Rino Formica, ex ministro socialista, lei è sempre stato critico con Mario Draghi.
«E infatti non sono stupito che alla fine l’abbiano costretto a lasciare».
Cosa è successo?
«La legislatura è finita così com’era cominciata: con un gesto di rottura dei Cinquestelle: Draghi è stato l’ultima vittima dei populisti».
A cosa puntava esattamente Conte?
«Ha cercato la bella morte.
Cacciare Draghi è stato un gesto in linea con l’identità originaria del Movimento».
Draghi cade per un residuo sussulto populista?
«Esattamente».
Non era l’unico che poteva tenere insieme tutti?
«Ho sempre pensato che fosse inadatto. Viene dalla Banca centrale, dove vige la regola dell’uomo solo al comando. Aveva tolto la fiducia ai partiti, ma li obbligava a votare la fiducia alla sua persona. Prima o poi il Parlamento si sarebbe ribellato a questa logica».
Perché Salvini lo ha fatto cadere?
«Stava perdendo i voti a favore di Fratelli d’Italia. Da un lato la Lega è il partito degli interessi diffusi nelNord Est, dall’altro lui l’ha trasformato in un soggetto clerico reazionario, di populismo religioso. Tra le due anime era sorto un conflitto. Ha prevalso l’anima populistica».
Anche Meloni è populismo?
«No, è destra storica, conservatrice, però compensata da una visione occidentale e atlantica».
Le fa paura?
«Sì, mi spaventa. Penso che abbia una carta scoperta che non tira fuori: il presidenzialismo».
Perché carta coperta? Meloni ha ribadito che il presidenzialismo sarà nel programma.
«Sino ad oggi è stata una sempliceenunciazione politica tradizionale del suo movimento, ma siamo sicuri che sarà anche il programma di governo dell’intera destra?».
Cosa intende dire? Lo vogliono fare, ma non lo dicono?
«Non possono dirlo. È il superamento della democrazia parlamentare, sostituita da una illiberale e autoritaria».
Teme una svolta autoritaria?
«Sì, ma indolore. La destra potrà vincere, ma non riuscirà a governare, perché l’affermazione sarà troppo risicata o contraddittoria, e a quel punto tenteranno di abbandonare la democrazia parlamentare perquella del presidenzialismo».
Qual è il modello?
«Orban. Garantiranno il rispetto di tutti i vincoli internazionali, ma poi in Italia faranno come in Ungheria».
L’appassiona la lite sulla premiership?
«È un cambio di figuranti».
Meloni può fare il premier?
«È indifferente. Porteranno a termine comunque il loro disegno.
E il pericolo è che, una volta avviato il processo di riforma costituzionale, sin dal primo voto la posizione del Presidente della Repubblica diventa provvisoria».
Mattarella non è l’ultimo
garante che ci è rimasto?
«Sì, ma se cambiano la Costituzione metteranno in discussione anche lui».
Berlusconi perché ha accettato?
«È convinto che nel vuoto di potere che si creerà potrà fare il Capo dello Stato facente funzione da presidente del Senato».
Il Pd che deve fare?
«Deve giocare la sua campagna anche su questo: chiarire se la procedura di revisione costituzionale che investe l’intero equilibrio istituzionale può essere affrontato con l’utilizzo dell’articolo 138 della Costituzioneo con la via maestra di un’assemblea costituente».
La campagna non si giocherà sulla questione sociale?
«Capisco che al disoccupato non importi nulla di questo movimento, che però rappresenta un rischio mortale».
Il Pd le sembra consapevole della partita in corso?
«Spero abbia contezza del pericolo, già non ha fatto nulla contro il taglio dei parlamentari. Mi auguro che le sue candidature siano autorevoli e non acchiappavoti».
Conte ha infilato l’Italia in un bel guaio?
«Cosa si aspettava da uno che ormai è una gag di Grillo?»
Far cadere Draghi non ci ha portato un discredito internazionale?
«Il voto non è uno scandalo. Draghi può operare fino a novembre, con poteri più ampi di quelli che si pensava. Lo spread non è esploso».
La stampa internazionale è in allarme per una possibile vittoria della destra.
«Il vero pericolo è che l’Occidente chiuda gli occhi. Che si accontenti dell’adesione alla Nato, alla Ue, sorvolando sul quel ci potrà accadere sul piano dell’involuzione democratica».
La Repubblica, 27 luglio 2022
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