Al Cinema Arsenale di Pisa l’11 giugno si è tenuta la presentazione del documentario “Eravamo tanto amati” sulla “svolta” del PCI tra il 1989 e il 1991. Mi sembra interessante questa riflessione scritta da Davide Guadagni dopo la proiezione e il conseguente dibattito.
Ora, come capirete, dato il luogo, la data, il momento, il tema e la compagnia, i miei amici Alberto Gabbrielli e Antonio Capellupo mi hanno infilato in un rafano niente male. E ora vediamo come cavarcela. Quel che pensavo quando, la scorsa settimana (ero ancora giovane), ho iniziato a scrivere questi appunti è che gli esiti elettorali avrebbero oscurato il film, ora invece penso che le due faccende possano essere complementari se non speculari.
Uno dei pensieri che ho avuto, come sapete amo la sintesi – e Fontanelli mi è testimone – è che questo incontro avrebbe potuto avere un titolo, tipo: “La serata del latte versato” concetto che accomuna, mi pare, quel che avete visto sullo schermo e quel che anche questa tornata elettorale ci ha dimostrato, Pisa compresa.
Cominciamo dalla compagnia. Non avevo il piacere di conoscere i tre autori del film. Dopo che l’ho visto m’incuriosiva capire in che stagione della loro vita gli era capitato di incrociare la storia che hanno raccontato e, ancor prima di incontrarli, lo avevo intuito: son ragazzi. Mi sono fatto altre idee guardando l’opera, ma ne dirò dopo. C’erano poi altri due, che ragazzi non sono, e conosco assai bene e mi ero preparato ad accoglierli come meritano. Mi hanno avvertito all’ultimo che Sergio non c’è e mi dispiace, ma anche per evitare che, restringendolo, si drammatizzi il confronto, farò finta che ci sia e parlerò anche di lui che mi serve da velo e da sponda.
Con Sergio Staino ci conosciamo dai primi anni Novanta. Da allora abbiamo fatto un bel po’ di cose insieme. Abbiamo anche frequentato persone e luoghi imbarazzanti, dal Sofri, al Guelfi, al Macelloni, dal Don Bosco, al Verdi, alla Leopolda. Oramai – Bruna e Roberta si sono rassegnate – siamo una coppia di fatto e ogni anno a primavera, presso la pregiata scuola Sant’Anna, mettiamo in scena una lezione che è diventata una specie di spettacolo con successo crescente.
Di lui penso che sia una persona tra le più generose, coraggiose e ingenue che abbia mai conosciuto. Un fanciullino incosciente, un creativo inesauribile che è riuscito in imprese storiche come aprire Tango e chiudere l’Unità.
Politicamente ha iniziato da filocinese e filoalbanese sulla scia delle idee di un farmacista di Pontasserchio (qui avrebbe riso assai perché è incredibile, ma è proprio così). Rientrato nei binari ha seguito, non senza sussulti e deviazioni, la storia che il film racconta fino, oggi, ad approdare nei pressi di Cuperlo che, da decenni ormai, è il più intelligente dei giovani anche se si avvia alla sessantina.
Sergio ha una caratteristica rara per un intellettuale di sinistra: è laico e totalmente sincero. Sa riconoscere gli errori e, oltre ad essere campione di ironia, sa esserlo anche di autoironia. A volte, come nel caso delle monetine a Craxi, ci mette 25 anni e un mese, ma poi ci arriva.
Anche con Paolo Fontanelli siamo stati una coppia, ma clandestina. Una storia non breve e tormentata. Iniziò a fine anni Ottanta, direi, quando lui faceva il segretario di Federazione e io rompevo i coglioni (non ho mai smesso e stasera ne avete conferma). Da allora molti alti e bassi. Nel ’94 ci separammo per divergenze su certe sue scelte, ricomponemmo nel ’98 quando gli regalai un pennarello rosso. Nel 2003, poi, abbiamo fatto una lista e una bambina e così la tresca fu scoperta e scatenò gelosie che non avete un’idea. Litigammo ancora nel 2008. Poi, più di recente, lui strappò. Fuggì con un suo vecchio amore: uno coi baffi che vive a Roma che io non ho mai sopportato. Da lì, dopo un disperato tentativo di impedirgli lo scellerato gesto con una lettera strappacore, non l’ho più capito e ci ho proprio rinunciato. Quel che so è che ora Pisa ha tre parlamentari leghisti e, pur augurandomi il contrario, temo che non sia finita qui.
Di lui penso che sia una persona di rara onestà intellettuale, un ottimo amministratore, un uomo molto paziente tanto che riesce a sopportare ancora oggi i grilli parlanti che, magari, gli dicono in pubblico che è sempre più spesso vittima di abbagli frutto del fatto che riesce sinceramente a convincersi che quel che aveva deciso prima ha motivi razionali per essere giusto. Uno che si fa tornare i ragionamenti, insomma.
Per ora non farò domande, ma in quello che ho detto e che dirò, vedrete, fornirà a tutti spunti che non mancheranno di sollecitare argomenti e risposte. Più avanti poi segnalerò anche altre invisibili presenze, ma non voglio rovinarvi la sorpresa.
E ora parliamo del film. Il film si cimenta su un tema molto frequentato provando a diventare un sequel di quanto tanta filmografia ci aveva già ammannito. Secondo me ci riesce in parte proprio perché ha difficoltà a distaccarsi da quella. Indugia troppo sul passaggio cruciale che, dal 1989 al 1991, segnò la storia politica della sinistra italiana (non a caso, dovendo individuarne un protagonista, risulterebbe Occhetto). Si trascura molto del resto. C’è una disciplinata cronaca, ma mancano molte emozioni, molte speranze successive che pur ci sono state.
Ha però anche dei meriti e propone delle novità: il fatto che sia cucinato in salsa toscana, ad esempio, rende per noi la storia più leggibile. Inedito e molto interessante il passaggio sull’ambientalismo dove si certifica che uno dei grandi temi epocali, che permeò l’azione politica di grandi movimenti in Francia e in Germania, sia stato praticamente ignorato dalla sinistra italiana che pur ha espresso personalità di straordinario rilievo come quella (provo a fare la pace col Fontanelli) di Alex Langer. Langer – uno dei massimi politici europei del Novecento – preso adesso anche in Vaticano come riferimento, all’epoca fu guardato con grande diffidenza se non con ostracismo.
Altro merito (sottilissimo) che colgo è quello di ricordarci l’esistenza e l’importanza di una categoria che il tempo ha cancellato: quella dei Segretari di Federazione del Partito Comunista Italiano (quando ognuna di queste parole veniva scritta, giustamente, con la lettera maiuscola). Gli interventi di Mario Ricci, all’epoca segretario a Massa, la sua sottigliezza di analisi, la lucidità, il disincanto, mi ha fatto tornare alla mente l’esistenza di questa categoria preziosa, i dirigenti comunisti locali. Quello che probabilmente è stato il loro più alto esempio abbiamo avuto la fortuna di averlo a Pisa: Giugi De Felice. Fausto Valtriani ha scritto che era il più grande segretario di federazione del mondo, io, che lo conobbi assai dopo, lo confermo e colgo l’occasione per rievocarne la memoria. Tra i molti meriti ne ebbero uno semplice ma capitale, quello di fare come in natura: prendersi cura di quelli di dopo, insegnargli a camminare e poi farsi da parte. Ecco, sono stati gli ultimi, quelli che hanno imparato a camminare da loro non lo hanno più insegnato – escluso Cuperlo – a nessuno (basta guardarsi in giro) e non si sono più fatti da parte (basta guardarsi in giro).
Il film ci ricorda anche altro: il concetto di partito come famiglia. Il Guelfi, creatura assai precoce, che sente i primi palpiti il 25 aprile quand’era nella pancia della Carla; il Picchi che lo ritrova nel sugo di sua madre; il Conti che non riesce a disgiungere i due concetti e ci ricorda che gli asini volicchiano.
Tutto questo ci fa correre un gran rischio: quello della nostalgia. Di qualcosa che appartiene irrimediabilmente al passato e lì deve restare. C’è un particolare che vorrei sottolineare che a mio avviso è emblematico. Quando Mario Tredici rammenta la lunga stagione monocolore del governo di Livorno e poi appare (sgradito a Fontanelli, che lo vede stonato nel film) Filippo Nogarin che ci rammenta che quel monolite è stato il primo a cadere nelle mani del nemico. Non è un caso, vi assicuro. Paolo, non devi infastidirti perché è nel film, dovresti infastidirti perché è sindaco della città più rossa d’Europa e ce lo hanno mandato i nostri errori. Siamo arrivati al punto che rischiamo che nella Toscana costiera l’unico centro di resistenza rossa rimanga Lucca, e non aggiungo altro.
Un altro concetto che emerge è che quella politica era bella ma, dopo la Liberazione, sul piano storico ha avuto quasi sempre torto marcio. In pratica quando avevamo torto eravamo belli, quando abbiamo cominciato ad aver ragione siamo diventati brutti. E, soprattutto, abbiamo praticato metodicamente quello che un altro regista espertissimo del tema, Nanni Moretti, ha riassunto nella celebre frase: “Continuiamo così, facciamoci del male”. E questo introduce l’altra entità invisibile, a cui facevo cenno all’inizio, che non solo c’è – eccome – ma è la chiave di tutto: i Lemmings.
Essendo che siete quasi tutti persone di età rispettabili mi premuro di spiegarvi chi sono i Lemmings. Sono i protagonisti di un videogioco, nato più o meno quando ci siamo conosciuti con Staino, che è stato popolarissimo. Sono ispirati a veri animali, dei piccoli roditori artici che, in italiano, si chiamano Lemmini. È credenza comune che – e qui comincerete a cogliere il senso della metafora – abbiano un istinto che li induce al suicidio collettivo.
Lo scopo del gioco è quello di impedire che questi simpatici esserini si sterminino in gruppo. Ecco, qui posso rivelare con un certo orgoglio di essere stato un campione di Lemmings e di appartenere all’esigua minoranza della popolazione mondiale che è riuscita a completarne i 100 e passa schemi. Essere più ingegnosi delle raffinate manie autodistruttive dei Lemmini, vi assicuro, è complicatissimo.
Forte di questa consapevolezza mi sono sentito in dovere di utilizzare questa comprovata abilità per provare ad impedire quel che mi vedevo intorno da decenni: questa sinistra di Lemmini che con ostinazione e metodo persegue la volontà di estinguersi. Anche a Pisa, di recente, ho provato, ma senza successo mi pare.
L’istinto autodistruttivo della sinistra italiana, infatti, rispetto a quello dei Lemmini è superiore e ha una caratteristica ulteriore. Per procedere più speditamente nel suo scopo suicida, in via preventiva provvede ad uccidere il proprio capo.
Per cui, come il film documenta impietosamente, in proprio o con la complice volontà di temporanei fiancheggiatori, li ha distrutti tutti: Occhetto, Veltroni, Prodi, Fassino, Franceschini, Epifani, Bersani fino a Renzi e oltre. Questo, nella logica del gioco, rappresenta un salto di qualità, e si è data un nuovo traguardo che prevede anche la distruzione di chi distrugge: “Muoia Sanson con tutti i filistei”. Ecco, siamo arrivati a questo punto.
Con l’esito che stasera, noi siamo qui, ridotti così (come peraltro ha già mirabilmente riassunto Sergio Staino) perché Matteo Renzi è davvero molto antipatico.
E su questo, per chiudere, rifletterei sul ruolo che ognuno di noi ha svolto in questa lunga parabola, citando un altro poeta che fa parte del nostro pantheon: “Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”. È perciò che vorrei segnalare la presenza in questa sala di un numero davvero impressionante di Lemmini. Guardate la persona che vi sta accanto e vi accorgerete che potrebbe esserlo e, con tutta probabilità, lo è. Lo stesso, vi assicuro, potrebbe pensare lui guardando voi. Lo sono anch’io che parlo, pensate. Lo so che non siamo d’accordo e, se ce ne fosse bisogno, questa è l’ultima, definitiva conferma che ho ragione.
Ed eccoci qua a ragionare sul latte versato nel lungo e nel breve periodo. Oggi anche Pisa pensosa pende. Nel frattempo a Roma, dopo decenni che gridavamo “Al lupo, al lupo”, è arrivato il lupo: un governo tecnicamente fascista. Ma noi non gridiamo nemmeno più. Anzi, gridano loro, e più forte grideranno per coprire col rumore quel che non riusciranno a fare acquistando così ancor più vasti consensi. Diciamo che non sono ottimista.
Comment
Propongo di proibire la lettura del testo qui sopra ai minori di 18 anni ( perché i maggiorenni ha no già votato),
Sandra Festi – Bologna