Caro Sergio,
sono contento di vedere il blog arricchirsi di commenti meno banali degli scambi di battute da bar. E che dire della partecipazione di militanti comuni: quell’elemento popolare, per dirla con Antonio Gramsci, che anche se «non sempre comprende o sa» sente eccome!
C’è però un rischio: che, limitandosi a riflessioni sui massimi sistemi o analisi politiche, dal bancone si passi al tavolino da intrattenimento. Eccezionali ed utilissime le riflessioni di Emanuele Macaluso, Claudio Magris o Giuseppe Turani, niente da dire. Ma la politica è solo commento a se stessa?
È anche progetto ed azione, dialettica per arrivare ad un dunque e mettere in pratica questo dunque cui si è arrivati. E, non ultima, partecipazione dal basso.
È una duplice visione, quella della politica alta e di massa, compresa benissimo dalla lingua inglese. Lingua dove esistono due termini per dire politica: uno è politics, ovvero il conflitto tra forze, le sedute parlamentari, l’arena, il talk show e le trame da palazzo; l’altro è policy, spesso usata al plurale (policies) ad intendere tutte quelle politiche (anche in italiano rende meglio così!) per le quali ci si sente partecipi perché le si sente sulla pelle, quelle che si vedono o si rendono necessarie a vedere gli angoli del proprio quartiere, il torrente di campagna che durante i giorni di pioggia rischia di esondare, quello che vedi nel tragitto per andare a lavoro o a scuola, al supermercato piuttosto che in bottega. Quelle stesse politiche per cui la partecipazione e l’intelligenza di ognuno/a si fanno indispensabili.
Per dare un’idea, significa che non dobbiamo scannarci per la dichiarazione sulla dichiarazione sulla dichiarazione dell’esponente del momento, per l’abbraccio tra Maria Elena Boschi e Giuliano Pisapia quasi fosse una stretta mortale, per farci l’esame del sangue per vedere chi ce l’ha più rosso. Quello per cui sarebbe bene scannarci è farci portatori di alternative: avere una certa idea di mondo (chiamala ideologia o storytelling, ma andiamo a parare qui) e fissarsi degli obiettivi che servano nel concreto a tradurre la propria visione in realtà.
Un semplice test: quante persone si sono entusiasmate a febbraio con la scissione di Articolo 1? E invece, quanti ragazzi e ragazze statunitensi della mia età hanno riscoperto la politica con Bernie Sanders? Quanto sono aumentati i militanti del Labour inglese sotto Jeremy Corbyn (a luglio si parla di più di 575mila)? Non è solo una questione di slogan: dietro il laburista For the many, not for the few c’è un manifesto di 128 pagine.
A me non piace paragonare la politica ad un’azienda (abbiamo già abbastanza testimonianze…), ma quando alle lezioni di organizzazione aziendale sentivo parlare di mission e di obiettivi operativi per raggiungerla, mi veniva sempre da buttare un occhio sulla politica. Ovvero la politics e le policies che fanno quadrato intorno ad un progetto.
Manuel Tugnolo
P.S.: Neanche a farlo apposta, due giorni fa, tornando in treno dall’università, finivo di leggere Il sogno di una cosa di Pier Paolo Pasolini. Che dire: tra le ambizioni avventuriere dei giovani e lotte contadine dal basso, lì sì che c’è molta policy, altro che discussioni infinite da mondi di carta aristotelici.
4 Comments
Carissimo Compagno Direttore,
Non saprei dire se parlare del leader che deve guidare un governo – che si vorrebbe che si ispiri il più possibile “a sinistra” – sia parlare di “massimi sistemi”; ma, sicuramente a sinistra è l’idea di abbattere confini e non di conservare quelli vecchi e metterne di nuovi.
Così, non mi spiego perché il compagno Corbyn non si sia speso, anima e corpo, con i suoi giovani sostenitori, perché vincesse “remain” contro la “brexit”.
Infatti – non so se il compagno Manuel se la ricorda – una canzone “di sinistra” canta: “la nostra patria è il mondo intero,
nostra legge è la libertà;
ed un pensiero,
ribelle in cor ci sta”.
Ciao,Compagno Direttore, e buon lavoro.
Sergio Cassanello
Buonasera Sergio,
1. La questione di chi dovrà guidare il prossimo governo diventa un parlare di massimi sistemi ancora più se la legge elettorale rimane quella uscita “correta” dalla Consulta. Giusto oggi, in università, si è scommesso con amici di scienze politiche che il prossimo governo sarà Lega Nord-Fratelli d’Italia-M5S. Cioè: è una cosa che può interessare a noi del giro, agli amici del circolo o a pochi altri, non a molte altre persone. Ad oggi non conosco nessuno che si è avvicinato alla politica dopo una dissertazione su chi sia migliore tra Tizio e Caio.
2. Non sono un esperto di politica inglese quindi non posso rispondere. Posso comunque dire che l’esito della Brexit è l’esito ultimo di un paradosso della globalizzazione: i paesi sono meno disuguali tra loro, ma la disugugaglianza all’interno di uno stesso paese è in aumento. Quando tra questi svantaggiati c’è il lavoratore occidentale, non sempre è facile sostenere a pieni polmoni il Remain. Potrei scomodare le prime pagine de ‘Il capitale del XXI secolo’ di Thomas Piketty che accenna a questo paradosso, ma mi limito ad una frase di George Orwell che sfata il mito dell’internazionalismo proletario: «in tutti gli stati i poveri sono più nazionalisti dei ricchi». Di esempi ne vediamo già abbastanza. Insomma: la fratellanza dei lavoratori di tutto il mondo non è così automatica e spontanea.
Un abbraccio,
MT
Caro Manuel,
dice bene Sergio Cassanello.
Mettiamola giù piatta piatta: è una questione di programma di Governo.
Una sinistra seria deve avere un programma che sia serio e soprattutto fattibile, capace non di far sognare giovani, idealisti ed intellettuali, ma di raccogliere voti a sufficienza per poterlo realizzare.
Il programma può anche contenere misure non proprio di sinistra, se davvero servono (penso alla riforma delle pensioni, ad esempio); ma in ogni caso è meglio che quelle misure le prenda una forza di sinistra che una di destra.
L’idea che un governo della destra possa preparare in qualche modo una riscossa della sinistra è quanto di più pernicioso si possa immaginare: così sono nati il fascismo ed il nazismo, e forse anche la vittoria di Trump negli USA è riconducibile a questo atteggiamento.
La sinistra deve governare direttamente, facendo quello che le condizioni date rendono POSSIBILE.
Così qualcosa (anche se non il nirvana) si porta a casa e le condizioni della gente migliorano.
Natura non facit saltus, mai dimenticare l’uovo oggi, ecc. ecc.
Proviamo a farlo capire a 14 milioni di elettori almeno?
Io, se ci votano, non gli chiedo l’analisi del colore del sangue: gli chiedo solo di fidarsi di noi e del nostro programma.
E non li tradiremo.
Ernesto Trotta
Torino
Buonasera Ernesto!
Premettendo che non ho mai sostenuto per iscritto che tanto peggio, tanto meglio (ad esempio un governo di destra per una riscossa della sinistra), dico che lei sta semplicemente sostenendo quello che ho scritto sopra: concentrarci di più sulle policies, sulle politiche al plurale, sulle cose da fare nel concreto. Che poi ovviamente si traducono in un programma. E in un programma, appunto, cerchi di non fare a pugni col possibile.
Poi si porrebbe anche il problema (uso questo brutto termine) di “propagandare” i successi di governo, di quello che si fa. Questo perché le notizie cattive fanno più audience delle cattive: ci si sta ancora scannando, ad esempio, sul caso Consip (che manco sto a seguire tanto torbido è ed ininfluente sulla vita di tutti i giorni), ma dell’approvaziome del Reddito di Inclusione, dopo le prime 48 ore di entusiasmo, se ne parla un po’ pochino. Purtroppo, aggiungo io (e credo anche lei).
Un abbraccio anche a lei!
MT