Chi ha vinto e chi ha perso le elezioni politiche in Italia? È fin troppo chiaro e le percentuali sono sotto gli occhi di tutti, quindi non partirei dai numeri per raccontare cosa questo voto significhi. Preferisco partire da quella parte di Italia dove spesso le cose si riescono a leggere in maniera più chiara, quella parte di Italia che meno è entrata in questa campagna elettorale e che meno entra in tutte le campagne elettorali ormai da moltissimo tempo. Quella parte di Italia dove le forze politiche amano dragare voti, ma che, finché possono, evitano come la peste. Partiamo dal Sud Italia che ci siamo abituati a considerare feudo di Berlusconi e, allo stesso tempo, sede di un forte consenso al Partito democratico retto da ras locali che per decenni hanno assicurato valanghe di voti.
E proprio Forza Italia e Pd, in queste politiche, hanno vissuto un’emorragia di elettori confluiti in Lega e M5S. Quest’ultimo, con la promessa del reddito di cittadinanza, ha avuto un consenso quasi plebiscitario proprio nelle regioni in cui, non esistendo un’economia competitiva, l’unica speranza è la politica dei sussidi.
E anche in questo caso – sono anni che ne scrivo! – il Sud Italia è una ferita attraverso cui si può guardare lontano. Accade che siano proprio le regioni del Sud, abbandonate dalla politica nazionale e tenute fuori dal dibattito pubblico, a condizionare la direzione che il Paese intero è destinato a prendere.
Ma oltre alle promesse di politiche assistenziali, sul voto al Sud, soprattutto in Campania, ha pesato la sfiducia (più che giustificata) verso i potentati politici tradizionali. Dal caso mediatico-giudiziario seguito all’inchiesta di Fanpage.it è emerso un quadro sconfortante di corruzione, malcostume, familismo e conflitto di interessi; è stata la conferma, per molti italiani, che i partiti che fino a questo momento hanno avuto in carico la gestione della cosa pubblica non sono altro che centri di potere marci e che da loro nulla di buono ci si può aspettare.
Naturalmente non concordo con questa generalizzazione; i partiti sono composti da persone e ciascuno risponde della propria onestà, del proprio lavoro e del proprio impegno, ma qui non si tratta di ciò che penso io, quanto piuttosto del sentimento che hanno provato gli italiani di fronte all’ennesima conferma dell’inadeguatezza dei partiti tradizionali. Le inchieste, gli scandali, le prassi disinvolte e spregiudicate hanno spinto molti elettori del Sud ad accorciare il proprio sguardo, a smetterla di puntare all’Europa per iniziare invece a occuparsi e preoccuparsi solo di ciò che accade a un metro da sé. Come si può pensare all’Europa se le cose qui non vanno bene? Lo scetticismo diffuso è stato una chiamata alle armi e il partito che più di tutti ha risposto al bisogno di essere coinvolti in prima persona è il M5S.
È evidente che la promessa di rottamazione di Matteo Renzi è stata rottamata da Renzi stesso e dall’unico modo che ha trovato in questi anni per occuparsi di Sud: la plateale promessa della costruzione del ponte sullo Stretto di Messina (cavallo di battaglia del più becero berlusconismo) e la Apple Developer Academy di Napoli, spacciata come il primo segnale di una ripresa economica sul territorio. Un corso per sviluppatori Apple, un unico corso e per giunta calato in un contesto economicamente depresso, avrebbe dovuto fruttare a Renzi il titolo di “amico del Sud”. Una presa per i fondelli.
L’abbandono del Sud da parte dei partiti tradizionali ha portato a una necessità di partecipazione, talvolta spinta fino alle estreme conseguenze e incline a stravolgere prassi politiche e regole, pur di sentire che il proprio voto, che la propria preferenza ha avuto un effetto reale. Gli italiani, oggi, soprattutto gli italiani del Sud, vogliono sapere esattamente come il loro voto cambierà la loro quotidianità; e se le aziende continueranno a delocalizzare il lavoro, se il lavoro nel Sud Italia resterà una speranza frustrata, almeno vogliono la certezza che chi governerà si occuperà di loro, solo di loro, prima di loro.
E molti diranno: ecco che nasce il partito della rabbia, ma di che rabbia stiamo parlando? Ancora di una rabbia cieca? Ancora di un voto di ribellione? No. Il voto al M5S e alla Lega (ormai partito nazionale che aspira a rappresentare tutti) non è un voto esclusivamente di ribellione, ma è un voto ormai ragionato che, tra le altre cose, avrebbe il merito di aver asciugato (e molto) il voto di scambio. Questa volta l’elettorato è stato coeso nel dare consenso a due partiti che sono specchio fedele dei loro elettori. Il voto non è stato semplicemente un voto di protesta o di opinione, ma un voto di identità.
Lo storytelling renziano ha prodotto malanimo che a sua volta ha innescato una sorta di egoismo sociale. Ormai quello che mi interessa è che a stare bene sia io, quindi quella forza politica che promette attenzione a me che sono italiano è l’unica che posso ascoltare. Quella che mi promette il reddito di cittadinanza in un Sud dove non solo manca il lavoro, ma anche la speranza di lavoro, sta parlando proprio a me.
In Campania il M5S ha stravinto, e la sua vittoria si configura come un voto di liberazione dal presidente della Regione Vincenzo De Luca, che è espressione di quella politica che Renzi aveva promesso di rottamare. A Sud Renzi aveva due possibilità: un percorso lungo di riforma, che significava scelta di candidati nuovi, oppure affidarsi ai feudi elettorali – un voto un lavoro, un voto un favore – e ottenere velocemente vittoria sperando dall’alto di far cambiare rotta al Sud una volta preso il potere. Ha scelto la strada più semplice e, sul tema politico più importante, non è riuscito a impegnarsi su una strada di trasformazione.
Il ragionamento avvenuto al Sud è questo: se il Pd mi ha sempre proposto belle idee, apertura, giustizia, ma poi non è mai riuscito a darmi nulla di tutto questo o ad avvicinarsi, allora preferisco l’assenza di progetto morale, preferisco ragionare rispetto a ciò che mi conviene adesso e che può non convenirmi domani, preferisco un movimento che non è né di destra né di sinistra, che si definisce post-ideologico, che non si pone questioni morali, che rivendica con orgoglio la propria incoerenza: un giorno europeisti e un giorno antieuropeisti; un giorno provax e un giorno antivax. M5S e Lega non hanno preso in giro gli elettori, tutto era palese, tutto cambiava di giorno in giorno – un flusso continuo di notizie orecchiate, story di Instagram, post su Facebook e qualche Tweet – a seconda dei sondaggi.
Finanche i casi di cronaca nera (Macerata docet) sono stati utilizzati per fare comunicazione politica. E paradossalmente questo agli italiani è piaciuto, la possibilità di non avere obblighi morali, di poter essere liberamente incoerenti a seconda delle esigenze del momento.
Essere elettore di un partito progressista presuppone portare sulle proprie spalle valori che nemmeno il partito per cui voti segue più. E allora che senso ha? Perché vivere il dissidio tra una coerenza autoimposta, e per cui bisogna quotidianamente lottare, e la possibilità di essere egoisticamente liberi?
Il M5S agli elettori del Sud non ha dato alcuna soluzione su come far partire davvero l’economia, se non banali ricette di razionalizzazione delle spese e generiche promesse di lotta alla corruzione. Ha dato però una cosa ben più grande: bersagli da colpire. Ha capitalizzato la frustrazione, non chiedendo in cambio condotte di comportamento diverse, anzi, supportando sintassi da haters e impiantando una politica basata sulla percezione della realtà e non sulla realtà.
Ma alla rivendicazione della mancanza di coerenza, la Lega aggiunge un dettaglio che faremmo bene a non trascurare, ovvero la libertà di essere anche cattivi. Salvini, che senza distinzione di età, sesso e provenienza manderebbe via tutti gli immigrati, che ha sempre disprezzato il Meridione e che ora si presenta come leader di tutto il Paese, giurando sul Vangelo sembra aver detto: essere contrari all’accoglienza, utilizzare un eloquio violento e apertamente razzista non è in contraddizione con le radici cattoliche. La devozione di Salvini per il Vangelo è identica a quella che hanno i boss della mafia per la Madonna: si può essere cristiani parlando in quel modo di chi scappa dalla miseria e dalla guerra? No. Si può credere nel Vangelo e impedire a migliaia di bambini nati in Italia di avere la cittadinanza? No.
In Italia il 4 marzo ha vinto il malessere, non ha vinto la speranza e non ha vinto la voglia di un futuro migliore. Il 4 marzo ha vinto l’idea di Stato chiuso, di nazione con confini alti e invalicabili, invalicabili per gli esseri umani ma non per i capitali criminali (per loro le frontiere sono sempre aperte). Il 4 marzo ha vinto l’euroscetticismo, trainato dell’America di Trump e dalla Brexit, e ha perso l’idea di un’Europa unita e fiera dei suoi diritti, che l’avevano resa il posto migliore in cui vivere. Il 4 marzo ha vinto una strana forma di nichilismo che, proclamando la propria libertà da ogni coerenza, diventa libertà di essere cattivi.
Ma qual era l’alternativa? Questa volta non c’era. Lega e M5S hanno vinto perché dall’altra parte non c’era niente. Più niente.
7 Comments
Ma perché Saviano non si iscrive al PD e non si presenta alle primarie?
Non è una provocazione, sto parlando sul serio.
Mi piacerebbe sentire da Saviano non solo analisi, ma anche proposte operative per la gestione del Partito e del Paese, specialmente al Sud.
Al punto in cui è, il PD ha bisogno come il pane di contributi esterni, purché siano disinteressati, scevri da pregiudizi e sinceramente disposti a parlare ed agire di politica.
L’analisi di Saviano offre spunti interessanti, ma va calata nella realtà del Sud con azioni concrete; altrimenti si finisce per invocare onestà, come quegli altri, senza avere un piano su come intervenire.
Mi pare riduttivo concentrarsi su De Luca e famiglia, ad esempio, senza entrare nel merito di quali interventi siano fattibili per cominciare a ridare fiducia alla gente. E di come gli interventi fatti abbiano o meno funzionato.
Mi piacerebbe inoltre che anche lì si partisse dall’autocritica di comportamenti, usi e costumi, non proprio degni di un Paese civile e moderno. Dobbiamo dirci la verità su tutto, altrimenti ci illudiamo e basta.
Ernesto, non sono d’accordo con te che Saviano si dovrebbe iscrive al PD, io penso che a Saviano vada bene così per continuare a scrivere come fanno tanti giornalisti(stessa frase sulla Apple che ho letto su Repubblica)dei mali del sud e che nessuno fa niente per cambiare.
Saviano nel suo lungo articolo, dice tutto e il contrario di tutto(per questo è lungo l’articolo), ma non dice niente di nuovo che non si sa già.
De Luca è stato votato dagli stessi meridionali che adesso gli anno voltato le spalle perché qualcuno gli promette altro e meglio.
Ma questi sono i compaesani di Saviano, non ha niente da dire sulla loro”fedeltà” politica?
Idem per i nordisti, che hanno ancora votato in Lombardia per il centrodestra dopo anni di Formigoni che li faceva stare bene e lui si faceva gli intrallazzi nella sanità, a proposito bene che Formigoni sia a casa.
Per capire gli italiano, ci vorrebbe lo psicologo, altro che Saviano.
Camillo Repetti
Roberto Saviano ha scritto un grande, prezioso articolo su Repubblica dello scorso 8 marzo. La cosa più importante che ci dice – io lo leggo così – è che stanno sparendo i limiti morali, i punti cardinali da rispettare per vivere in una comunità.
E’ dall’etica che dobbiamo partire, dai principi morali che dobbiamo e vogliamo difendere. E che vogliamo e dobbiamo comunicare alle persone alle quali parliamo, a quelle accanto a cui viviamo o lavoriamo, a quelle che incontriamo in un viaggio in treno.
Non ci sarà nessuna riscossa per le persone che guardano ad una società aperta, civile, tollerante, se prima non piantiamo bene e definitivamente alcuni paletti. Per esempio la capacità del cittadino di considerare anche gli altri invece di solo difendere il proprio minuscolo, miserabile fortino nel quale si è sciaguratamente asserragliato e allo stesso tempo la determinazione a non arretrare proprio quando la posta in palio sia scegliere tra il buio dei mille orticelli individuali e la luce delle comunità che ragionano, vivono e convivono anche e soprattutto per quelli che verranno dopo, perché ci sia un dopo, e perché la Storia non torni indietro.
C’è stata una seconda grande mutazione antropologica. Non la vedete? Non l’avete scorta? Altro che spostamento di consensi elettorali.
Già la televisione aveva rapidamente disintegrato, polverizzato le differenze tra le culture prima presenti e visibili, percepibili sui territori, come Pier Paolo Pasolini segnalava testardamente e con dolore ad una Italia già colpevolmente indifferente e smaniosa di consumi, non importa quale fosse la classe sociale di estrazione.
La seconda mutazione io dico che consiste – per così dire – nell’impazzimento della maionese, intendo dire che nel mondo delle reti la velocità alla quale viaggia tutto, dallo scambio di messaggi alla diffusione di notizie e commenti, è essa stessa IL fattore decisivo, fattore di cambiamento brutale dell’antropologia stessa delle persone.
Anche in questo caso si sta sgretolando un’altra cosa, il processo di formazione per gradi della conoscenza e delle competenze, così che, parallelamente, assistiamo alla caduta del riconoscimento dell’autorità di chi quelle competenze, verificabili e comprovate, detiene. Tutto può essere messo in discussione perché non esiste più il luogo dove si decide chi espone le ragioni più razionalmente convincenti.
E’ un’immensa, isterica e frenetica partita dove però non esistono più arbitri. Gli individui, gli elettori si sono convinti di non aver più punti di riferimento, ma allo stesso tempo di non aver più responsabilità personali. Da un lato non sanno più dove stia la verità, ma dall’altro lato hanno opportunisticamente smesso di cercarla, non se ne interessano, il tempo è poco, fammi vedere cosa posso arraffare qui e ora, vediamo che cosa mi conviene. L’orizzonte temporale di riferimento si accorcia, l’avvenire dei figli esce dagli interessi intimi, dall’insieme dei pochi residuali sentimenti nutriti dai padri e dalle madri.
Far crescere l’esercito dei cattivi e degli indifferenti di cui Roberto parlava diventa allora molto più facile. In un panorama sociale e umano come questo i movimenti che non prendono posizione su questioni di principio, che non hanno progetti in positivo, che saltano completamente l’ostacolo di dotarsi di competenze in tutti i campi, che si danno solo obiettivi da colpire, quei movimenti penetrano come nel burro in un universo antropologico che ha deposto le armi della morale, della ragione e della coscienza.
Questa è allora la Resistenza che ci tocca in sorte, e la nostra Dunkerque da cui ripartire.
Prima ancora di preoccuparci di chi sarà il segretario e quale procedura – primarie sì, primarie no – andrà correttamente ed efficacemente seguita, sostengo, dopo aver votato PD sempre, in tutte le occasioni elettorali da quado esiste, che dobbiamo subito indirizzarci all’elettore, ed anche a chi non ha votato, con atteggiamento non ossequioso, non incerto, non timoroso. Niente cappello in mano.
Romano Prodi, Walter Veltroni e Matteo Renzi sono persone ferite, ferite dai serial killer dell’informazione e dai troppi elettori capricciosi e vendicativi nel dopopartita. Allenatori subito fatti fuori appena il risultato non è stato quello auspicato. Nelle squadre di calcio gli allenatori non sono scelti dai tifosi, ma in politica li avevamo scelti noi, c’erano state primarie e si erano tenuti congressi. La verità è che ogni volta il progetto è andato a sbattere contro un paese che è ancora un paese profondamente conservatore, nel senso che ha paura del cambiamento vero, quello che ti chiede di avere idee e di smetterla di rifugiarti nei simboli e nei trofei del passato e allo stesso tempo di non aver paura di chi è fuggito da territori distrutti e invivibili.
Ci serve un partito che parli, ad alta voce e a viso aperto, delle cose di fondo, ma che, prima di convincere, interroghi l’elettore, le persone. Mettere in crisi la coscienza dell’elettore è la premessa del convincimento. Ma per far questo il vocabolario deve ridursi ai principi elementari, niente più che elementari, opzioni che discriminino tra un atteggiamento progressista e tutto ciò che progressivo non è.
Non di un paese più “di sinistra” abbiamo bisogno ma di un paese più civile.
Darsi da fare per pensare con la propria testa, essere desiderosi di assimilare delle competenze, nutrire la passione per un lavoro fatto bene, rispondere di quello che si dice e che si fa, se ci pensate bene sono tutte cose che non abitano nel nostro paese.
Non prendere posizione e stare il più possibile fuori dalle responsabilità, non metterci la faccia rischiando, diffondere gli atteggiamenti istintuali e disprezzare quelli razionali, tutto questo fa parte del ritratto di quel movimento di cui sappiamo ma anche di una grande massa di persone tra quelle che hanno votato.
Marcello Di Loreto
Benvenuto su questo blog, Marcello. Il tuo contributo è davvero utile e ti ringrazio molto.
L’analisi di Saviano, molto ampia e spesso contorta, contiene diverse cose condivisibili, come quando sottolinea gli errori di Renzi nel meridione, ma presenta anche aspetti paradossali se non parossistici! Mi riferisco alla modalità con la quale, secondo lui, il M5s avrebbe conquistato il voto del meridione, cioè “indicando bersagli da colpire”, nella fattispecie il PD, rappresentato come la causa di tutti i mali di quelle regioni, ma senza presentare alcuna soluzione su come risollevare il meridione dall’eterna mancanza di lavoro, di investimenti strutturali e quant’altro. “Preferisco l’assenza di progetto morale”? “Meglio l’uovo oggi della gallina domani”? “Preferisco un movimento che non si pone questioni morali e che rivendica con orgoglio la propria incoerenza”? Quindi, scoprire che in quel movimento, come per la questione dei bonifici revocati e dei rimborsi gonfiati, c’è una pletora di personaggi “diversamente onesti” non avrà alcun significato né conseguenza? Devastante! Pensa davvero, Saviano, che i meridionali impiegheranno tanto ad accorgersi di essere stati nuovamente presi per i fondelli e che quindi andranno avanti a lungo nell’attesa di chissà cosa? Pensa che non si accorgeranno che tutto rimarrà immutato, con l’aggravante che il fantasioso “reddito di cittadinanza” non potrà essere erogato, se non nella misura (guarda caso) del REI approvato dal governo Gentiloni? E come prevede che reagiranno in Sardegna e Sicilia, ma anche nel resto del sud, davanti alla constatazione dell’ennesimo raggiro? Saviano sembra trascurare tutto questo. Salvini e il Vangelo. Dove si rileva, ancora una volta, l’indecorosa messinscena di un personaggio che, sulla scia del fondatore di quel partito, ha ben capito quali corde toccare e come raccontare a tanta gente, prima opportunamente e lungamente preparata, quello che voleva sentirsi dire! Essere più “cattivi”? Cacciare gli immigrati (crollerebbe la nostra economia!)? Creare muri, barriere contro il diverso, il “poveraccio”, lo “straccione” che arriva affamato di tutto da paesi che non sono più tali, ma un coacervo di tribù in eterna guerra tra loro? Vogliamo finire così anche noi, chiudendoci nei nostri angusti confini, magari tornando alle contee, ai comuni? Apocalittico! Diamoci piuttosto una regolata e una mossa, chiamiamo a raccolta la gente che ha nella testa buoni proponimenti, idee e proposte serie, non fantasticherie o, peggio, bubbole. Questo Paese ha ancora dentro di sé le energie e l’intelligenza per salvarsi dalle derive populiste che finiscono solo con lo sgretolare il tessuto sociale e condurre all’anarchia. Rimettiamo il “merito” al posto che gli compete nella scala dei valori con cui si misurano le persone, in ogni campo e, per quanto ci compete, in quello della Politica (non a caso con la P maiuscola). Ce la possiamo fare? Si, se la smetteremo, una volta per tutte, di fare i “pierini”!
Roberto Saviano ha scritto un grande, prezioso articolo su Repubblica dello scorso 8 marzo. La cosa più importante che ci dice – io lo leggo così – è che stanno sparendo i limiti morali, i punti cardinali da rispettare per vivere in una comunità.
E’ dall’etica che dobbiamo ripartire, dai principi morali che dobbiamo e vogliamo difendere. E che vogliamo e dobbiamo comunicare alle persone alle quali parliamo, a quelle accanto a cui viviamo o lavoriamo, a quelle che incontriamo in un viaggio in treno.
Non ci sarà nessuna riscossa per le persone che guardano ad una società aperta, civile, tollerante, se prima non piantiamo bene e definitivamente alcuni paletti. Per esempio la capacità del cittadino di considerare anche gli altri invece di solo difendere il proprio minuscolo, miserabile fortino nel quale si è sciaguratamente asserragliato e allo stesso tempo la determinazione a non arretrare proprio quando la posta in palio sia scegliere tra il buio dei mille orticelli individuali e la luce delle comunità che ragionano, vivono e convivono anche e soprattutto per quelli che verranno dopo, perché ci sia un dopo, e perché la Storia non torni indietro.
C’è stata una seconda grande mutazione antropologica. Non la vedete? Non l’avete scorta? Altro che spostamento di consensi elettorali.
Già la televisione aveva rapidamente disintegrato, polverizzato le differenze tra le culture prima presenti e visibili, percepibili sui territori, come Pier Paolo Pasolini segnalava testardamente e con dolore ad una Italia già colpevolmente indifferente e smaniosa di consumi, non importa quale fosse la classe sociale di estrazione.
La seconda mutazione io dico che consiste – per così dire – nell’impazzimento della maionese, intendo dire che nel mondo delle reti la velocità alla quale viaggia tutto, dallo scambio di messaggi alla diffusione di notizie e commenti, è essa stessa IL fattore decisivo, fattore di cambiamento brutale dell’antropologia stessa delle persone. Anche in questo caso si sta sgretolando un’altra cosa, il processo di formazione per gradi della conoscenza e delle competenze, così che, parallelamente, assistiamo alla caduta del riconoscimento dell’autorità di chi quelle competenze, verificabili e comprovate, detiene. Tutto può essere messo in discussione perché non esiste più il luogo dove si decide chi espone le ragioni più razionalmente convincenti. E’ un’immensa, isterica e frenetica partita dove però non esistono più arbitri. Gli individui, gli elettori si sono convinti di non aver più punti di riferimento, ma allo stesso tempo di non aver più responsabilità personali. Da un lato non sanno più dove stia la verità, ma dall’altro lato hanno opportunisticamente smesso di cercarla, non se ne interessano, il tempo è poco, fammi vedere cosa posso arraffare qui e ora, vediamo che cosa mi conviene. L’orizzonte temporale di riferimento si accorcia, l’avvenire dei figli esce dagli interessi intimi, dall’insieme dei pochi residuali sentimenti nutriti dai padri e dalle madri.
Far crescere l’esercito dei cattivi e degli indifferenti di cui Roberto parlava diventa allora molto più facile. In un panorama sociale e umano come questo i movimenti che non prendono posizione su questioni di principio, che non hanno progetti in positivo, che saltano completamente l’ostacolo di dotarsi di competenze in tutti i campi, che si danno solo obiettivi da colpire, quei movimenti penetrano come nel burro in un universo antropologico che ha deposto le armi della morale, della ragione e della coscienza.
Questa è allora la Resistenza che ci tocca in sorte, e la nostra Dunkerque da cui ripartire.
Prima ancora di preoccuparci di chi sarà il segretario e quale procedura – primarie sì, primarie no – andrà correttamente ed efficacemente seguita, sostengo, dopo aver votato PD sempre, in tutte le occasioni elettorali da quando esiste, che dobbiamo subito indirizzarci all’elettore, ed anche a chi non ha votato, con atteggiamento non ossequioso, non incerto, non timoroso. Niente cappello in mano.
Romano Prodi, Walter Veltroni e Matteo Renzi sono persone ferite, ferite dai serial killer dell’informazione e dai troppi elettori capricciosi e vendicativi nel dopopartita. Allenatori subito fatti fuori appena il risultato non è stato quello auspicato. Nelle squadre di calcio gli allenatori non sono scelti dai tifosi, ma in politica li avevamo scelti noi, c’erano state primarie e si erano tenuti congressi. La verità è che ogni volta il progetto è andato a sbattere contro un paese che è ancora un paese profondamente conservatore, nel senso che ha paura del cambiamento vero, quello che ti chiede di avere idee e di smetterla di rifugiarti nei simboli e nei trofei del passato e allo stesso tempo di non aver paura di chi è fuggito da territori distrutti e invivibili.
Ci serve un partito che parli, ad alta voce e a viso aperto, delle cose di fondo, ma che prima di convincere interroghi l’elettore, le persone. Mettere in crisi la coscienza dell’elettore è la premessa del convincimento. Ma per far questo il vocabolario deve ridursi ai principi elementari, niente più che elementari, opzioni che discriminino tra un atteggiamento progressista e tutto ciò che progressivo non è.
Non di un paese più “di sinistra” abbiamo bisogno ma di un paese più civile.
Darsi da fare per pensare con la propria testa, essere desiderosi di assimilare un sapere e delle competenze, nutrire la passione per un lavoro fatto bene, rispondere di quello che si dice e che si fa, se ci pensate bene sono tutte cose che non abitano nel nostro paese.
Non prendere posizione e stare il più possibile fuori dalle responsabilità, non metterci la faccia rischiando, diffondere gli atteggiamenti istintuali e disprezzare quelli razionali, tutto questo fa parte del ritratto di quel movimento di cui sappiamo ma anche di una grande massa di persone tra quelle che hanno votato.
Marcello Di Loreto
Grazie,ma davvero grazie Marcello Di Loreto,oltre che benvenuto,mille volte benvenuto su questo blog,come dice Staino ! L’intervento e l’analisi fatta sono ,tra le cose dette e scritte con intelligenza e passione politica negli ultimi tempi , le più importanti precise,attuali,profonde e costruttive , perquanto mi riguarda, da me lette su queste pagine. Per tutti noi,un lavoro e un impegno duro,lungo e costante ,difficile ma appassionante per chi crede ,come me, che la politica, “la vera politica” , sia tra le più nobili attività dell’uomo civile.