Il passato. Al centro la classe operaia
A causa dell’emorragia dei voti di operai, di impiegati, di insegnanti, di pensionati, di giovani è stata avanzata una diagnosi infausta sul futuro del PD: si tratterebbe di malato terminale. Matteo Renzi avrebbe modificato il DNA autentico della sinistra di origine comunista e democristiana con un’operazione di bio-ingegneria cattolico-liberale e socialista-liberale, che ha provocato la perdita della storica base sociale ed elettorale del PCI-PDS-DS-PD, a favore sia del M5S sia della Lega. Era stata accumulata a partire dalla fine dell’Ottocento per tutto il Novecento attorno alla cultura politica che viene dal Manifesto del Partito comunista di K. Marx, che
poneva al centro l’eguaglianza come valore cardine. Nella quale, a sua volta, erano confluiti il progressismo illuministico e il giacobinismo.
Il nocciolo essenziale: la natura umana è perfettibile, la storia cammina verso il progresso e la liberazione. Il soggetto della liberazione sono gli operai e i loro alleati sociali: i braccianti, i contadini poveri, i dipendenti pubblici, gli insegnanti, gli intellettuali, i giornalisti, i docenti universitari, i ceti medi nell’Emilia rossa di Togliatti. E se il PCI parlava della “funzione nazionale della classe operaia”, aveva pur sempre in mente un sistema tolemaico, con la classe operaia al centro.
Il presente. Tra planetizzazione, interclassismo e mito della “libertà di”
Ora, la planetizzazione della produzione, dei lavori, della finanza, dei commerci e delle culture ha prodotto due effetti. In primo luogo: non c’è più una classe sociale-guida. Allo sguardo dell’osservatore le società avanzate restano sempre frammentate in ceti sociali, ma allo sguardo del singolo si presentano come una moltitudine di individui in movimento disordinato e in lotta casuale per allargare la propria sfera di libertà. Di
qui un individualismo radicale, che ha rotto ogni nesso deterministico tra collocazione sociale e rappresentanza politica. Le basi sociali della politica, di sinistra e di destra, sono divenute interclassiste.
qui un individualismo radicale, che ha rotto ogni nesso deterministico tra collocazione sociale e rappresentanza politica. Le basi sociali della politica, di sinistra e di destra, sono divenute interclassiste.
In secondo luogo: è tornata la liberté al primo posto, intesa non tanto come libertà-da, ma come libertà-di disporre del proprio destino individuale. Non che il valore dell’egalité sia stato realizzato. Anzi: una minoranza estrema è “più eguale” di tutti gli altri. E tutti gli altri lo vedono. La scala mobile sociale continua a salire verso l’alto, ma infuria la lotta tra gli occupanti dei gradini. Il ritorno in primo piano della “liberté” ha fatto percepire più acutamente “l’inégalité” come una mancata possibilità di “liberté”. Così è venuta montando non “la collera dei poveri” e dei radicalmente esclusi, di cui parlò la Populorum Progressio nel 1967, ma quella di milioni di individui già inclusi. Avendo da tempo conquistato la “libertà da”, avvertono ora un deficit di “libertà di”, un mancato accesso a tutta la tavola delle possibilità. Si tratta, dunque, di una diseguaglianza diversa da quella ottocentesco-novecentesca.
Tutto ciò ha messo in crisi l’attesa delle “magnifiche sorti e progressive” dell’intera cultura politica progressista. La storia umana non si presenta più come un campo di spighe dorate che ondeggiano al vento. La condizione spirituale del nostro tempo – soprattutto quella dei giovani del “nichilismo attivo” – è quella in cui il presente imprigiona e il futuro fa paura. La Belle Epoque è finita. C’entrano gli sviluppi concreti della storia del mondo in questo inizio di millennio, che la geopolitica della globalizzazione ha prodotto. Il conflitto attorno alle risorse di sette miliardi di esseri umani, raggruppati in nazioni-stato, è destinato ad accentuarsi. La storia del mondo si trova ad un tornante drammatico, di nuovo.
I vecchi attrezzi fuori uso e i nuovi possibili
Se questo è il mondo oggi, le forze politiche che vogliano dare voce alla sinistra e alla destra in Italia non potranno continuare ad usare pigramente la vecchia scatola dei vecchi attrezzi. Per aver ostinatamente continuato a usarli, la sinistra e la destra della fine ‘900 sono finite sotto scacco rispetto a nuove forze emergenti, che si candidano a fornire rappresentanza alle nuove domande.
Non è certo compito di questo piccolo settimanale infilarsi nella buca del suggeritore per dare le parole a chi sta recitando sulla scena politica; già lo fanno impropriamente i grandi quotidiani e le TV, che ogni giorno balzano dalla buca sulla scena in qualità di massmedia-partito. Possiamo però tentare, in quanto cittadini/elettori, di individuare i nuovi attrezzi, li si voglia usare o no. Detto in altro modo: cosa deve essere un partito oggi?
In primo luogo, una forza politica è una visione del mondo, della storia, dell’uomo. È stata falsificata la vulgata, secondo la quale le ideologie sarebbero tramontate e saremmo entrati trionfalmente in un’epoca post-ideologica. Semplicemente, sono scomparse le ideologie che si erano trasformate in velo che impedisce l’accesso alle cose stesse – nel lessico di Marx, l’ideologia è la mistificazione della realtà – ma gli individui continuano ad aver bisogno di senso per stare nel mondo e nella storia. Occorrono pertanto categorie generali, la cui potenza esplicativa deve essere verificata nella capacità di far crescere le conoscenze e di orientare efficacemente la prassi. In secondo luogo, il partito è un’accumulazione ordinata di conoscenze della società, un apparato di sensori ipersensibili. Gramsci scrisse di intellettuale collettivo. Un partito non è un comitato elettorale, non è una squadra d’assalto ai palazzi del potere.
Limitandoci, qui, alla sinistra, pare che sia arrivato il suo terzo tempo storico. Il primo fu quello della sinistra borghese, prima whig, poi girondina, poi liberal-sociale inglese. Il secondo tempo fu quello della sinistra del movimento operaio, nelle due derivazioni socialista e comunista: la sinistra di classe. Su di essa è sceso il sipario. Carlo Rosselli già nel 1930 ne aveva anticipato la critica radicale. Il troppo lungo addio è incominciato nel 1989. In Italia è stato Matteo Renzi il primo a rompere impazientemente l’involucro.
Non è certo compito di questo piccolo settimanale infilarsi nella buca del suggeritore per dare le parole a chi sta recitando sulla scena politica; già lo fanno impropriamente i grandi quotidiani e le TV, che ogni giorno balzano dalla buca sulla scena in qualità di massmedia-partito. Possiamo però tentare, in quanto cittadini/elettori, di individuare i nuovi attrezzi, li si voglia usare o no. Detto in altro modo: cosa deve essere un partito oggi?
In primo luogo, una forza politica è una visione del mondo, della storia, dell’uomo. È stata falsificata la vulgata, secondo la quale le ideologie sarebbero tramontate e saremmo entrati trionfalmente in un’epoca post-ideologica. Semplicemente, sono scomparse le ideologie che si erano trasformate in velo che impedisce l’accesso alle cose stesse – nel lessico di Marx, l’ideologia è la mistificazione della realtà – ma gli individui continuano ad aver bisogno di senso per stare nel mondo e nella storia. Occorrono pertanto categorie generali, la cui potenza esplicativa deve essere verificata nella capacità di far crescere le conoscenze e di orientare efficacemente la prassi. In secondo luogo, il partito è un’accumulazione ordinata di conoscenze della società, un apparato di sensori ipersensibili. Gramsci scrisse di intellettuale collettivo. Un partito non è un comitato elettorale, non è una squadra d’assalto ai palazzi del potere.
Limitandoci, qui, alla sinistra, pare che sia arrivato il suo terzo tempo storico. Il primo fu quello della sinistra borghese, prima whig, poi girondina, poi liberal-sociale inglese. Il secondo tempo fu quello della sinistra del movimento operaio, nelle due derivazioni socialista e comunista: la sinistra di classe. Su di essa è sceso il sipario. Carlo Rosselli già nel 1930 ne aveva anticipato la critica radicale. Il troppo lungo addio è incominciato nel 1989. In Italia è stato Matteo Renzi il primo a rompere impazientemente l’involucro.
La sinistra del terzo tempo è quella del primato della persona, della libertà/responsabilità, dei diritti e dei doveri, della società aperta, della società civile mondiale, del governo mondiale, degli Stati uniti d’Europa. E’ la sinistra-mondo. E’ difficile prevedere il destino della specie umana, la sua evoluzione futura. Essa è ospite di un pianeta sempre più fragile ecologicamente, stracolmo di esseri umani, attraversato da conflitti, movimenti migratori, rischi mortali. Ma un fatto storico è certo: le nazioni e gli Stati non hanno più destini separati. Da questa visione realistica e drammatica ogni forza politica deve partire. Non è più il tempo del fatuo ottimismo
progressista.
progressista.
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