Il “Corriere della Sera” pubblica un’ampia intervista a Matteo Richetti, raccolta da Maria Teresa Meli, il quale annuncia la sua candidatura a segretario del Pd. Come è noto, Richetti è catalogato come renziano di ferro. Da questo punto di vista nulla da dire. I renziani sono una corrente del Pd, la più organizzata; dopo che Del Rio ha detto di no, Richetti si candida e avrà avuto probabilmente il lasciapassare del suo capocorrente. Ad oggi, dunque, i candidati sono due: Zingaretti e Richetti.
Perché ne parlo? Ne parlo perché leggendo l’intervista emerge con chiarezza una cosa su cui ho scritto più volte: nel Pd non si svolge un congresso, con un confronto, non si tengono dibattiti su linee politiche e per la costruzione di gruppi dirigenti. C’è una gara tra candidati che si svolge nelle primarie. Infatti, Richetti nella sua intervista parla della propria candidatura nelle primarie e racconta come sarà e a chi si rivolgerà la sua “campagna elettorale” Usa questa locuzione più volte. Quindi, il cosiddetto congresso assume i caratteri della campagna elettorale che, come è noto, richiede capacità di conquistare proseliti. In questo caso non solo tra gli iscritti, che sono pochi, ma tra gli elettori, i quali se vogliono, con due euro e il certificato elettorale, possono partecipare alla “campagna elettorale” delle primarie.
Ecco perché anche Zingaretti opera in questo senso. Leggo che è andato a Napoli ed ha acquisito il voto e l’impegno del presidente della Regione, Vincenzo De Luca. Il quale, come si sa, dispone di molti amici, che non sono solo clientele ma anche consensi ad un modo di fare politica che spesso provoca sconcerto. Zingaretti ha una pratica politica del tutto diversa da quella di De Luca ma ne chiede ed ottiene la convergenza in una logica che appare di potere per il potere. Tutto questo lo chiamano congresso.
In questo quadro, non so cosa farà l’attuale segretario, Maurizio Martina: si candiderà o no? Lui, alla manifestazione di piazza del Popolo si è sgolato rivolgendosi agli elettori, soprattutto ai giovani, che non hanno più votato Pd. Ha gridato: “Abbiamo capito! Abbiamo capito!”. Ora si tratta, per noi, di capire cosa ha capito.
7 Comments
Caro Sergio,
da tempo Macaluso insiste su questo aspetto essenziale del percorso congressuale, vox clamans in deserto. Prodi, oggi, per esempio, sul Corriere della Sera ha perso la pazienza e ha chiesto di risolvere il problema di chi comanda nel Pd, avendo presente soprattutto l’ambiguità creata dall’atteggiamento di Renzi, un’affermazione comprensibile, ma che non risolve la questione posta da Macaluso, anzi la elimina in qualche modo. infatti,il problema del metodo è strettamente connesso alla questione del comando: se si elabora un programma, attraverso una discussione congressuale,e non attraverso investiture alle primarie, potremo forse rispondere alla domanda di fondo: chi comanda per fare cosa. Chi comanda e basta non è una risposta, è quello che è stato fatto fin qui, battersi per il potere. La cartina di tornasole di questa situazione ormai patologica è, da un lato, la ricerca di alleanze a prescindere dai contenuti (Zingaretti- De Luca per esempio), dall’altra la discussione, quasi surreale oggi, sulle alleanze future: la principale obiezione a Zingaretti, fin qui, essendo, da parte dei renziani, che vuole un accordo con i 5Stelle. Cioé, ancora, una questioen di potere, non di contenuti. Ci si allea con chi per fare cosa?
Eppure, appare evidente che l’attuale gruppo dirigente del Pd, con pochissime eccezioni che sanno di testimonianza, più che di realistica proposta politica, sembra appassionarsi solo alla lotta per la conquista del potere interno.
Fa rabbia, perché proprio l’azione di governo sviluppata in questi mesi dai due azionisti del contratto, e ancor più la filosofia (parola grossa, ma tanto per capirsi tra noi) che vi è sottesa aprirebbe spazi enormi ad un progetto politico, a un programma, da presentare al paese dopo averlo discusso sul serio. E’ stato detto giustamente da qualcuno che è del tutto inutile fare opposizione dicendo quello chenon si dovrebbe fare, e aggiungendo l’ovvio, cioé ciò che si dovrebbe fare, che somiglia sempre ad una lista della spesa e assai poco ad un programma concretamente attuabile, con tempi, modi e risorse. Se riuscissimo finalmente a riflettere su cosa è accaduto, senza offese e difese aprioristiche, dovremo finalmente riconoscere che la parte dell’azione del governo Renzi che ha avuto successo è quella dei bonus, cioé la parte che l’attuale maggioranza sta attuando con cinismo e sprezzo delle conseguenze ben superiore a quello nostro, e con slogans che, per essere francamete apertamente di destra e populisti nel senso deteriore della parola, sono anche più efficaci. Noi, quando facciamo cose che dovrebbero piacere a quelli di cui inseguiamo il consenso, per fortuna certe cose non possiamo ancora pemettercele. La parte del progamma del governo Renzi che, invece, ha causato una perdita di consenso, o non ha prodotto consenso sufficiente, è quella più seria e ambiziosa: la Buona Scuola,la riforma istituzionale, il Jobs Act. Non tutto era sbagliato in quelle riforme, e comunque erano tentativi veri di attuare un’idea di società. Il fallimento, in termini di consenso , ha tante ragioni, fra le quali non metterei a priori il fatto che erano sbagliate in parte, o che il fuoco amico le ha fatte fallire. Non mi interessa rifare il processo al renzismo. Mi interessa capire, se è possibile, perché questo tentativo non ci ha messo in sintonia col paese, con i nostri interlocutori naturali. In parte questo è avvenuto per la sensazione di una imposizione, di una discussione non aperta, in nome di un’efficientismo che non fa parte, a torto o a ragione, della nostra cultura politica. Ma la ragione più ovvia è, secondo me, che vi erano urgenze, disagi, condizioni drammatiche che premevano, cui progetti di riforma troppo ambiziosi, complessi non potevano dare risposte immediate, dagli effettimisurabili con semplicità, o meglio semplicisticamente. Chi non vuole abolire la povertà? chi non vuole godersi la pensione il prima possibile? Invece, la Buona scuola, per essere davvero buona, avrebbe dovuto risolvere non solo il problema del precariato delle cattedre, che poi ha creato probliemi, ma quello dell’adeguamento dei salari, della sburocratizzazione, e soprattutto dei percorsi formativi; insomma, al buona scuola è quella che dà dignità, centralità, all’istituzione, e questo richiede tempo e competenze vere per fare le leggi; quindi, non poteva funzionare per creare consenso, adesioni acritiche. In modi diversi, ovviamente, lo stesso discorso vale per il Jobs act e per la riforma istituzionale. Ciò che mi pare di poter concludere,provvisoriamente, è di una banalità sconcertante: profittiamo del fatto di non avere resposabilità di governo, e fermiamoci a pensare. Le grandi riforme spesso non portano consenso, perché alterano lo status quo, possono spaventare perché incidono su abitudini e a volte privilegi veri o sentiti come tali. Eppure, noi possiamo solo sperare di avere consenso, chiedere di governare di nuovo, su grandi progetti che debbono però fare riferimento ad una idea di società, un’idea che non eluda i problemi immediati (della povertà, dell’immigrazione etc.), ma che li collochi in una prospettiva più ampia, credibile, che include la scuola, l’ambiente, i beni culturali,le tipologie del lavoro, l’idea di democrazia e partecipazione etc. Cose che vanno affrontate, ma con la logica del progetto, non della ricerca del consenso immediato per le prossime elezioni, o fermandoci alla cosmesi, come nel caso della selezione dei direttori dei grandi musei, senza ancora volta proporre un’idea alta di politica dei beni culturali. O ce la facciamo, o il paese va a rotoli, non solo la sinistra e il Pd. Quindi, una nuova classe dirigente, che non si limiti a rese dei conti di cui, direbbe Salvini, non frega niente a nessuno. Più facile a dirsi che a farsi. L’altro girono ho evocato Annibale, avrei potuto evocare il dramma della seconda guerra mondiale, che avviò la nostra stagione più ella: certo, a seguito di immani tragedie, è più facile (non sempre) rinnovare una classe dirigente (che magari va nella direzione sbagliata, vedi il fascismo dopo la prima guerra mndiale). Non mi pare saggio e prudente attendere eventuali cataclismi. Non credo però neanche nei processi di autoriforma; quindi sono pessimista, e mi sento come uno che parla per sentire la sua voce e sentirsi intelligente. un pò squallida, come sensazione.
Caro professor Guido e caro grande ex dirigente del PCI , partito che io ho sempre votato fino all’estinzione, io non sono un intellettuale come voi: sono nato nel profondo sud Italia, dove Cristo non era ancora arrivato, come scriveva Carlo Levi, e sono stato costretto, come tanti miei conterranei, ad emigrare, abbandonando il mio mestiere di pastorello, a Milano in cerca di quel Dio che non arrivava. Nella grande metropoli ho studiato con grandi sacrifici e sono passato da impiegato d’ordine e sindacalista della Cgil a responsabile di uno stabilimento nella Brianza lombarda. Concludendo la mia vita, che si sta avviando ormai verso la fine, è stata molto faticosa, piena di sconfitte e qualche disgrazia ( ho perso la moglie ed il lavoro a 49 anni), ma non mi sono mai arreso e non intento farlo fino a che morte non mi separa da questa terra .
Mi riesce difficile accettare il vostro pessimismo, caro Emanuele e Guido: il mondo che noi lasciamo ai nostri figli è sicuramente migliore di quello in cui noi siamo nati. Certo sono crollati i nostri miti e le nostre filosofie: succede quando si passa dalla teoria alla pratica. Infatti la teoria marxista -leninista, nella quale credevamo (almeno io e Macaluso) è fallita miseramente, ma è servita per far progredire il mondo odierno ed affermare che le tre caratteristiche fondamentali agli essere umani sono: la competitività, la libertà di parola, la dignità; tutte cose non previste nelle società comunista defunte.
Io non sono più comunista e sono contento: il mio percorso politico è stato travagliato, duro ma sono approdato alla democrazia rappresentativa, che è per me il sistema migliore che conosca e non ho rimpianti per gli ideali e i miti che hanno guidato la mia giovinezza. Ho capito inoltre che le teorie filosofiche vanno testate prima di essere approvate e se non superano la prova devono essere scartate definitivamente. I congressi del PCI erano una farsa: non erano le esigenze dei cittadini che influenzavano il partito ma la linea maggioritaria di quest’ultimo che orientava le esigenze dei cittadini; cosi il partito, per esempio, finiva per negare al popolo comunista la televisione a colori considerata un lusso da ricchi. Quindi se il PD facessi i congressi come il PCI dovremmo ammettere di voler tornare alla teoria comunista ed io non ci sto. Credo che il partito democratico debba partire dalle esigenze dei cittadini per costruire la sua linea politica e quindi il suo segretario. Il popolo del PD, io penso, sentendo tanti iscritti e simpatizzanti, che voglia tre cose fondamentali:
1 ) creazione e protezione del posto di lavoro;
2 ) regolare, controllare le migrazioni e l’accoglienza non può essere per tutti;
3 ) costruire L’unione degli stati europei ( USE ).
Chiudo: io voterò il PD solo se proporrà i tre suddetti punti, tutti gli altri discorsi filosofici non mi interessa e sono ottimista . Scusate, se non la penso come voi, ma siamo in uno stato governato dalla democrazia rappresentativa, per la quale sono disposto a morire. Un abbraccio a tutti Antonio
Sì, Antonio, partiamo da programmi minimi, su cui possano convergere varie sigle politiche. E facciamolo guardando all’ Italia, all’ Europa di oggi. Aggiungerei soltanto un punto relativo alle nostre responsabilità in quanto abitanti del pianeta Terra.
I vecchi partiti, anche quelli che abbiamo amato, sono ormai il passato.
Sandra Festi – Bologna.
La diatriba sempre aperta nel centrosinistra tra chi chiede il dibattito sui contenuti e sui progetti PRIMA del confronto sulle candidature alternative e chi invece sostiene il contrario (sto schematizzando molto, lo so, ma alla fin fine siamo lì!) rischia di diventare una classica discussione sull’uovo e la gallina.
Soprattutto fa emergere la mai risolta contraddizione della sinistra sulla leadership, contraddizione sulla quale vale la pena tornare ad insistere.
Leadership temuta, e guardata con fastidio e diffidenza, per i suoi potenziali aspetti autoritari e personalistici (il culto del capo, i cerchi magici, …), ma al contempo storicamente sperimentata e praticata con i tanti leader carismatici che pure la sinistra ha avuto.
Spesso, come sappiamo, questa contraddizione è sfociata nella demolizione dei leader stessi (Occhetto, Prodi, Veltroni, Renzi), con notevole danno per la sinistra stessa e per tutto il Paese.
Inutile girarci intorno: c’è qualcosa di irrisolto in questo rapporto, un’avversione, tutta teorica, addirittura cerebrale, ma a volte anche opportunistica, verso la figura del leader e la naturale esigenza di guida che ogni organizzazione umana esprime.
Il mito della politica senza leader è una sciocchezza sesquipedale.
Le idee, le migliori e purtroppo anche le peggiori, camminano sulle gambe di uomini in carne ed ossa, e quelli che hanno le idee più chiare, che hanno un progetto, che sono più capaci di esprimerlo, motivarlo, organizzarlo, emergono sempre e sempre prendono la guida.
È naturale, è logico, è sempre stato così e così sempre sarà.
La democrazia ha introdotto regole per la selezione, ha previsto il coinvolgimento dei cittadini, pesi e contrappesi nelle istituzioni, tutto per evitare gli aspetti pericolosi della leadership, ma in qualunque organizzazione umana serve un leader, con una classe dirigente a lui omogenea, pena l’inconcludenza e l’inefficacia dell’azione.
Sono banalità? Può darsi.
Prendiamo il nostro caso.
Il PD ha un’evidente problema di leadership. Con Renzi al momento fuori gioco, finora non sembra emergere una figura di leader con caratteristiche tali da spiccare con evidenza su tutti.
Parecchie ottime persone, spesso su posizioni politiche molto diverse tra di loro (ed è per questo che si fa un congresso …), ma nessuna figura prominente. Almeno a mio modesto parere.
Ciononostante, prima le convention delle diverse anime del Partito, poi la conferenza programmatica di fine mese, i congressi ed i dibattiti nei circoli, quindi le primarie, infine l’Assemblea, disegnano un percorso nel quale non vedremo solo candidati in competizione tra di loro, ma ascolteremo anche proposte, visioni diverse (si spera non troppo diverse …), idee sia sul Partito che sul Paese.
Sta agli iscritti, insieme all’attuale dirigenza, far sì che tutto non si trasformi in una selvaggia battaglia di tessere, clientele, sfere di influenza.
D’altronde, se il PD non trova al suo interno la forza di regolarsi, di ripulirsi dove serve, di autocontrollarsi, chi volete che lo faccia, un marziano?
Chi deve denunciare porcherie, le denunci. Chi vuole proporre svolte, le proponga. Chi pensa di avere idee e forze per dare indirizzi diversi, si candidi.
Basta che parliamo di politica e non di poteri personali o peggio di simpatie.
Facile? Certamente no.
Ma c’è una via diversa per un’organizzazione che vuole tornare al più presto alla guida del Paese?
Perché di questo si tratta, non di elaborare un buon programma di opposizione né di recuperare un po’ di voti alle elezioni.
Non serve tornare al 25%, serve il 40%, nulla di meno. O così, o sarà un’altra sconfitta, cocente.
Per arrivarci, si sa, bisogna prendere i soliti famosi 14-15 milioni di voti; con un singolo Partito, con una coalizione tra due Partiti? Vedremo.
Una cosa però è a mio parere assolutamente certa.
Quando la terribile esperienza del governo Lega-M5S sarà finita, speriamo presto e soprattutto senza catastrofi, per sgombrare le macerie e ricostruire servirà riproporsi al Paese in modo credibile e soprattutto servirà riproporsi al mondo ed all’Europa come Paese guida dell’integrazione e non dello sfascio.
E servirà una figura eccezionale. Servirà un leader formidabile, un asso, un CR7, non basterà un pur bravo professionista.
Dovremo mostrare al mondo il nostro lato migliore, che esiste ed è notevole, attraverso un esponente di rilievo mondiale.
E non affatto detto che debba essere organico al PD.
Dovremo integrarlo, aiutarlo, supportarlo con tutti i bravi professionisti, che per fortuna non ci mancano.
Questo servirà, cominciamo a pensarci da subito.
Questi pseudo rivoluzionari che ci governano cincischieranno, tireranno avanti, prometteranno ancora tanto, faranno pure la voce grossa, ma punteranno tutto sulle elezioni europee di maggio.
Poi, se non sfonderanno (e starà a TUTTI gli europeisti d’Europa impedirlo), dovranno fare i conti con la realtà.
Cercheranno le elezioni anticipate, Salvini vorrà sfondare da solo, il M5S dovrà rendere conto ai suoi elettori delusi delle troppe promesse fatte, ma noi, il centrosinistra, dovremo essere MOLTO, ma molto convincenti per riuscire a vincere.
Ecco perché ci servirà non il meglio ma l’ottimo.
Il PD si prepari, elegga un Segretario che sia consapevole delle difficoltà, che abbia misura, ma anche coraggio e determinazione per usare, all’occorrenza e dove serve, il famoso lanciafiamme.
Il Partito dovrà ritornare ad essere appetibile sia per gli elettori che per tutte le personalità eminenti che se ne sono allontanate. Dovrà apparire ed essere il polo d’attrazione, lo strumento essenziale per il ritorno ad una politica riformista incisiva e duratura.
Dopo le sbronze ci vuole caffè forte, una bella doccia, un buon cambio di abiti e una faccia fresca e riposata.
Si può fare.
Caro Ernesto,
l’ aggettivo sesquipedale lo usano i politici di destra o quelli di sinistra? Io penso che usare un linguaggio forbito ma poco comprensibile a tutti coloro che leggono sia un errore sesquipedale: scoraggia i “non intellettuali” a continuare a leggere quello che uno scrive. Usare un linguaggio semplice ed alla portata di tutti deve essere la caratteristica del nostro leader: se parla solo agli intellettuali, secondo me, fa un buco nell’acqua e vincono ancora lega/5stelle. Il segretario Nazionale del partito democratico deve dire poche cose e mediate,dopo un compromesso tra le varie linea politiche esistente del PD, in modo che tutti capiscano ed una maggioranza solida lo appoggi
e lo sostenga. I prossimi canditati, invece alla segreteria del partito democratico devono, sempre secondo me, chiarire con poche semplici parole la loro linea politica sulla quale iscritti e simpatizzanti del PD daranno la loro fiducia. Comunque sono d’accordo che senza un leader forte e carismatico il PD piano piano, rischierà l’affondamento. Buona giornata a tutti Antonio De Matteo
Caro Antonio,
ho letto per la prima volta l’aggettivo “sesquipedale” in un albo di avventure di Topolino (o Paperino, non ricordo) quando avevo una dozzina d’anni, metà anni sessanta, per intenderci.
Mi incuriosì, ne cercai il significato sul dizionario e da allora lo uso normalmente, perché è entrato a far parte della mia (scarsa) cultura.
Adesso abbiamo anche paura delle parole “forbite”?
Su, parliamo di politica, per favore.
Ho parlato di politica, magari in modo sesquipedale, ma sempre politica è. Grazie comunque Ernesto: ho imparato anch’io un vocabolo nuovo Che vedrai userò spesso. Un abbraccio Antonio