Dopo la profonda delusione per il “sì” di Bonaccini al referendum sul dimezzamento dei parlamentari, vi invio questa per me stupenda riflessione di Luigi Manconi su la Repubblica di oggi. In più, una mia vignetta per La Stampa, che più sincera non si può.
Sergio
Narra la leggenda, ma alcuni testimoni sopravvissuti giurano sulla sua veridicità, che non troppi anni orsono, mentre si scrutinavano i voti, da più di un’urna elettorale sarebbero emerse oleose fette di mortadella, o di altro insaccato, incartate nella scheda elettorale, sulla quale si poteva leggere: “magnateve anche questa”. Forse esagero, ma intorno al referendum del 20-21 settembre, si avverte un umore non troppo differente dall’urlo plebeo e disperato che quel gesto iconoclasta esprimeva. Fatto sta che il discorso pubblico sul “taglio dei parlamentari” finora si è concentrato interamente su una argomentazione demagogica e su una torva tonalità anti-politica. Ossia, la riduzione di deputati e senatori come grimaldello contro il sistema politico, la sua onnipotenza e la sua tendenza a riprodurre all’infinito soperchierie e corruttele e un abnorme scialo di denaro. Insomma, un’idea non così tanto più sofisticata dell’antica invettiva contro la politica come “cosa sporca”. Tanto impresentabile in società, quella politica, che, al momento, contenuti e argomenti pro e contro il merito del referendum, non sono stati portati “in società”: cioè nell’arena pubblica e nella discussione mediatica. E quando è accaduto, lo è stato esclusivamente attraverso rimandi e allusioni. Fateci caso: dove si voterà per le regionali il prossimo settembre, la campagna elettorale per il governatore è in corso ormai da mesi. Mentre per quanto riguarda il referendum, la comunicazione istituzionale, dei partiti e dei media, è poco più che irrisoria. Per capirci: quale e quanta informazione televisiva, pubblica e privata, sul tema? Certamente meno di quella dedicata ai temporali estivi. Così, si finisce per parlare del contenuto referendario solo quando si parla d’altro. Lo fa, per esempio, Goffredo Bettini, intervistato su Repubblica da Concetto Vecchio lo scorso 1 agosto: «Senza una riforma istituzionale ed elettorale, dimezzare i parlamentari può essere perfino pericoloso per il regime democratico». E alla successiva domanda su quale sarebbe la sua scelta di voto qualora il PD confermasse il Sì, questa la risposta: «farò quello che deciderà il partito». Viene la tentazione di chiedergli che il giorno dopo il 21 settembre, mostri una foto della sua scheda elettorale, a conferma dell’impegno preso. Ma in ogni caso, le affermazioni del Gran Sornione hanno avuto il merito di gettare un qualche fascio di luce sul “referendum rapito”. E solo ora, finalmente, si è cominciato a discuterne. Due sono le questioni che la prossima consultazione richiama. La prima è di merito. Davvero, il taglio di 200 deputati e di 115 senatori, fatto in assenza di una coerente riforma elettorale, avrebbe conseguenze dirompenti sul sistema politico. E tre effetti sicuri: il peggior rapporto rappresentanti-rappresentati tra tutti i paesi europei; una bislacca ridefinizione dei collegi elettorali, tale che un parlamentare potrebbe trovarsi a rappresentare un territorio di 800.000 abitanti; un trattamento di favore per i grandi partiti e per le loro leadership e l’inevitabile marginalità, se non cancellazione, delle minoranze. Certo, vi sono anche motivazioni sensate a sostegno del ridimensionamento numerico delle assemblee elettive, ma, in questa circostanza, non hanno affatto costituito tema di dibattito. Eppure, queste considerazioni che segnalano i rischi che corre il nostro sistema istituzionale, vengono – più che superate – sopraffatte dalla pulsione all’azzeramento. O, comunque, alla mortificazione di tutto ciò che appare complesso e faticoso e che richiede pazienza e tenacia. Una retorica nichilista della tabula rasa che corrisponde alla voglia di sgomberare il tavolo e sbaraccare tutto. C’è poi una questione di metodo, altrettanto grave: l’oscuramento dello strumento referendario. Viene da piangere se si pensa alla massima, abusatissima, ma non per questo meno preziosa, di Luigi Einaudi: a quel “conoscere per deliberare” (Prediche inutili, 1955) che costituisce il senso primo e ultimo della qualità democratica. Ed è malinconico dover misurare la distanza che ci separa da quel diritto alla conoscenza che fu la “magnifica ossessione” dell’ultimo Marco Pannella. Il referendum, abrogativo o confermativo che sia, costituisce uno dei pochi istituti di partecipazione diretta dei cittadini alla vita pubblica (non a caso, in sede di Costituente, fu il grande giurista Costantino Mortati a presentare, senza successo, una pluralità di ipotesi di referendum). Lo si può contrastare, quell’istituto, combattendone la possibilità di applicazione e di ulteriore estensione oppure rendendo più restrittivi i requisiti per la sua convocazione. Ma arrivare a rimuoverlo, sottraendolo ai cittadini e precipitandolo nel silenzio, non è solo un grave errore: è un atto di codardia politica.
“I Rivoluzionari “ non si smentiscono mai: vogliono fare qualcosa di grandioso, ma poi non sanno come, quando e con chi. Luigi Manconi volevo fare la rivoluzione negli anni 60 ha verificato l’impossibilità di adempiere a questo algoritmo, ma continua a pensare che si può realizzare. Naturalmente non ci racconta, come, quando e con chi.
I compromessi delle idee non realizzano certamente la mia, ma quando si avvicinano per un po’, sia pure poco, al mio pensiero io l’accetto. Al referendum, per la riduzione dei parlamentari di settembre prossimo, quindi, io voterò sì convinto, visto che la legge costituzionale è stata approvata da quasi tutti i partiti presenti in parlamento e quindi dalla maggioranza degli elettori-ttrice italiani.
Certamente, la legge suddetta, poi si potrà migliorare, si dovrà migliorare, con la legge elettorale, con gli aggiustamenti vari, senza drammi e senza gridare “al lupo al lupo”. Diventeremo un paese normale, in cui la maggioranza dei votanti governa e la minoranza controlla senza drammi e senza esagerazioni inutili? Io penso di sì e, con questa speranza, auguro a tutti un buon inizio settimana.
Antonio De Matteo Pescara.
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“I Rivoluzionari “ non si smentiscono mai: vogliono fare qualcosa di grandioso, ma poi non sanno come, quando e con chi. Luigi Manconi volevo fare la rivoluzione negli anni 60 ha verificato l’impossibilità di adempiere a questo algoritmo, ma continua a pensare che si può realizzare. Naturalmente non ci racconta, come, quando e con chi.
I compromessi delle idee non realizzano certamente la mia, ma quando si avvicinano per un po’, sia pure poco, al mio pensiero io l’accetto. Al referendum, per la riduzione dei parlamentari di settembre prossimo, quindi, io voterò sì convinto, visto che la legge costituzionale è stata approvata da quasi tutti i partiti presenti in parlamento e quindi dalla maggioranza degli elettori-ttrice italiani.
Certamente, la legge suddetta, poi si potrà migliorare, si dovrà migliorare, con la legge elettorale, con gli aggiustamenti vari, senza drammi e senza gridare “al lupo al lupo”. Diventeremo un paese normale, in cui la maggioranza dei votanti governa e la minoranza controlla senza drammi e senza esagerazioni inutili? Io penso di sì e, con questa speranza, auguro a tutti un buon inizio settimana.
Antonio De Matteo Pescara.