano in contatto; chiacchieri del più e del meno e di come valga la pena essere organizzati per poi poter essere presenti.
Arrivare alle 17:30 è un attimo. E già arriva Luigi Manconi a presentare la sua ultima fatica, ‘Non sono razzista, ma’, edita da Feltrinelli. Per questo ci spostiamo a fianco dell’entrata del circolo Arci XXV Aprile che ospita l’incontro.
Metti pure che trenta metri quadrati scarsi li riempi in fretta, ma una cinquantina (minimo) di firme in più ed altrettante persone ad ascoltare Manconi stanno a significare che quando lanci il segnale, più di qualcuno risponde ed è disposto a venire.
E così vieni a scoprire che il libro riprende un articolo del 1992 scritto dallo stesso Manconi per la nostra Unità, ad indicare un tabù (quale era il razzismo) che con quel “ma” inizia ad incrinarsi, a trovare delle eccezioni alla regola. Poi pensi a quel titolo venticinque anni dopo e lo iscrivi in un discorso più ampio: quello della xenofobia, etimologicamente intesa come paura dell’altro, straniero o semplice sconosciuto che sia. Da qui l’«appello per restare svegli» di Augusto Ferrari, assessore alle politiche sociali della regione Piemonte.
Il discorso si infiamma quando Manconi spiega il perché dell’accoglienza e dell’integrazione. Non si tratta di una generica generosità di popolo, ma di una questione di lungo periodo (il riferimento al 1992 e agli sbarchi di allora non è puramente casuale) che riguarda anche la sostenibilità del nostro sistema sociale e la demografia; in un paese che, invecchiando, vede i problemi dell’inserimento di noi giovani nel lavoro e della sostenibilità delle pensioni, le previsioni configurano una stagnazione (economica e demografica) alla giapponese. Anche quella, guarda caso, iniziata negli anni ’90.
È questo che fa dire a Manconi che «gli stranieri hanno bisogno degli italiani, tanto quanto gli italiani hanno bisogno degli stranieri». È da qui che potremmo portare avanti un cavallo di battaglia. Quello della destra è l’odio e la chiusura delle frontiere? Noi non stiamo a rincorrere nessuno o proporre versioni più morbide, ma facciamoci portatori di una visione e di un progetto radicalmente alternativi: cooperazione internazionale per costruire i pozzi, le strade, gli ospedali (insomma le opere pubbliche!) già in quelle zone disastrate; l’adesione agli Sprar di quanti più comuni possibili…
Anche qui, una certa idea di mondo e come raggiungerla nel concreto.
Un abbraccio,
Un abbraccio,
Manuel Tugnolo
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