E’ un fatto ormai assodato che si debba passare il Ferragosto facendo lavorare duramente il nostro cervello. Ma in fondo è un bene perché le cose che vi propongo sono per certi versi eccezionali. Eccovi l’Adriano Sofri di stamani con l’augurio di buon lavoro. Che vuol dire che ci rifaremo a gennaio andando tutti alle Seychelles. Come profughi, ovviamente.
Sergio
Salvini in spiaggia a Milano Marittima fece un po’ di confusione fra il rivendicare i pieni poteri e l’averli già. E gli altri, pressoché tutti gli altri, sembravano inebetiti, come se Salvini li avesse già. E’ stata la prima volta, mi pare, in cui si è sostituito senz’altro il sondaggio alle elezioni. Poi i 5 stelle hanno messo su il disco rotto del taglio dei parlamentari – rende l’idea, un rumore, un umidore da sega circolare – e del tradimento del fellone Salvini. Zingaretti si è detto pronto, anzi quasi anelante, alle elezioni, e che altro poteva dire? Fosse stato lui ad avanzare l’obiezione che forse non era detto che si andasse alle elezioni perché l’aveva deciso Salvini se lo sarebbero mangiato in pinzimonio. L’obiezione l’aveva avanzata a suo modo Conte, annunciando che avrebbe detto la sua in parlamento. Nel giro di pochi giorni le cose hanno mostrato una piega inaspettata. Salvini ha trovato a sud un po’ di devoti in meno e un po’, un bel po’, di disgustati in più. E’ sembrato sempre più intontito lui, e ridicolo, non come sempre, più ridicolo. Aveva riempito la drammatica fine del governo con argomenti come il ritorno del culo e/o delle chiappe dei parlamentari (avranno conservato un tantino di suscettibilità ‘sti parlamentari, oltre alla seccatura di abbandonare i gommoni), ora riempie due o tre comizi al giorno con le poltrone, non si schiodano dalle poltrone, sono attaccati alle poltrone – c’è una fissazione ai deretani nella politica del cambiamento. Argomento peraltro complementare a quello del taglio dei parlamentari, l’estremo feticcio dei 5 stelle mutilati di reddito di cittadinanza e tav. Permettendo magari a qualcuno di pensare alla buon’ora che l’attaccamento alle poltrone, per esempio al seggio e alla responsabilità e alle possibilità del lavoro parlamentare, ma anche del resto, sindaci, consiglieri e tutte quelle cose che si guadagnavano chiedendo la fiducia della gente, è un sentimento di cui andare fieri. E il feticismo dei 5 stelle sulle poltrone sta per cedere come una frana rovinosa all’abolizione del limite di due mandati, immagino: e come la giustificheranno, se non con l’utilità e la nobiltà, almeno potenziale, delle poltrone? Diranno che sono rassegnati al sacrificio di restarci seduti su, nonostante tutto? Bene, nell’intontimento generale, Beppe Grillo, l’apprendista stregone più disgraziato che si ricordi, ha detto: macché elezioni, fuori i barbari. Un paio di minuti dopo ha sputtanato tutto inveendo contro gli eventualissimi aderenti all’appello: “sciacallaggio da avvoltoi” – e no!, o sciacalli o avvoltoi, caspita. Allora Matteo Renzi, che ha d’occhio l’interesse del paese solo un po’ meno dell’interesse per Renzi Matteo, e sa vedere gli spiragli e entrarci, ha giocato la sua carta. Programma minimo: riprendersi per un giorno o due il centro della scena. Massimo: sventare sul serio le elezioni, mettere Salvini nell’angolo, e rientrare nel gioco del governo, con uno scotto, il famoso taglio dei parlamentari. Zingaretti, noblesse oblige, o riflesso condizionato, ha reagito dicendo no e facendo appello all’unità. (Niente di più ragionevole, ma non conosco debolezza politica più grave di quella di far appello all’unità). Naturalmente, dentro di sé, cinque minuti dopo, si sarà congratulato di una mossa che poteva levare a lui le castagne dal fuoco e i pieni poteri dalle tasche di Salvini, dal momento che governo di scopo o di legislatura, per tentarsi davvero, avrebbe avuto bisogno di passare per lui, nonostante la quota di parlamentari intestata a Renzi. Tant’è vero che Di Maio, il testimone insuperabile della falsità del proverbio per cui si impara qualcosa dagli errori, si è precipitato a dire che “a tavola con Renzi mai”: infatti l’unica cifra distintiva dei 5 stelle, quella che resiste allo sgretolamento di ogni altro connotato, è l’assolutezza del veto. La Tap: mai. La Tav: mai. Con Berlusconi: mai. Con Salvini: mai. Con Renzi: mai. Con se stesso: mai, o quasi – è la logica del secondo mandato.
Siamo a questo punto. All’inciucio. La faccenda dell’inciucio è come quella delle poltrone. Va rivendicato, quando vale la pena. E disprezzati i suoi parassiti, rotti a tutte le complicità, come questo anno lunghissimo ha mostrato. Il punto è sempre quello: nelle elezioni, e di conseguenza nella politica parlamentare e nei suoi esiti governativi, non si può cercare la realizzazione dei propri ideali, che va invece cercata nella vita quotidiana personale e sociale – ed è molto più raro e molto più impegnativo – ma l’equilibrio, il compromesso, di volta in volta meno sfavorevole agli ideali cui ci si ispira. Si è trascinata per più di un anno la stupida polemica sul Pd che non essendosi alleato coi 5 stelle ha favorito l’alleanza dei 5 stelle con la Lega. Quel Pd, dopo quella sconfitta e con le sue rivalità interne – sono più accaniti i cannibalismi quando si perde, perché gli umani sono stupidi, e anche i pesci tirati su dai pescatori continuano ad addentarsi boccheggiando – non era in grado di accettare quella alleanza, che altrimenti sarebbe stata ragionevole, se non al costo di dissolversi. Oggi il Pd è sempre un increscioso accumulo di piccinerie, ma il peso reciproco suo e dei 5 stelle è di fatto mutato, si è visto a che punto di degradazione la Lega di Salvini abbia spinto la vita civile, e certo anche a che punto di servilismo e di inettitudine Di Maio e i suoi l’abbiano servita. E alcune soggezioni hanno rivelato un’anima cattiva e retriva dei 5 stelle, gli stilisti dei taxi del mare e i protettori del Salvini dalla Diciotti e i votatori della sicurezza bis, altrettanti fatti compiuti che impediranno loro di ottenere le attenuanti generiche dell’aver agito in stato di stupidità. Ma la democrazia parlamentare ha ancora delle regole. Le elezioni europee valgono a eleggere i rappresentanti nel parlamento europeo, non ad accaparrarsi quello nazionale. E tanto meno i sondaggi. E l’accusa di voler evitare le elezioni subito perché si ha paura dell’esito del voto? Certo, perché no. La composizione del parlamento è ancora quella di un anno e mezzo fa, quella da cui si uscì con il governo cosiddetto giallo verde. Erano possibili altre soluzioni: lo sono ancora. Naturalmente, visto che si vive di citazioni, chi ha più filo tesserà. Ma si riconosca almeno che questo è lo scenario.
2 Comments
I due interventi, di Macaluso e Sofri, di due persone cioè di grande intelligenza e onestà intellettuale indiscussa, sono molto utili perché presentano al meglio gli argomenti fondamentali a favore e contro le rispettive posizioni; l’una a favore delle elezioni, l’altra a favore della verifica in parlamento di soluzioni alternative. Sono interventi utili anche perché sgombrano il campo dalla caterva di argomentazioni demagogiche, fasulle o marginali, che servono solo a non discutere della sostanza e del merito delle questioni.
Per quanto dissentire da Sofri sia faticoso e imprudente, debbo dire che io mi convinco sempre più che la strada indicata da Macaluso sia la più sana e percorribile per il PD. Certo, la democrazia parlamentare lascia aperte tutte le soluzioni, e non sarebbe scandaloso percorrere fino in fondo quella strada. Anzi, va affermato con forza che le ragioni per non percorrerla non riguardano la sfiducia nella democrazia parlamentare, che va difesa a tutti i costi, ma nella situazione concreta nella quale ci si trova a agire.
Nell’aprile del 2018 il PD con modalità e ragioni non proprio chiarissime rifiutò di confrontarsi con i 5S. Ora le condizioni sono cambiate, ed è vero; ma sono cambiate in peggio: mentre nel 2018 sapevamo che i 5S avevano varie anime, da quella reazionaria a quella riformista (tutta da verificare, appunto), e le rivendicavano come il trionfo dell’era post-ideologica, oggi noi sappiamo che questa assenza di ideologia è un’assenza di principi (come avevamo sospettato, ma mancava la prova). Quindi si può votare il decreto sicurezza, si può evitare che Salvini sia indagato, si può dire che la Tav è una questione irrinunciabile e rinunciarvi, con una furbizia degna di miglior causa, insieme ingenua e arrogante, come è nel loro stile di governo: infatti, se si viole bloccare la Tav, non si fa una mozione priva di efficacia e con la certezza che venga respinta; si presenta una proposta di abolizione dei trattati che impongono di fare l’opera, ad oggi mai abolita, e se si va in minoranza si decide se far cadere il governo o no, in nome di interessi superiori che sono difendibili onestamente, se si esce dal blog e dai twitter e si parla davvero al paese con senso di responsabilità e rispetto delle istituzioni e degli italiani così spesso invocati. L’elenco può allungarsi a dismisura (Atlantia chiamata a salvare Alitalia, ma continua a essere una banda di criminali, e una compagnia decotta, la cui concessione deve essere revocata, come e quando e con quali strumenti per non incorrere in sanzioni miliardarie per ora non importa, basta dirlo); per non parlare dell’annuncio della abolizione della povertà, un insulto ai poveri.
Più che singoli atti, conta come ho cercato di dire l’atteggiamento generale, il modo di intendere e praticare la politica. Non sono i soli, ma sono quelli con cui dovremo allearci per fermare Salvini.
Credo, con Macaluso, che si tratti di una mossa potenzialmente suicida, per più ragioni: impedisce ancora una volta al PD di elaborare e promuovere un proprio programma, una visione di società che finalmente indichi una speranza, una vera alternativa. Infatti, il PD dovrebbe negoziare un compromesso che, per essere ragionevole, dovrebbe in pratica rifiutare tutto ciò che i 5S hanno fatto in questo anno e mezzo. Ecco perché oggi è peggio di un anno e mezzo fa.
In ogni caso, sarebbe l’ennesima occasione nella quale il PD rinuncia a essere un partito con un suo progetto che vada oltre fermare il nemico di turno. Non è bastato prima, non basterebbe ora.
Inoltre, per fare questa operazione, occorre un PD unito; ma un PD unito può anche, e più efficacemente, andare alle elezioni nella chiarezza. Purché non sia unito solo per continuare la legislatura, e poi non riesca a unirsi nella cosa più importante: un progetto politico e una strategia che lo sostenga. Se non riesce a fare questo, allora mi va bene tutto, perché il PD ha perso, a prescindere, lo sa e forse è contento perché così non deve davvero misurarsi con il compito di essere una vera alternativa ideale, politica, sociale etc.
Oggi il PD è sopra il 20-22% stabilmente nei sondaggi. Una campagna elettorale limpida, unitaria, che non passi attraverso l’ambiguità di una rinuncia a sfiduciare questo governo (ma come si fa, davanti al mondo? Sia pure con trucchi del lodo Grasso o altro marchingegno, tutto già visto, per poi votare tra qualche tempo) può fare aumentare i consensi in modo significativo. Vi sono poi le liste varie, le associazioni, i sindacati, i sindaci etc. Certo, con la legge elettorale attuale, che abbiamo sostenuto noi quando ci sembrava una grande trovata, il rischio che Salvini vinca tutto c’è. Forse possiamo essere certi che un governo con i 5S non lo faccia vincere subito dopo? Chi di tattica ferisce di tattica perisce, lo dovrebbero sapere in molti. Una strategia ben studiata può essere vincente, e comunque è in sintonia col meglio del paese. E non è poco. Cominciamo da qui.
Grazie dott.Clemente della sua lucida analisi, importante per giudicare con lucidità e serenità tra i percorsi immaginati e argomentati da Sofri e da Macaluso.
Massimilìano