In politica sono i giorni delle scelte, delle alleanze e degli equilibri, e, soprattutto a sinistra, delle riflessioni sul futuro delle varie anime interne. A guardare da fuori la situazione, con quella lucidità che è data dalla distanza e insieme da una lunga frequentazione dei palazzi della politica, l’ultimo segretario del Pci e traghettatore della storica svolta della Bolognina Achille Occhetto. Quando l’abbiamo interpellato, chiedendogli di dire la sua sul futuro della Sinistra italiana, ha risposto con il piglio ironico e tranchant dei vecchi tempi, dicendoci: “Beh semplice, non ne ha”. Una battuta, naturalmente, come dimostra l’accurata analisi che segue della difficile situazione del Pd e in generale della Sinistra italiana.
Cosa ha pensato la mattina del 5 marzo?
“Anzitutto mi si è presentato davanti un mondo totalmente diverso, che usciva definitivamente dai parametri culturali e politici del ’900, con la prevalenza di pulsioni populiste. Ma l’altro aspetto che mi ha colpito non è tanto sconfitta di questo o quello – e non approvo le critiche ripetute a Renzi, di cui tra l’altro non ho condiviso la politica – quanto piuttosto vedere che in tutta Europa e anzi su scala mondiale, sia in atto una crisi di tutte le sinistre, sia quelle moderate sia quelle radicali, come peraltro ha ben dimostrato il voto italiano. Una crisi che definirei di sistema, perché finora avevamo avuto le condizioni sui cui sono prosperate le politiche del welfare, quelle che hanno reso famoso il socialismo democratico europeo ma che oggi non possono più essere realizzate e che rendono necessaria un’ invenzione nuova per affrontare temi come gli interessi lavoratori e il benessere della popolazione”.
Un fenomeno che ha origini lontane? Magari con Tony Blair?
“La sinistra si è mossa su posizioni di subalternità nei confronti delle politiche neoliberiste, quelle stesse che hanno portato all’austerità e sicuramente Blair ha avuto una grossa responsabilità in questa direzione. Poi va detto che in Europa e soprattutto in Italia abbiamo avuto due sinistre: una riformista, che ha lasciato molto a desiderare soprattutto sul piano sociale, e una radicale, che ha avuto come unico scopo quello di far perdere l’altra senza nemmeno riuscire a intercettarne gli elettori, tant’è che oggi i voti persi dal Pd sono andati ai 5 Stelle”.
Nel Pd c’è una certa tendenza allo “scaricabarile” su Matteo Renzi: tutta colpa sua?
“Lo scaricabarile è di tutte le figure della sinistra e non solo entro il Pd, ma mi fa sorridere sentir dire che è colpa di Renzi quando proprio chi lo dice non è riuscito a strappargli voti e ad andare oltre il 3%”.
Sono stati transfughi come quelli di Liberi e Uguali a far fallire il progetto di Renzi?
“Non credo sia fallito solo per questo. Il Pd, che pure ha avuto grandi meriti in quanto ossatura del Paese, è nato in modo sbagliato, con quello che io chiamo ‘il difetto di fabbricazione’, ‘la fusione a freddo’ di apparati che ha avuto per conseguenza una scissione. Oggi, però, non credo che la soluzione sia mettere insieme con lo sputo i vari cocci, quanto piuttosto muoversi su terreno diverso e cambiare registro”.
A Renzi riconosce qualche merito?
“Il merito iniziale di aver voluto svecchiare e cambiare la politica italiana, di voler andare oltre i vecchi apparati, poi però quel merito l’ha perso per strada perché in realtà lo svecchiamento è stato relativo. Svecchiare non è soltanto un fatto di età, deve riguardare il modo di fare politica e quello scelto da Renzi, esclusivamente modernista e legato all’idea dello scontro tra innovazione e conservazione, è stato limitato e l’ha portato ad appoggiarsi prevalentemente sull’immagine e sul messaggio, di innegabile valore, ma insufficiente senza analisi politica e collegamento con il territorio, coi problemi e le forze che operano anche al di fuori del partito”.
E infatti oggi il vero tema è quello di recuperare gli elettori
“È di fondamentale importanza ed è per questo che parlo di rifondazione del Pd e delle sinistre, che deve partire da una costituente dei principi che avvii un processo unitario. Un processo lungo e difficile, alla fine del quale non tutti avranno le stesse posizioni, e nemmeno è auspicabile perché non credo al partito unico, ma potranno confrontarsi ed essere solidali nel momento in cui si dovrà fare la battaglia politica e ideale. Anime diverse disposte a collaborare nella differenza, una Sinistra variegata e solidale che non sia la somma rissosa di appetiti e di apparati, come quella che si presenta tristemente oggi”.
Se fosse segretario oggi da dove partirebbe?
“Dall’analisi dei problemi che stanno di fronte alla Sinistra in Italia e in Europa, chiamando a raccolta non soltanto l’apparato ristretto di partito ma tutte le forze disposte a collaborare, le università, i centri di ricerca, i centri di partecipazione giovanile, aprendo da qui la strada della rifondazione. Con l’idea di dar vita non alla vecchia ‘ditta’ citata da Bersani, di cui non abbiamo più bisogno, ma a un movimento, un partito che abbia un centro e che utilizzi gli strumenti moderni della rete rimanendo radicato nel territorio, non più soltanto con le vecchie sezioni territoriali, ma con tutti quei centri di iniziativa sociale, e in particolare giovanile”.
Sul fronte opposto come vede Berlusconi? A distanza di anni gli ha riconosciuto di aver compiuto ‘un capolavoro politico’?
“È stato il primo ad aver iniziato la fase populista in Italia, il capolavoro politico che gli avevo attribuito era stato quello nel ’94 di mettere insieme i giustizialisti, Lega e Movimento Sociale, con i peggiori arnesi della Prima Repubblica, presentandosi come rinnovatore e facendo promesse strabilianti come quella del milione di posti di lavoro, poi non realizzata. A quanto pare, però, chi di populismo ferisce di populismo perisce, perché in questa fase Salvini lo ha battuto proprio su quel terreno”.
Senza chiederle previsioni sul Governo, crede che si tornerà presto a votare?
“È molto difficile capirlo prima che sia fatto il passaggio delle presidenze di Camera e Senato in cui si vedranno i veri movimenti delle forze. Sia per Salvini sia per Di Maio al momento continua la propaganda elettorale, e non viene mai fuori una sola idea per la formazione del Governo, quindi direi che siamo ancora in alto mare”.
Però se Lega e M5S decidessero di governare sarebbe legittimo
“Chi sarà incaricato dal presidente della Repubblica e sceglierà una maggioranza realistica in Parlamento farà il proprio dovere, poi uno può esser d’accordo o meno, ed è ovvio che se la maggioranza sarà composta da Lega e Grillini e ci saranno i numeri quel Governo sarà legittimo. Io sarei all’opposizione, ma è legittimo”.
Il Pd deve tenersi fuori e stare all’opposizione?
“Non per ripicca, come viene presentato certe volte, ‘avete vinto adesso governate, voi che ci avete trattato male…’. Se il Pd deve fare quel lavoro complesso di rifondazione di cui ho parlato finora, è chiaro che non può mettersi a fare giochini che inquinerebbero da subito il suo cammino, ma piuttosto tornare sul territorio e trovare una propria identità prima di vendere i propri voti al primo venuto”.
Per una nuova leadership dovrebbe puntare più sulle nuove leve o sulla vecchia guardia?
“A dire la verità in questo momento la questione dei nomi la considero secondaria. Martina mi sembra un uomo in grado di garantire sia le novità sia le radici, ha un valore intorno al quale si può aprire questa fase transitoria, poi a seconda del dibattito e delle soluzioni scaturirà qualche leader”.
Peppino Caldarola (ex Pci ed ex direttore de L’Unità) dice che ci vorrebbe di nuovo “la follia di Occhetto”
“Se ritiene che la follia sia la volontà di fare la mossa del cavallo, di vedere che la situazione è cambiata e che si deve iniziare a ragionare da capo, l’esigenza la capisco ed è giusta”.
Tempo fa ha parlato di “Paese in mano a un serial killer” riferendosi a D’Alema: è definitivamente fuori dai giochi?
“Mi permetto di non rispondere su D’Alema e non capisco perché bisogna continuare a parlarne. Questa è la mia risposta”.
Veniamo a questioni più serie: sono trascorsi 40 anni dal caso Moro, in un mondo ideale, senza quel dramma e con il compromesso storico realizzato, come sarebbe cambiata la storia della Sinistra?
“Senza l’uccisione di Moro sarebbero rimasti sicuramente al centro della politica italiana due uomini molto importanti, Moro e Berlinguer, che avrebbero aperto una strada molto diversa da quella in sostanza negativa dell’unità nazionale guidata da Giulio Andreotti. Probabilmente avremmo potuto aprire la fase di un vero scontro politico, in una dialettica alta e civile che avrebbe cambiato il volto del Paese”.
E la svolta storica della Bolognina sarebbe stata diversa?
“Il nuovo partito fu legato strettamente al crollo del comunismo, una crisi con cui anche Berlinguer avrebbe fatto i conti, e quei conti l’avrebbero portato a una formazione più schierata al socialismo europeo, verso cui aveva già mosso i primi passi. Quei passi sarebbero stati compiuti così come poi li ho compiuti io, sia pure con le modalità diverse della storica svolta”.
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