Ci fossero tanti Pierfrancesco Favino! – Piero Sansonetti
Da molti anni non vedo il festival di Sanremo. L’ultima volta credo di averlo seguito nel 1971, quando vinsero Nada e Nicola Di Bari col “cuore è uno zingaro” e Lucio Dalla arrivò terzo con “Gesù Bambino”. Tv in bianco e nero. Neanche stavolta l’ho visto. Però ieri mi è capitato di trovare sul “Corriere” online il video con il monologo di Pierfrancesco Favino. Mi ha fatto venire i brividi.
Non conoscevo questo testo di Bernard- Marie Koltès, intitolato “La notte poco prima delle foreste”. Koltès è un drammaturgo francese, un po’ “maledetto”, morto di Aids alla fine degli anni ottanta quando aveva appena 40 anni. Il monologo è del 1977. Allora in Italia l’immigrazione di massa non era ancora conosciuta. In Francia invece la condizione dello straniero, soprattutto dell’africano, era un problema.
Favino ha recitato questo testo, splendido e potentissimo, con grande maestria ma soprattutto con una partecipazione personale veramente emozionante. Si è commosso, ha pianto, mentre la voce, all’inizio triste e rassegnata, saliva, saliva e diventava un urlo rabbioso contro l’ingiustizia e la solitudine. Ha costretto il teatro del festival a un silenzio totale, stupìto, quasi religioso. Ha strappato un grande applauso. Ha parlato – dicono i dati di ascolto – a milioni di persone, e ha parlato con il linguaggio e la forza che solo un artista può avere. Un artista come lui e un artista come Koltes. Non credo che nessuno negli ultimi anni sia riuscito a completare un discorso così forte e convincente, sui problemi degli immigrati, facendosi ascoltare da tutti. Già, qui è la novità: da tutti, anche da quella parte di popolazione che non è del tutto contraria alla xenofobia.
Favino non ha svolto un ragionamento. Ha comunicato con il mezzo della poesia e delle emozioni. È complicato chiudere la porta in faccia a chi ti comunica poesia. Sei costretto a farlo entrare in casa tua, comunque tu la pensi. Il ragionamento è più complesso, più freddo. È difficile imporre un ragionamento. Se c’è dell’ottima gente che ne ha abbastanza e che sente dentro di se una ostilità forte e dura contro gli immigrati, come fai a farla aprire a un ragionamento. Troverà sempre una ragione per chiudersi. Ma una emozione non può respingerla. Favino è riuscito a fare questo. A far crollare un muro ostile, sordo, proprio nei giorni di Macerata, del muro contro muro, della crescita di una opinione anti- immigrati che sta conquistando una parte molto grande, probabilmente maggioritaria dell’opinione pubblica.
Il monologo di Favino ha molto a che fare con le polemiche di Macerata. Non è semplice dire chi ha ragione e chi ha torto a Macerata. I manifestanti? Il Pd timoroso e prudente? La Bonino? La destra furiosa perché dice che gli immigrati hanno aumentato l’insicurezza?
Favino- Koltes ha tagliato via tutte queste polemiche. E ci ha detto una cosa sola, chiara e forte: lo straniero siamo noi. Chiunque di noi. Lo straniero è la solitudine. Lo straniero è la debolezza. Lo straniero è il rifiuto, la porta che si chiude in faccia, la legge che ti scaccia e ti perseguita. Lo straniero è il restare fuori. Ci ha detto: prova a vederla così. prova a vedere la persona- straniero, l’ingiustizia che subisce, la violenza morale, e prova a pensare te stesso straniero, a immaginare perché anche tu sei straniero.
Non era propaganda politica. Era pensiero ed emozione allo stato puro.
Qualcuno ha protestato. Ha protestato per esempio il senatore Gasparri. Perché ha protestato? Non lo capisco. Gasparri è un vecchio militante del Msi, sa cosa vuol dire essere emarginati, indicati a dito, tenuti a distanza, invitati a stare nelle fogne. Gasparri conosce benissimo l’arroganza di chi si considera superiore, l’ingiustizia di essere considerati stranieri, fuori dalla comunità. Mi ricordo che il segretario del suo partito, quando il Msi entrò per la prima volta in maggioranza, nel 1994, esultò recitando un verso bellissimo di Dante: «e quindi uscimmo a riveder le stelle». Proprio così. Gasparri è stato straniero anche lui, come lo straniero di Koltés. Favino parlava anche a lui e alla sua storia.
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