Giuliano Pisapia non ha il senso della storia. E’ una persona gentile, assolutamente perbene, è stato un sindaco molto stimato di Milano (e anche con alcuni momenti molto alti, le 20 mila persone con spazzoloni a ripulire la città dopo l’invasione del black block. Ma gli obiettivi del suo “Campo progressista” sono qualcosa che ci riporta indietro, non avanti.
In sostanza, Pisapia vuole rifare un po’ l’Ulivo di prodiana memoria. E si sa anche perché, e è un obiettivo nobile: vuole evitare che pezzi di sinistra (quella a lui più cara, fra l’altro, gli ex-Sel) vadano dispersi, richiudendosi in un ghetto rancoroso e del tutto improduttivo.
La sua idea, quindi, come quella di Prodi, è di vedere tutta la sinistra raccolta in un grande abbraccio, finalmente, vittoriosa, al governo del paese.
Ecco, questo si chiama non avere senso della storia e nemmeno dei fatti, per la verità.
L’Ulivo in questo paese ha vinto due volte contro Berlusconi, ma è stato anche sconfitto due volte. Certo, da Bertinotti e da Woodcock, via Mastella. Ma questa è solo cronaca. In realtà l’Ulivo è stato sconfitto per la sua idea di fondo cioè per avere una concezione consociativa della società italiana.
E infatti la sinistra che Pisapia vorrebbe raccogliere e rappresentare comincia a dire che bisogna reintrodurre l’articolo 18, poi riformare la legge Fornero sulle pensioni, e poi non so cosa altro. Ah, certo accogliere tutti gli immigrati che il buon dio (o qualche trafficante) deciderà di mandarci.
Di fronte a questi ragionamenti bisogna spiegare che il Pd di Renzi (perché è di Renzi, e non di altri) è cosa diversa. E’ proprio la rottura netta con la tradizione consociativa italiana. E’ introdurre merito e competizione. E’ fare le cose, è andare avanti e non indietro. E’ riconoscere che oggi la Cgil non rappresenta il mondo del lavoro, ma solo gli ultrasessantenni che hanno già un lavoro e i pensionati. Questo è la Cgil, non un soggetto di progresso, ma di conservazione.
Voler unire tutte queste cose è come voler sommare pere con le mele, è rompere un processo che ha portato il Pd a non essere più genericamente una forza di sinistra, ma una forza di sinistra liberal-democratica. Che è cosa diversa: è rispetto del mercato, della competizione, dei giovani, del talento. E’ per la contrattazione aziendale contro le grandi gabbie confederali Cgil-Confindustria. E’ per togliete molto potere alla Camusso e ai suoi amici e per trasferirlo in basso, dove si fanno le cose e lavora la gente.
Ecco, Il Pd, a grandi linee, è questa cosa qui. Una cosa che non ha più niente in comune con i pezzi di sinistra che Pisapia, generosamente, vuole raccogliere perché non vadano dispersi.
Non solo. Molti di questi che Pisapia corteggia chiedono, quasi come pregiudiziale, che Renzi se ne vada. E questa non solo non è senso della storia, non è nemmeno più politica. E’ solo una fissazione senile del compagno D’Alema, che vuole realizzare una sua vendetta alla quale crede (a torto) di aver diritto. Desse appuntamento a Renzi dietro il convento delle Carmelitane scalze alla 5 di mattina, e si togliesse dalla politica.
Oggi il Pd è Renzi, nel bene e nel male. E con lui perché un Pd che vuole una società competitiva e meritocratica. Dei nipotini di Stalin, pianificatori del benessere altrui a spese dello Stato non sa che farsene.
Quell’Italia lì non resiste più. E’ morta insieme all’Ulivo, e non risorgerà mai più. E’ già fallita.
Alla fine rimarranno Pisapia, Gad Lerner e altri tre. C’è posto per uno scopone mentre l’ultimo serve da bere.
2 Comments
Bravo Turani, lucido e spietato come il Conte di Montecristo (che era bello e spietato, però).
Vado sostenendo da un po’ che la sinistra della sinistra non è recuperabile per una esperienza di Governo di un centrosinistra moderno e progressista.
Resta minoritaria, legata a schemi vecchi ed inapplicabili, fuori fase con le esigenze della parte più viva e dinamica della società: quella che per intenderci ci porterà nel futuro, se mai glielo permetteremo.
Non parlo solo di politici, ma soprattutto di persone, tante persone, che accettano di mettersi in gioco, di rischiare, di sfidare le proprie capacità, di partecipare attivamente allo sviluppo e non attenderlo a casa lamentandosi.
Questo NON vuol dire dimenticarsi degli ultimi o men che mai privilegiare le elite: significa solo dare A TUTTI cultura, mezzi e possibilità concrete per contribuire al miglioramento dell’esistente, a patto che accettino di concorrere al bene comune e non si limitino a difendere quel poco o tanto che hanno ottenuto.
Le sinistra della sinistra, o almeno la sua classe dirigente, non può e non vuole accogliere questa visione: diventa quindi una zavorra insostenibile.
Sforzarsi di convincere Bersani, D’Alema, Camusso e Fratoianni mi pare davvero tempo perso.
Cerchiamo invece di convincere quelli che ancora danno loro credito. Facciamogli capire che NON GLI CONVIENE perdere le elezioni per affetto di cariatidi, tra l’altro inaffidabili.
Sono gli elettori da convincere, non i vertici. E non è impossibile.
Ciao, non condivido del tutto l’analisi di Turani. Pisapia sta cercando di recuperare una fascia di elettorato che ci avrebbe lasciato per rifugiarsi nell’astensione. Obiettivo nobile, se davvero esistesse quella fascia e soprattutto se quegli elettori astensionisti possano ritenere utile quello sforzo in assenza quanto meno di un dialogo con il PD. Questo è il punto fondamentale di critica a Giuliano. E’ inaccettabile la teoria della deriva destrorsa dei democratici, oltretutto insultante verso milioni di elettori. Continuo a non credere che Pisapia intenda davvero mettersi in concorrenza, ma ritengo che commetterebbe un errore gravissimo se prendesse per buono il riconoscimento della sua leadership da parte di uomini politici che non ci metterebbero un minuto a disconoscerlo quando a loro appaia opportuno.