Paolo Hendel (fiorentino, classe 1952) attraversa lo schermo e il palcoscenico con coerente turbolenza satirica e civile. Una vena surreale lo anima fin dagli esordi negli anni Ottanta, cabarettista pungente e dissacrante, affabulatore colto e ironico, attore dal tocco gentile e raffinato, espressione di una comicità attenta alla quotidianità che sa farsi satira politica di costume. Ha pubblicato per Rizzoli “La giovinezza è sopravvalutata” da cui è nato il monologo, regia Gioele Dix, col quale riprenderà a girare l’Italia quando finalmente si potrà tornare in teatro.
IL LIBRO SUL COMODINO
«Ci trovo spesso una bella pila di libri e non so come ci siano arrivati – dice Hendel – Magari restano lì per mesi e alla fine li sposto altrove senza nemmeno averli letti. Allora mi sento in colpa. Borges ha detto “la letteratura è una delle forme della felicità. Chi non legge è masochista”. Temo di esserlo un po’ visto che leggo meno di quanto potrei. Vuoi per pigrizia e per le troppe distrazioni: basta poco per distrarmi. Può bastare un videogioco, come “The Legend of Zelda: Breath of the Wild” regalato a mia figlia quando era piccola e subito diventato una droga per me. Poi c’è la televisione, per non parlare dei quotidiani. Insomma, è un miracolo se poi uno riesce a leggersi un libro!».
IL LIBRO DELLA VITA
«Direi “Guerra e pace”, tanto per andare sul leggero. Letto in ritardo, già quasi da anziano – dice l’attore – Ma da ragazzo c’era l’impegno politico e quando lo trovavi il tempo per leggere un tomo del genere? L’ho letto in macchina, guidando in giro per l’Italia, quando i teatri erano aperti. Non nel senso che l’ho letto mentre guidavo, l’ho ascoltato letto da altri. Gli audiolibri sono una bella soluzione se devi passare ore e ore al volante e “Guerra e pace” letto da Gino La Monica è il massimo. Certo, ti viene da pensare che se Tolstoj, delle 1225 pagine ne avesse tolte alcune di descrizioni di battaglie e strategie militari, si sarebbe stati ugualmente felici e contenti, ma questo resti tra noi».
IL LIBRO DA RILEGGERE
«“Oblomov” di Goncarov. L’ho letto tanti anni fa e subito mi piacque. Le sue giornate passate a letto, prigioniero di una patologica indolenza: quelle pantofole larghe che, nei rari momenti in cui si alza, gli permettono di infilarci automaticamente i piedi. Passa la vita disteso non perché stia male, quello orizzontale è il suo stato normale. In questi mesi di pandemia passati in casa in pigiama, rimandando sempre qualcosa al giorno dopo, mi è capitato spesso di pensare a lui».
IL COLPO DI FULMINE
«“Il barone rampante” di Calvino, letto da ragazzo e riscoperto e capito molti anni dopo – dice Hendel – Un colpo di fulmine tardivo. D’altronde son lento a capire, c’è poco da fare. In questi anni ho scoperto il piacere di leggere in pubblico i libri che ami, di condividerli. Proprio in questi giorni ho registrato per il Giglio a Lucca un reading di Calvino con musiche dal vivo, Elisa Racioppi al piano e Augusto Vismara viola e violino, trasmesso in streaming. È stato un modo per condividere la felicità di cui parla Borges. Testi come la trilogia dei nostri antenati e le “Cosmicomiche” sono un bellissimo gioco di poesia, leggerezza, profondità e ironia che conquista il pubblico in un sentimento collettivo che amplifica la forza del testo».
IL LIBRO SORPRESA
«In questi giorni ho letto la “Storia sentimentale del Pci” di Sergio Staino. In verità non ne avevo tanta voglia, ma non lo dite a Sergio! D’altronde se un amico scrive un libro diventa difficile non leggerlo. E se fingi corri il rischio di essere smascherato. La cosa che mi ha sorpreso è che alla fine il libro mi è anche piaciuto! Non condivido alcuni giudizi di Staino, e ne dà molti, ma ci sono pagine molto belle in cui racconta di Bobo e del suo impegno di disegnatore satirico. In un momento come questo, in cui ci troviamo a rivolgere le nostre residue speranze verso un nuovo governo che nasce dal fallimento della politica, è bello ritrovare la passione per la politica quella buona, pulita, ispirata ai valori di giustizia, equità e solidarietà: sacrosanto l’invito di Sergio nel valutare le persone, a non trascurarne mai il lato umano, ancor più quando si tratti di dirigenti politici». —
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