Ma dove sta scritto che essere “riformista” significhi pensare e parlare come un “moderato”? Enrico Morando, leader dell’area liberal del Pd, tra i fondatori dell’associazione di cultura politica Libertà Eguale, già vice ministro dell’Economia e delle Finanze nei governi Renzi e Gentiloni, agli “schiaffi” politici di Massimo D’Alema non porge l’altra guancia. Al tempo stesso, lancia un messaggio conciliante agli “scissionisti” di Articolo 1.
La butto giù un po’ brutalmente: lei si sente guarito dalla malattia del “renzismo”? E come vede un eventuale ritorno nel Pd degli “scissionisti” di Articolo 1?
La posizione politico-culturale dell’avversario interno al tuo stesso partito descritta come il male, la patologia di cui liberarsi; o cacciandolo, se hai la maggioranza per farlo, o operando una scissione, se sei finito in minoranza… In tutti i partiti di sinistra a vocazione maggioritaria – sia in Europa, sia negli Stati Uniti d’America- è aperta una dura competizione per la leadership e la linea politica tra due posizioni politico-culturali molto diverse: ieri erano quelle dei riformisti e dei massimalisti, oggi sono quelle della sinistra liberale à la Salvati-Dilmore (i riformisti di Liberalismo inclusivo-Feltrinelli), e quelle à la Piketty (la sinistra massimalista di Capitale e ideologia-La nave di Teseo).Lo scontro è stato sempre e rimane molto duro: qualche mese fa la sinistra di Sanders e Ocasio-Cortez è giunta a non votare il piano di Biden per le infrastrutture (il più grande, in rapporto al Pil, della storia post 1945), perché troppo incline al compromesso coi repubblicani… Ma in quei partiti, per loro fortuna, la tenacia e la determinazione con cui si combatte l’avversario interno sono superate solo dalla consapevolezza della crucialità, per il successo dell’impresa comune, della sua esistenza e della sua attiva permanenza nel partito stesso. Così, mentre D’Alema mi descrive come “malato“, io sono sinceramente contento se i compagni di Articolo Uno prendono finalmente atto del fallimento del loro progetto scissionistico e decidono, conseguentemente, di rientrare nel Pd. So che dal giorno dopo si batteranno contro le posizioni, la linea politica e la leadership che piacciono a me, rafforzando ulteriormente la sinistra interna che ha vinto l’ultimo Congresso. Ma so anche che il loro ritorno rafforza il Pd perché allarga lo spettro delle posizioni presenti al suo interno e dunque, potenzialmente, il suo elettorato. E infine so che, come li abbiamo battuti in campo aperto, per ben due volte dal 2007 ad oggi, possiamo tornare a batterli, con le armi della democrazia messe a disposizione dallo Statuto del Pd (che, malgrado i ripetuti tentativi, non sono riusciti a cambiare).
Non mi dirà che ha perdonato anche il brindisi alla sconfitta del referendum costituzionale del 2016…
Le risponderò con le parole di un vero leader politico del passato: quello “era peggio di un crimine, era un errore politico“. Un errore politico di quelli che i politologi definiscono “tragici“ perché producono risultati tendenzialmente irreversibili. Dalla scelta che i compagni di Articolo Uno vogliono compiere, deduco che lo abbiano capito persino loro.
Esiste un conservatorismo di sinistra e quanto ha pesato nella mancata definizione di un campo allargato riformista?
In primo luogo, ha pesato moltissimo nel ritardare la scelta di dar vita al Partito Democratico. Vale a dire, la scelta che ha fatto uscire la sinistra italiana dalla sua condizione di strutturale minorità. Dopo la sconfitta del 1994 e la vittoria dell’Ulivo nel 1996 il Paese aveva parlato; bastava avere orecchie per sentire: subito una soggettività politica di centrosinistra, asse dell’alternativa di governo al neonato centrodestra di Berlusconi. Il programma era scritto. La leadership forte, vincente e legittimata da milioni di cittadini. Ma, proprio con D’Alema a Gargonza, iniziò una resistenza conservatrice che ci avrebbe frenato per più di 10 anni… E non è finita: il Pd è tornato a essere il principale partito del centrosinistra, ma è come se esitasse ad assumere la funzione di leadership che gli compete. A trattenerlo, è l’idea non già della necessaria alleanza con il Movimento Cinque stelle di Conte, ma dell’asse strategico, cioè del rapporto privilegiato, se non addirittura esclusivo, con questo partito. Da questo atteggiamento derivano effetti (solo apparentemente) paradossali: perché lasciare a Draghi l’onere di dire la verità su Quota 100 e la sua insostenibilità sociale (è contro i giovani), economica (distrugge più posti di lavoro di quelli che crea) e finanziaria? Perché deve essere Draghi a dire che l’ecobonus 110% va assolutamente prorogato per i grandi palazzoni anni ‘50-‘60-‘70 del secolo scorso -dove le famiglie di lavoratori posseggono un appartamento che vale in cifra assoluta meno di quanto lo ha pagato la generazione precedente a quella di chi lo abita e lo possiede oggi, determina oneri crescenti per il riscaldamento e il raffreddamento, ed inquina a più non posso sia in estate, sia in inverno-, ma va drasticamente ridimensionato -riportandolo dove stava prima del 2018- per le villette singole? O ancora: perché lasciare al solo Draghi il compito di mettere fine al cashback? Ecco riaffiorare il massimalismo propagandistico : imposta patrimoniale a parole e reale trasferimento di risorse pubbliche a favore di chi è più dotato di ricchezza patrimoniale.
Quirinale, ora si fa sul serio. Il presidente della Camera Roberto Fico, ha convocato i due rami del Parlamento in seduta congiunta il 24 gennaio prossimo. All’iper attivo Salvini, Letta ha risposto che fino a quando rimane in campo la candidatura di Berlusconi è improponibile per il Pd lavorare con il centrodestra per una candidatura condivisa. Lei come la vede?
Tutti sanno che non c’è alternativa ad una scelta condivisa: se la larghissima maggioranza parlamentare che sostiene il governo Draghi organizza una rissa all’ultimo voto (di franco tiratore) al suo interno, il Governo cade e il Paese getta alle ortiche il clima di fiducia che si è creato in questa fase, nonostante la pandemia. Dunque, chi dirige i partiti che fanno parte della maggioranza, a partire da Berlusconi (che sa di non poter essere eletto: può legittimamente aspirare al ruolo di king maker, se altri, che potrebbero intestarselo, vi rinunciano), deve lavorare alla costruzione di una intesa, su di un nome da proporre anche a Fratelli d’Italia (Meloni, a quel punto, non potrà che farlo proprio: pagherebbe troppo cara la divisione del centrodestra sul Presidente). Tutti si affannano a dire che col 2023 “tornerà la politica“: sulla elezione del presidente della Repubblica si decide se questa prospettiva è una buona speranza o lo scenario del peggiore degli incubi.
I riflettori mediatici sono puntati su Mario Draghi. C’è chi lo vuole subito al Quirinale e altri preferirebbero che restasse a Palazzo Chigi fino alla scadenza naturale della legislatura, nella primavera 2023. Lei da che parte sta?
Se si procede a un’intesa nella maggioranza di governo, da estendere poi a Fratelli d’Italia, si può scegliere di eleggere Draghi presidente della Repubblica o di chiedergli di continuare a fare il presidente del Consiglio, in un clima di stabilità comunque rafforzato. Se la maggioranza di governo non regge alla prova e si spacca sul Presidente, neppure il prestigio e la credibilità di Draghi saranno in grado di evitare un disastro. Vorrei, su Draghi, aggiungere una riflessione che riguarda più da vicino la sinistra: D’Alema, per ultimo, ha dato conto di un giudizio di lontananza, se non addirittura di ostilità, che una parte minoritaria della sinistra nutre nei confronti di Draghi. Una recente indagine demoscopica realizzata da Sociometrica su “ Il fattore Draghi e la politica italiana“ ha fatto emergere che gli elettori del Pd “sentono” Draghi vicino alle posizioni del loro partito, mentre quelli della Lega lo avvertono molto “lontano”. Forse – se il Pd vuole ridurre il baratro che separa la funzione politica che svolge dal livello di consenso elettorale che ottiene -, bisognerebbe lavorare di più su questa percezione. Che non nasce dal nulla, ma dalla cultura politica che lo stesso Draghi ha detto essere sua ed è una delle culture politiche fondanti del Pd: quella liberalsocialista e liberaldemocratica.
Mentre nei palazzi della politica e nei salotti mediatici impazza il toto-presidente, l’Italia fa i conti con Omicron. La crisi pandemica è tutt’altro che risolta. Questa constatazione di fatto giustifica il permanere di una maggioranza di governo come quella attuale, che definire spuria è un eufemismo?
Giustifica la permanenza di una maggioranza e di un governo che proprio sul contrasto alla pandemia (vaccini) e sul Pnrr hanno fondato la loro esistenza, dando buona prova. Nelle ultime settimane il cammino del governo si è fatto più lento e faticoso. Ma un rilancio è possibile, se la prova della Presidenza della Repubblica sarà ben superata.
6 Comments
Eh Morando, in realtà il rientro di D’Alema significa non che è stato sconfitto, ma che ha vinto.
Prima lei lo capirà, che nel PD(S) ormai lei è solo una foglia di fico, meglio sarà.
Caro Emiliano, dai tempo al tempo.
Sarò un inguaribile ottimista, ma non credo che i tanti riformisti del PD vogliano tutti suicidarsi con D’Alema.
Il “campo” riformista esiste in natura ed è molto ampio: Renzi lo sta coltivando con pazienza, e non è il solo a farlo, per fortuna.
Arriverà il momento della resa dei conti: le elezioni, prima o poi, arriveranno e il PD dovrà decidere se connotarsi come forza riformista positiva o sparire, al seguito delle vecchie cariatidi massimaliste, post-comuniste, populiste, conservatrici.
Il leader è bell’e pronto: si chiama Mario Draghi. Il programma pure: si chiama PNRR.
Morando forse si illude di tenere tutti dentro ma, se sarà possibile, si farà, altrimenti bisognerà recidere quell’arto putrefatto, che tanti danni ha provocato e provoca ancora.
Io confido nell’intelligenza di tanti dirigenti del PD ma, come forse sai, trovo più utile preparare dal di fuori il terreno adatto.
E’ per questo che sono con Italia Viva.
Spero tu abbia ragione, Ernesto.
Ma dopo le porcate – tali erano – che ho letto provenienti dai cosiddetti “riformisti” del PD, inclusa la ridicola difesa a oltranza dell’avvocaticchio Conte, non ho alcuna fiducia residua in quelle persone.
Banderuole senza idee proprie e senza dignità, che hanno accettato in silenzio la trasformazione del PD in un tentacolo del M5S, che hanno assistito in silenzio a un anno di marchette oscene (quanti morti sono costate le mascherine contraffatte fornite ai medici e ai sanitari per fare arrivare 15 milioni di “commissioni di intermediazione” a un imprenditorino di Civitavecchia su un conto estero? Com’è possibile che un’oscenità del genere non sia il più grande scandalo degli anni 2000?) e a un degrado mai visto neppure ai tempi del peggior Berlusconi.
Ne restano ben pochi di salvabili lì dentro, tra cui Morando, ma sono mosche bianche. Quel partito è un comitato d’affari eterodiretto, e null’altro.
E credimi, lo dico con enorme dolore.
Caro Sergio,
mi dispiace molto leggere sul tuo blog, scritti offensivi per una intera comunità quella del PD, fatta di gente onesta, democratica e solidale, che invece viene considera, da un anonimo sig Emiliano, un “comitato di cretini” che votano un “comitato di affaristi e ladri”. Ci sarebbero gli estremi per una denuncia penale, per il suddetto personaggio, ed invece l’ing, Trotta lo vezzeggia, forse perché è un iscritto o sinpatizzante di Italia viva? Tutte le idee umane hanno pari diritti, Secondo me, ma quando sono dirette ad offendere e distruggere il proprio interlocutore, è meglio evitare qualsiasi contatto e rivolgersi alle forze dell’ordine ed alla magistratura. Buona giornata a chi legge, ma non a chi offende. Antonio De Matteo Milano
Beato te, Antonio. che vivi nella tua bolla alla Bicocca e non vuoi vedere che, dietro alla politica, non ci sono solo ideali e relativa dialettica, ma anche rancori, astio, risentimenti personali che purtroppo, in quanto umani, non sono del tutto trascurabili.
Il PD non è quello che tu idealizzi: oggi è un’esperienza finita, fallita, distrutta dall’incapacità di essere riformista sul serio, e quindi tendenzialmente ininfluente sul panorama politico.
Se non si ha il coraggio di imboccare con decisione la via del riformismo “vero”, e non a chiacchiere come quello della Ditta, resterà solo il comitato di interessi di cui parla Emiliano. Prima lo capiamo e meglio è.
Morando si illude di tenere tutti dentro, se lo augura, ma io temo che non sia possibile, e l’ennesima bomba puzzolente di D’Alema lo dimostra.
Quella sedicente sinistra retrograda e conservatrice non è congenitamente adatta a fare le riforme profonde di cui il Paese ha bisogno. Non vuole farle, tant’è che scatta sull’attenti ad ogni sussulto populista di Landini e pure dei cinquestelle.
Serve una rappresentanza vera per le forze riformista e il PD, per come è adesso, non è in grado di fornirla.
Se c’è chi lo capisce, Morando e tanti altri, devono prendere posizioni nette, a partire dalla leadership di Draghi.
E al diavolo i massimalisti, autentica rovina della sinistra …
Voglio solo scrivere alcune mie precisazioni, ma sono stufo di parlare di Renzi Matteo e dei renziani, in particolari di quelli che ragionano come l’anonimo Emiliano e di coloro che lo applaudono.
1) Il Partito Democratico italiano non “è in mano” agli ex comunisti, ma agli ex democristiani ed a me va benissimo come ex-comunista.
2) I fuoriusciti dal PD, gli ex comunisti D’Alema, Bersani, speranza eccetera, se rientrano da dove sono usciti ammettono di aver sbagliato e non potranno certo rifare quello che desiderano, ma dovranno accettare il compromesso delle idee, algoritmo fondante del popolo dem.
3) La politica non si fa con le chiacchiere, ma affrontando i problemi veri delle persone e risolvendoli.
Io ed i soci/e della mia associazione di volontariato, denominata
“ comitato Bicocca OdV” ci proviamo tutti i giorni. Oggi, ad esempio, abbiamo smontato l’albero di Natale con i bambini/e della zona, cercando di riportare un po’ di Serenità, sempre in sicurezza anti COVID-19, nel nostro quartiere. Certamente è “una piccola bolla” la nostra zona, ma è contagiosa. Tant’è che questo anno in quasi tutte le periferie di Milano hanno addobbato un albero di Natale con grande gioia dei bambini/e delle scuole elementari ai quali insegniamo il rispetto “del diverso” non l’odio che spesso impera su questo blog. Noi riteniamo che così si costruisca una società migliore e non ci interessa polemizzare con gli Emiliano, gli Ernesto e gli intellettuali che predicano verità personali spacciandole per universali.
3) Il PD Non morirà e non è finito, visto che tra l’altro nei sondaggi è sempre il primo partito italiano, se ascolterà, e mi pare lo stia facendo, le tante associazioni di volontariato come la mia ( non in senso possessivo ma di appartenenza) per risolvere insieme i problemi della nostra comunità. Non occorre un leader forte, ma una comunità forte, solidale, democratica per trovare un compromesso su tutte le esigenze della stessa, partendo dall’ Aiuto alle nuove generazioni.
Ognuno può pensarla come vuole, ma poi in democrazia è necessario un compromesso delle idee a maggioranza che non si può ottenere con ” i vaffa” distribuiti a destra e a manca ed inneggiando ai propri dogmi.
Io ho sempre apprezzato le persone da quello che fanno e non da quello che dicono e per quanto detto preferisco le proposte concrete alle filosofie avveniristiche. Ringrazio per l’attenzione, rispetto le idee altrui, nei limiti della correttezza, dell’onestà e saluto con cordialità.
Antonio De Matteo quartiere Bicocca Milano.