A OGNI sconfitta scatta un irresistibile, eccitante impeto derisorio all’indirizzo del Partito democratico. Autorevoli commentatori televisivi fanno a gara a chi spara colpi sempre più ravvicinati, a chi inventa lo sberleffo più incisivo. «Il Pd non è più in mezzo alla gente, anzi non lo è mai stato. Il Pd è una casta. Il Pd è l’orticello di casa Renzi. Il Pd non è più di sinistra, il Pd non è più la sinistra. Il Pd è un morto che cammina ». Non siamo più davanti allo sfogo angoscioso di Nanni Moretti, che nel 2002 lanciava da piazza Navona il suo urlo: «Con questi dirigenti non vinceremo mai». Nelle parole e nell’animo di Moretti c’era l’angoscia e insieme la speranza di poter ancora cambiare. Nei commenti di molti dei nostri politichesi c’è invece solo una spensierata allegria. È l’allegria di chi passa rapidamente dall’italico servo encomio all’altrettanto italico codardo oltraggio. Non c’è ricerca di soluzioni, se non quella di un liberatorio «tutti a casa». «Ma come, non si sono ancora dimessi? Che vergogna».
Sbeffeggiare chi perde è un antico vezzo nazionale, la cui regola d’oro è: «Se esci sconfitto vuol dire che hai sbagliato tutto». E Matteo Renzi in effetti ha sbagliato molto e continua a sbagliare. Prima la gestione personalistica del partito, riempito di troppi devoti yes- men. Poi la personalizzazione del referendum e dell’Italicum. E ancora: la presunzione di aver risolto quasi tutti i problemi degli italiani che lo ha reso a volte sordo ai bisogni dei più sofferenti. E infine (fase attuale), la mezza svolta populista in vista del voto che si estrinseca nelle battaglie su Bankitalia, sui vitalizi parlamentari, sulle pensioni. Non sono errori da poco. E tuttavia, l’euforia lapidatoria che si scatena al suo indirizzo e a quello del Pd non si spiega solo così. C’è dell’altro.
Quel tiro al piccione non scatta mai nei confronti dei partiti o dei leader meno responsabili, quelli che ci hanno già portato sull’orlo della bancarotta nel 2011, o quelli che nascondono dietro una ondata di “vaffa” il loro vuoto programmatico, che si limitano a promettere pacchi di fantastiliardi. No, l’impeto liquidatorio prende di mira proprio chi si carica sulle spalle, magari sbagliando, il peso delle riforme; chi imbocca il sentiero angusto che si snoda tra il sesto grado dell’austerità e il baratro di una nuova crisi finanziaria. Chi riesce con incentivi e Jobs Act ad aumentare di mezzo milione i posti stabili. Chi mette in campo risorse per far salire del 50% il reddito nel 70% delle famiglie povere con minori. Chi sfida le corporazioni burocratiche che ingessano lo Stato. Nessuna critica si leva nei riguardi di quanti accettano i propri leader sulla base del loro carisma autocelebrativo, o di quanti spacciano per democrazia diretta poche migliaia di clic online. A essere accusata di antidemocrazia è l’unica forza politica in Italia che continua a praticare una selezione democratica dei propri dirigenti attraverso congressi e primarie.
Strano strabismo. È come se nella mente di taluni analisti politici scattasse il seguente ragionamento. «Lega, Forza Italia e M5S — si sa — sono non-democratici al loro interno e demagogici all’esterno, ma questo è un dato assodato, un tratto connaturato, si potrebbe dire ontologico, dunque è inutile parlarne. A te che invece ti carichi di responsabilità collettive, che tenti qualche faticosa riforma, che scegli democraticamente i tuoi leader, a te indirizziamo i nostri strali beffardi non appena perdi un colpo. Così impari a voler affrontare i problemi concreti. Non sai che sono irrisolvibili? Non sai che l’unica voce ascoltata è quella rivolta alla pancia della gente? E poi sei sicuro che la gente voglia che l’Italia cambi? Se lo pensi, sei un illuso. E infatti perdi, e la tua sconfitta è la prova che non solo hai sbagliato strategia, ma che le tue stesse idee sono da buttare. La ragione, ricorda, sta sempre dalla parte dei vincitori».
Lo abbiamo già conosciuto, questo modo di pensare, in occasione della riforma costituzionale bocciata dagli italiani. Ma domandiamoci una cosa: quella riforma e insieme a essa l’Italicum sono state affossate perché erano due cattive leggi, o perché Renzi ha sbagliato i tempi e i modi di proporle? Una cosa è certa: molti analisti che gridavano allora alla deriva autoritaria del maggioritario oggi sparano sulla nuova legge elettorale perché non garantisce una maggioranza sicura. Gli stessi che urlavano contro il dirigismo statalista della riforma costituzionale oggi si indignano quando gli assegni di ricollocazione per i disoccupati vengono ostacolati dalle burocrazie regionali, che quella riforma avrebbe neutralizzato. Dunque, forse quella riforma e quella legge elettorale non erano poi così sbagliate.
Ma dal passato — ecco un’altra regola d’oro dell’italico politichese — è vietato imparare. Non si impara, per esempio, che esiste da sempre, all’interno della sinistra, una classe politica massimalista il cui unico scopo è quello di disseminare trappole sul percorso di un riformismo responsabile. Ma il contro-ragionamento del fine analista segue un’altra narrazione: se si è arrivati alla scissione, vorrà dire che è stato il Pd a sbagliare. Ha sbagliato a non aprire a Tizio, a non dialogare con Caio. E tuttavia non si dice mai su che cosa si debba aprire. Nessuno che dica chiaramente: “aprire” significa che il Pd deve abolire il Jobs Act e rinunciare all’aumento dell’età pensionabile, come chiede la sinistra radicale. Non importa se così si trasferiscono costi enormi sulle spalle dei giovani. No, le analisi politiche di molti commentatori non si lasciano sporcare dai problemi reali, che vanno anzi opportunamente “coperti”, come si faceva in epoca vittoriana con i piedi dei pianoforti. Scoprirli è un atto di presunzione e chi lo compie prima o poi verrà punito.
La nuova occasione punitiva è arrivata con la sconfitta siciliana dei dem. Ma subito il discorso trasvola lo Stretto e la Trinacria di oggi diventa l’Italia di domani. Lo danno già per scontato e quasi lo giustificano molte analisi, prigioniere di un paradossale anche se non dichiarato sillogismo: Grillo, Berlusconi e Salvini parleranno anche alla pancia del Paese, ma la vera anomalia resta il Pd, dunque non solo è prevedibile ma è anche giusto che alla fine siano proprio i “pancisti” a vincere e il Pd a perdere. Tra un tripudio di nuovi allegri sberleffi. Quelli di chi si diverte a smontare una macchina utile, anche se piena di difetti, e a tenersi buoni i ben più attraenti e fantasmagorici carrozzoni della demagogia e della paura.
La Repubblica, 16 novembre 2017
5 Comments
Mi era sfuggito l’articolo di Ruffolo, che trovo assolutamente condivisibile. Vorrei aggiungere solo due considerazioni. 1° Nessuno o quasi dei commentatori ha osservato come i grandi sconfitti delle siciliane sono i 5S. La loro battuta d’arresto è avvenuta proprio là dove si aspettavano un trionfo che li avrebbe lanciati a livello nazionale. Grillo aveva detto ai suoi fedeli che, se non vincevano, non si sarebbe più fatto vivo in Sicilia. Ma Lui può dire ciò che vuole per molti dei nostri attenti osservatori: “Si sa, è un comico.” Non hanno vinto malgrado un notevole voto disgiunto (circa 8 %) che li ha premiati, in gran parte proveniente dalla coalizione di CS stressata dall’evidenza, strombazzata, della sua impossibile vittoria e dalla gara reale tra un demagogo e un fascista dichiarato. Ma se non vincono dove ne esistevano obiettivamente ampi presupposti come possono contrastare la Dx in campo nazionale? Credo che anche questo abbia contribuito alla farsa della sfida a Renzi prima lanciata e poi, con una scusa puerile, ritirata.
2° Il PD ha retto bene mantenendo, malgrado la scissione, sia i voti che la %, pur perdendo come ovvio e, come correttezza vuole, ha ammesso la sconfitta. Molti commentatori prospettavano, sulla base di fantomatici indizi, la possibilità addirittura di essere scavalcati dalla Very Left, raccolta attorno alla carismatica figura di Claudio Fava, e grazie alle moltitudini pronte a raccoglierne l’appello come certificato dall’orecchio attento di Bersani, stando a quanto dichiarato in più occasioni e in ultimo a 8 e 1/2 su La 7. Non si è notato ne alcun effetto del carismatico Fava ne la presenza in Sicilia delle moltitudini segnalate dall’orecchio bersaniano, che pure un po’ di Sicilia l’ha battuta. Forse in Sicilia non ne avranno scordato gli innumerevoli errori del passato, tante “vacche nel corridoio” della ditta. Sarà pure un fatto marginale ma un dato da commentare sarà pure anche l’asseverata marginalità della Very Left anche in Sicilia? Non ne ho sentito uno rilevarla, non dico sottolinearla per carità!
Scostandomi dall’argomento, voglio solo aggiungere la mia personale soddisfazione per il ruolo straordinariamente importante assegnato a Piero Fassino, un autorevole e serio dirigente DS a cui faccio i miei più vivi e cordiali e affettuosi auguri. Sta a vedere che Matteo stavolta l’ha azzeccata!?
Vedo una citazione dell’ intervento di Bersani nel salottino della signora Gruber. Tutto quello che ha detto, i sorrisetti, le espressioni dialettali o familiari, le strategie politico-economiche, mi sono apparse
di una vecchiezza disarmante. Come quando si rivedono certi improbabili “geni” della vecchia DC. È inesorabilmente un ex, a capo di un drappello di nostalgici che hanno perso una buona occasione. Togli Renzi e di loro non resta nulla.
Sandra Festi – Bologna
Carissimo Sergio,
condivido molto l’analisi di Marco Ruffolo. E’ da molto tempo che la penso come lui e temevo di essere il solo e invece mi ha fatto molto piacere che almeno siamo in due.
Gli argomenti che lui ha introdotto in maniera molto lucida sono purtroppo una realtà che noi stiamo subendo da troppo tempo. Questo tema andrebbe approfondito ulteriormente e sarebbe necessario che autorevoli commentatori, dirigenti di partito e non, lo portassero avanti. Non è possibile che chi ha sfasciato l’Italia o tenta di sfasciarla ancora come ad esempio Berlusconi, i Leghisti o Grillo per molta stampa e televisione siano gli eroi nazionali e chi come il PD cerca di metterci delle pezze, sicuramente a volte anche con limiti ed errori, sia il colpevole di tutto. Ormai, visto come è andata con il calcio, attaccare il PD è diventato il nuovo sport nazionale. Per un semplice militante come me, che non ha mezzi per difendersi pubblicamente, e molto frustrante subire gli sberleffi continui, che ci vengono propinati quotidianamente sia da destra che da sinistra. Mi sono ridotto che a volte ho paura di accendere la televisione o di comprare un qualsiasi giornale, come ho fatto la settimana dopo le elezioni in Sicilia. Anche Fazio e Crozza il lunedì sei novembre sono stati di un’arroganza e di una violenza inaudita. Quella non era satira ma sadismo. Pensare che ho sempre pagato puntualmente il canone RAI con il quale viene fatto anche il loro stipendio.
Mi scuso per lo sfogo.
Un abbraccio,
Carlo R
Carissimi tutti,
lo avete certamente notato …
Da alcuni giorni il tormentone degli opinionisti “che contano”, quelli sempre pronti a dire cose “molto intelligenti” nei TG, nei talk, sulla carta stampata, o sul web, è diventato:
“Sia Bersani (D’Alema), e la sinistra annessa, che Renzi sono dei perdenti, degli sconfitti dalla Storia e quindi sono da considerare fuori gioco”
Sintetizzo, ma il senso è quello, chiarissimo.
Largo ai vincenti, allora?
Chi? Salvini e Berlusconi col suo impero? O Di Maio e la Casaleggio Associati?
O Speranza (nomen omen!), Fratoianni, Montanari e Falcone (e se non sapete chi sono, non importa: non vi perdete niente …!)?
Tutti questi possono evidentemente vantare carnet di successi pari a quelli di Frank Sinatra e Barbra Streisand (cito coscientemente divi degli anni Cinquanta o Sessanta)!
E non dimenticherei la star Bertinotti che, con l’ultima svolta mistica, pare davvero molto moderno, anzi “new age”.
E il PD? Un vecchio arnese malandato, ridotto a parco giochi del boy scout di Rignano!
Allora meglio le sagaci mani, efficaci e vincenti, di un Enrico Letta, autodefinitosi “palle d’acciaio”!
Insomma, largo al nuovo, largo al moderno, magari melodico …
Purché il suddetto Partito, col suddetto Segretario ed annessa classe dirigente (tutti bolliti nel calderone della sconfitta epocale), riconosca di essere ormai il relitto di un passato da dimenticare al più presto e faccia spazio, a che? All’esperienza, oppure al nuovo che avanza (su questo i suddetti opinionisti devono ancora mettersi d’accordo, in verità).
Non so se ridere o se piangere!
Questi dicono sul serio, lo scrivono, non so se lo pensano davvero, ma fanno finta di farlo.
E probabilmente un po’ di gente dice:
– In effetti, …, ma che avrà fatto ‘sto PD di tanto utile e importante? Niente, anzi, gnente! Qua è tutto ‘no sfascio, un disastro, a la canna del gas semo ridotti! (L’ha detto pure Crozza a Sanremo)
– E i dati dell’ISTAT? – (inutile ribattere!)
– Ma chissenefrega, quelli se l’inventano, sparano numeri a cazzo! Se Formigli dice che è un disastro, sarà così, o no? Io me so’ comprato la machina nova, ho pure dovuto ricompra’ l’ultimo Iphone al ragazzino, se no sai che picci…! Ma la miseria se vede dovunque! Terzo mondo semo diventati, terzo mondo!
La faccio corta, tanto l’almanacco dei luoghi comuni lo conosciamo tutti.
Se questo sarà il tenore della prossima campagna elettorale, ed è sicuro che lo sarà, avremo bisogno davvero di nervi saldi ed infinita pazienza per riportare il dibattito su un terreno più politico e meno surreale. Avremo bisogno dell’intelligenza di tutta la nostra classe dirigente, nuova e vecchia, della dedizione di tutti i militanti per smontare in ogni luogo questo cumulo di banalità.
È difficile, difficilissimo, perché noi, che siamo gente seria, ovviamente non diremo mai che tutto va bene, perché sappiamo che non è così e che la strada è lunga, non ci vanteremo mai abbastanza di quello che abbiamo tirato fuori da una legislatura nata morta e rianimata solo grazie all’energia del PD. Diremo che si può e si deve migliorare, che conta avere un progetto e la capacità di realizzarlo, che serve la buona volontà di tutti.
Insomma diremo cose serie e concrete, mentre gli altri non avranno difficoltà a sbatterci in faccia tutti i problemi che ancora restano e che ci vorranno lustri per riparare.
E finché lo fanno Salvini, Berlusconi e Di Maio, … dopotutto è il loro ruolo.
Ma sentircelo dire anche da quella che dovrebbe essere la nostra parte, politica e mediatica, questo sarà davvero tremendo.
Coraggio, non perdiamo la lucidità; nei limiti del possibile, facciamoci anche un po’ furbi. Non prestiamo il fianco a questo scoperto gioco al massacro.
Le partite difficili si vincono con la convinzione nei propri mezzi.
Dell’articolo di Ruffolo, che non avevo letto in quanto non acquisto più Repubblica da oltre un anno, ci sarebbero diversi punti sui quali potrei dichiarare il mio dissenso, ma preferisco glissare. Mi limiterò ad osservare che, per quanto è “sarcasticamente duro” con quella che Faggioni chiama la “Very left”, l’articolo non sembrerebbe proprio pubblicato su Repubblica!