Chi si rivede… Velardi. E dice cose giuste, incredibile!
Il gruppo dirigente del Pd poteva fare peggio?
Pausa. «No». Altra pausa. Altra botta. «Sarebbe stato davvero difficile fare peggio. E, ora, fatto il governo, scoppierà un conflitto mai visto nel partito».
A bocciare senz’ appello e senza fronzoli mosse, strategie e uscite di Zingaretti, Bettini & Co. è uno che li conosce bene, da vicino e da lontano: Claudio Velardi, gioventù comunista, l’Unità, eterno spin doctor e uno dei Lothar di Massimo D’Alema a Palazzo Chigi («ma è roba di venti anni fa»), però anche riformista duro, puro e flessibile, sdoganatore a sinistra del lobbysmo all’americana, soprattutto eretico napoletano.
Perché questa deriva «peggiorista»?
«Dietro ci sono ragioni di fondo che attengono alla cultura politica dominante attualmente nel Pd: che è quella post-comunista, quella della ‘ditta’, per capirci. Una cultura straordinariamente politicista, regolata dalla logica ottocentesca e novecentesca della lentezza, dei processi, dei tempi lunghi. Mentre oggi la politica è veloce, è comunicativa.È rapsodica, è fatta di momenti, di scarti. Tant’ è vero che, quando hanno dovuto subire la guida di Matteo Renzi, con le sue sollecitazioni quotidiane, impazzivano. Ma, quando lo hanno potuto ridimensionare, è tornata la loro cultura. Dietro questi fallimenti, però, non c’è solo questo».
Quale altra ragione, più o meno oscura, c’è dietro?
«C’è che il Pd, dal ’94 a oggi, in molteplici forme, è stato al governo per circa sedici-diciassette anni. Il Pd è nel bene e nel male l’architrave del sistema: il garante non solo della politica, ma anche dell’alta burocrazia pubblica e degli apparati dello Stato. Questa è tutta roba del Pd. E, dunque, il gruppo dirigente non concepisce proprio la possibilità di perdere il potere del quale è innervato».
Tiriamo le somme.
«Mettendo insieme queste due cose, deriva che quelli che guidano il partito si muovono come un pachiderma. Mentre il mondo va velocissimo. E da qui tutti gli errori di questi mesi. Diciamolo, le hanno sbagliate tutte: O Conte o morte, mai più con Renzi, mai con Salvini, fino a Draghi. Non ne hanno imbroccata una».
Facciamo nomi e cognomi: perché la regia è stata in mano a Goffredo Bettini, che Renzi definisce il «capo della corrente thailandese del Pd»?
«Goffredo Bettini, che è mio caro amico da quarant’ anni, senza alcun titolo, senza essere stato eletto a nessun ruolo, ha dettato e detta la linea in maniera sempre più esplicita e anche in maniera arrogante. Dietro la schiena di Bettini si intravede l’ombra di Massimo D’Alema, che ha decretato all’inizio della crisi che non era possibile che l’uomo più popolare venisse cacciato da quello più impopolare».
E però è finita che «l’uomo più impopolare» ha cacciato «quello più popolare». Che cosa non ha funzionato nello schema degli ex comunisti di scuola romana?
«Sono brave persone. Ma sono fuori dal mondo. La loro inadeguatezza nella comprensione della realtà deriva dalla loro cultura politica morta e sepolta. E però continuano a pensare di saperla più lunga degli altri. Questa è la lue della sinistra: la presunta superiorità morale, che ha fatto diventare la conservazione del potere un assoluto totem, senza che vi sia un fondamento reale».
Abbiamo lasciato alla fine Nicola Zingaretti: che parte gioca?
«È una brava persona. Ma è una figura debole. Come gli altri della ‘ditta’ che guidano il partito, si tratta di professionisti dell’amministrazione e della politica, ma non hanno assolutamente né il taglio della leadership né una visione. Hanno fatto del Pd un partito di gestione, senza un’idea dell’Italia di domani. Ora, però, fatto il governo, si aprirà il grande conflitto nel Pd: gli ex renziani e quelli di derivazione cattolica non staranno né zitti né fermi».
Raffaele Marmo per “Quotidiano Nazionale – la Nazione – il Resto del Carlino – il Giorno”, 8 febbraio 2021
4 Comments
Mi permetto di aggiungere qualche considerazione in proposito:
https://ilquadernodiet.blogspot.com/2021/02/fallimenti-e-rinascite.html?m=1
D’accordissimo, Ernesto, su ciò che dici su ilquaderno, riguardo alla necessità, nel PD, di un Congresso , in tempi brevi, di “rifondazione”.
Massimiliano
Per inciso ricordo i “punti” di Martina, che votai alle primarie insieme al mio circolo : Europa, Ecologia, Emancipazione, Cittadinanza.
Vedevo Maurizio Martina molto deciso, molto fermo. Peccato.
Massimiliano
Adesso, disperato, è andato all’ONU.
Però non ha avuto il coraggio (e la statura) di distinguersi maggiormente da Zingaretti, rivendicando con maggiore orgoglio la continuità con l’epoca dei governi Renzi e Gentiloni.
Ha tenuto una posizione incerta che non ha fruttato nulla, lasciando che Zingaretti riportasse in auge tutta la vecchia guardia, la famosa “ditta” bersaniana, dalemiana, …
Peccato!