Il futuro del congresso Pd è ancora legato al vecchio patto di sindacato
Renziani, orfiniani e gli altri. Contro Zingaretti prende forma una triangolazione tra i sostenitori dei candidati. Ipotesi 3 marzo
Senza una candidatura forte, di quelle che sparigliano, l’esito del congresso del Pd, che potrebbe svolgersi il 3 marzo, rischia di essere imprevedibile (determinante sarà l’affluenza, che al momento è il dato forse più imponderabile di tutti). Molte le candidature: Marco Minniti, Nicola Zingaretti, Matteo Richetti, forse pure Maurizio Martina. Lo statuto del Pd scremerà gli sfidanti e il patto di sindacato dei Democratici che ha guidato il partito finora cercherà di controllare il duello, ordinarlo, prevedere il finale del film, cercando di far scegliere il segretario non al “popolo delle primarie” ma agli eletti dell’assemblea, come prevedono le regole, qualora nessuno degli aspiranti segretari raggiungerà il 50 per cento dei voti. Il rischio è concreto; determinante potrebbe rivelarsi l’impegno di Matteo Orfini, che nell’ultimo mese ha lavorato per creare il “terzo polo”. Il presidente del Pd non sceglierà né Minniti né Zingaretti e punterà tutto su Martina. Se Martina però non si candidasse, allora la scelta ricadrebbe su un’altra candidatura (magari una donna, ma non Chiara Gribaudo, specificano gli orfiniani). Il “terzo polo” potrebbe dunque mandare Minniti sotto il 50 per cento e c’è chi ritiene che possa anche stare sopra Zingaretti. I voti di Orfini comunque sarebbero determinanti in assemblea se il suo candidato arrivasse terzo.
La macchina elettorale di Minniti nel frattempo è al lavoro. A capo c’è l’immancabile Achille Passoni, ex senatore del Pd, marito dell’ex ministra Valeria Fedeli, per anni responsabile organizzazione della Cgil, uomo d’ordine del sindacato vicino alla sinistra. Insieme a Passoni (che lo scorso fine settimana era seduto in platea all’incontro dei renziani a Salsomaggiore a prendere appunti) ci sono anche, ma più defilati, Andrea Manciulli, ex segretario del Pd toscano ed parlamentare, oggi al lavoro nel settore privato, e Nicola Latorre, altro ex senatore. Al lavoro per la candidatura di Minniti nel Pd ci sono poi Andrea Romano, Lorenzo Guerini, Ivan Scalfarotto, Matteo Ricci, autore del manifesto dei sindaci firmato anche da Giorgio Gori e Dario Nardella. Secondo Romano, il lavoro di Minniti seguirà quello di Renzi e ne rappresenta la sua anima riformista. “Il cambiamento profondo (e forse irreversibile) avvenuto in questi anni nella cultura condivisa dalla comunità del Pd – dice Romano in un intervento pubblicato da Libertà Uguale – non dovrebbe essere confuso con l’auspicio di alcuni dirigenti di chiudere la parentesi dell’egemonia riformista per tornare ad una fantasiosa ‘età dell’oro’ della sinistra italiana. Un auspicio legittimo per una battaglia politica altrettanto legittima, ma che tuttavia non può essere attribuito ad un Pd che – nel suo essere comunità politica e non solo somma di dirigenti – è e rimane la casa dei riformisti italiani e lo strumento principale (se non unico) sia per la difesa dell’Italia dal destino di isolamento e declino a cui vorrebbero condannarla i sovranisti sia per la traduzione concreta di quei valori di libertà e progresso che ci identificano”. Al fianco di Minniti non ci sarà invece Paolo Gentiloni, una scelta che ha amareggiato non poco i renziani. Stefano Ceccanti non capisce il senso di questo appoggio, “non solo per le evidenti differenze complessive di cultura politica, ma specificamente per l’importanza che Zingaretti attribuisce alla rottura di quella grande regolarità positiva delle democrazie parlamentari e al ritorno a un’anomalia negativa italiana del primo sistema dei partiti”. Un esito, peraltro, “del tutto contraddittorio col metodo che si è dato il Pd delle primarie aperte che convocano gli elettori perché non si tratta solo di scegliere un segretario che apre e chiude le riunioni. Peraltro con quella regressione sarebbe anche abusivo il nome stesso di primarie”. E Graziano Delrio invece? Il capogruppo del Pd alla Camera potrebbe convergere su Martina. “Vediamo i contenuti. E se aggrega i 40enni sui contenuti”.
David Allegranti, Il Foglio, 14 novembre 2018
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Lettera aperta a Maurizio Martina
Caro Maurizio,
sono veramente deluso dal comportamento di Marco Minniti. Gliel’ho anche scritto ma ormai non risponde. Più volte parlando con lui gli avevo spiegato il perché della mia posizione a tuo favore, perché, come ti ho detto e ho scritto anche sul mio blog, tu sei l’unica persona la cui elezione a segretario può aiutare la crescita di un partito unitario, pur con le sue tante e diverse componenti. Una segreteria Martina non offre ai renziani la scusa per andarsene e contemporaneamente può parlare, nei limiti del possibile, con qualche fuoriuscito un po’ più ragionevole degli altri. Una segreteria Martina metterebbe la sinistra che guarda a Bersani in un ruolo non identificativo ma comunque di sostegno esterno al partito e, contemporaneamente, acquieterebbe la vocazione straripante e autoreferenziale dei renziani.
L’ingresso in campo di Minniti sconvolge questa situazione e in nessun modo si potrebbe impedire di cogliere questa sua discesa come un accordo di fatto con Renzi ed una sua eventuale vittoria porterebbe tutta la parte del PD critica verso la politica sui migranti ad allontanarsi dal partito. Insomma, la sua candidatura sarebbe una candidatura fortemente divisiva, tendente a radicalizzare lo scontro. Avremmo cioè un congresso Minniti versus Zingaretti e la tua figura passerebbe necessariamente in secondo piano. Renzi ha già dichiarato che se viene scelto Zingaretti se ne va dal partito, dimostrando per l’ennesima volta di essere tutt’altro che un costruttore di comunità identitarie e di partiti. A quel punto anch’io, ovviamente, se dobbiamo contarci, mi vedrò costretto a votare Zingaretti. E con me penso tanti altri.
Ciao
Sergio
7 Comments
caro Sergio, devo dirmi costretto a condividere la tua lettera a Martina tranne che l’ipotesi Zingaretti, che mi pare troppo un Bersani riveduto e corretto. ben s’intenda, personalmente spero nel rientro di Bersani o almeno in una alleanza con i bersaniani, che ritengo possibile solo con una segreteria Martina, che scongiurerebbe ulteriori divisioni e polemiche. Il ruolo di Martina è oggi fondamentale per ricostruire l’unità ideale del partito. Oggi non servono abili polemisti alla guida del PD ma infaticabili tessitori . G.
La campana dell’ultimo giro
Non può essere vero.
Non può essere vero che il PD si avvii al congresso portandosi dietro uno stuolo infinito di ben 6 o 7 candidati!
Cosa rappresentano questi candidati? Di cosa sono espressione? Sono diverse anime del Partito, sono diverse personalità da proporre al pubblico, rappresentano diverse sensibilità personali?
Sono tutte ottime persone, nessun dubbio, ma quante anime può avere un Partito? “Quot capita, tot sentenziae”?
Anche se è un partito ampio, multiculturale, trasversale, possibile che non sappia restringere e sintetizzare le proposte politiche?
Il PD è nato per mettere insieme le diverse anime storiche della sinistra, quella di matrice socialista, quella cattolico-solidaristica e quella di matrice liberaldemocratica.
Ha scommesso su questa possibilità. È nato per operare una sintesi, non per istituzionalizzare una competizione perenne tra esse.
E allora, o è capace di farla o semplicemente NON è, non ha ragione di essere.
Se le diverse componenti continuano ad essere tra di loro in lotta con l’unico scopo di prevalere l’una sulle altre, il PD è morto, ha fallito il suo scopo storico ed è giusto che si divida in due o più formazioni diverse, sperando (ma come ci si può fare affidamento?) che esse trovino la saggezza per collaborare, almeno in una alleanza successiva. È uno scenario molto, molto rischioso per la democrazia italiana.
Il prossimo Congresso è il banco di prova definitivo: o riesce a fare sintesi (e dirò tra un attimo come ci si può arrivare) o sancirà le rispettive volontà egemoniche, che quindi non potranno produrre alcunché di positivo. Come finora SEMPRE accaduto, chi perderà farà guerra e guerriglia al vincitore, con i risultati nefasti che abbiamo sotto gli occhi.
Come si può organizzare un ultimo tentativo, tentare un’estrema carta di salvezza?
Cercando di arrivare ad un Congresso unitario.
Vuol dire che i candidati devono trovare un accordo tra di loro PRIMA, sceglierne uno concordemente (ripeto, sono tutte ottime persone), ed affidargli un elenco di posizioni politiche su cui c’è accordo (e se non le troveranno, sarà evidente che il tentativo è fallito).
Non sarà la totalità dei temi, d’accordo, ma una piattaforma comune a mio parere si può trovare (Europa, finanza pubblica, sostegno agli investimenti e alla crescita, legalità, diritti civili, ambiente, …).
Il Segretario designato si impegnerà su quella e si impegnerà, nello stesso tempo, a gestire un dibattito organizzato sui punti di disaccordo, con i tempi ed i modi necessari.
Purtroppo, il tempo non ci manca prima delle prossime elezioni.
Il Segretario dovrà ricevere un consenso ancora maggiore di quelli ottenuti da Renzi (vuol dire oltre l’80%), non disdegnando di andare verso il 100% (qualche frangia di irriducibili sarà inevitabile). L’impegno unitario DOVRA’ essere sancito con il massimo di pubblicità da tutto il Partito, anche attraverso una consultazione pubblica.
Uno dei punti comuni, il primo a mio avviso, DOVRA’ essere la posizione nei confronti dell’Europa, la possibilità di cercare sponde in tutti i partiti convintamente europeisti, in modo da arrivare alle elezioni di fine maggio con una posizione comune europea transnazionale.
Non ho descritto un processo semplice, è evidente; è piuttosto una gara di motocross, tanti sono gli ostacoli che si frappongono, ma non vedo come si possano percorrere altre strade e pretendere di tenere insieme il Partito, dopo tutto quello che è successo, dopo i risentimenti, le rivalse, la diffidenza, che oggi si toccano con mano tra i vertici e persino nei Circoli.
È una prova di maturità. Dalle sconfitte bisogna uscire con uno scatto di orgoglio, con una presa di coscienza, non con una rissa da spogliatoio. Chiedetelo a qualunque allenatore, a qualunque mister.
Questa è una prova che va ben aldilà del Partito Democratico: essa coinvolge e deve interessare anche tutta quella parte di società italiana che non è affascinata dalle sirene del populismo e del sovranismo.
Malgrado tutto, si tratta di molti, molti milioni di persone attive, equilibrate, fiduciose che un futuro esista e che vada costruito con pazienza. “Borghesi”, non nel senso spregiativo usato dallo sciamano genovese, ma nel senso positivo usato da Giuseppe De Rita nell’intervista a Repubblica (leggetela, ne vale la pena).
Insomma, la campana non suona solo per il PD e per gli addetti ai lavori.
Suona per tutti.
Caro Ernesto,
Sono perfettamente d’accordo con te: i dirigenti attuali
del PD o usino tanto buon senso e la filosofia del compromesso o andremo tutti a scopare il mare.
I grandi condottieri vengono fuori proprio in situazioni simili a quella del PD. Speriamo di trovare un “ Giuseppe Garibaldi” che realizzi l’unità del partito democratico forte, coesa ed indivisibile. Un invito ai probabili Candidati a segretario nazionale del PD: trovate un accordo tra di voi e fate in modo che il prossimo segretario nazionale del PD non sia sfiduciato dal minoranza del partito che collaborerà onestamente e con convinzione alla realizzazione del programma politico vincente. Buon congresso a tutti e buona serata Antonio De Matteo
Caro Ernesto
assolutamente d’accordo. Il tuo preambolo è effettivamente l’ultima spiaggia. Non ne vedo altri per salvare il salvabile di questo PD.
Se permetti rilancerò questo tuo intervento ovunque.
Grazie
Ciao
Gianni Moscatellini
Grazie a te ed a tutti quelli che vorranno condividerlo.
Per il bene del PD.
ET
Non solo sono d’accordo con Ernesto ma ritengo che la sua arguta analisi sia un punto di vista molto più convincente nella forma e, soprattutto, nella sostanza di quello espresso dall’ottimo Davide Allegranti. E’ Indubbio: Il Foglio è un giornale molto serio ed il Direttore Cerasa, e con lui i suoi collaboratori che partecipano ai dibattiti televisivi, rappresenta al momento una delle voci in assoluto più competenti per i contenuti espressi e più garbate per i modi come queste tesi vengono espresse. Quindi, non me ne voglia Allegranti, ma l’analisi di Ernesto è più stimolante in quanto si divincola dai nomi ( tutti dirigenti di prestigio) e pone questioni di metodo e di merito che rappresentano i valori condivisi da noi militanti/simpatizzanti che, ne sono straconvinto, rifiutano il gossip mediatico oggi imperante. Un gossip in molti casi espressione diretta o involontaria di un disegno teso a certificare che la democrazia popolare è tramontata perché c’è l’esigenza dell’uomo solo al comando ( ecco il bullo ed il balconista) e “…che palle…” , urla il gossipparo, con riferimento al serrato dibattito che anima il PD. Si rassegni il guardone: il confronto di idee NON E’ E NON SARA’ MAI UN FATTO NEGATIVO. E basta con Renziani ed anti renziani. Non se ne può veramente più. Piaccia o no, io ragiono con la mia testa ed i Governi a guida PD hanno raggiunto significativi risultati, parziali quanto si vuole, ma determinanti. No?? Ed allora si tirino fuori i dati economico sociali che negano l’assunto. Pronto a cambiare idea ma basta con renziani ed antirenziani.
Sono convinto che il PD reggerà e presto tornerà a crescere : gli ultimi sondaggi ci danno ancora al 18% in leggero aumento rispetto alle ultime elezioni e questo vuol dire che siamo ancora in tanti a credere in questo partito che è e sarà per L’Unione degli Stati Europei ( USE ), la libertà, la democrazia rappresentativa e la solidarietà tra gli esseri umani. Con questa speranza vado a votare per le “primarie aperte per il congresso del PD regionale Lombardo”. Buona domenica tutti Antonio De Matteo Milano