Cari amici,
mi dicono che questo Passarelli di cui vi allego un articolo apparso oggi sul Riformista sia un giovane professore di Scienze Politiche. Personalmente trovo questo suo testo bellissimo e di grande importanza politica e metodologica. Mi piacerebbe trovare un modo per aprire una discussione allargata su questi temi. Intanto leggetelo voi.
Stasera, per chi fosse interessato, sarò a Propaganda Live su La7 per parlare dei temi della mia antologia “Quel signore di Scandicci”.
Cari saluti
Sergio
Italians, do it better – Gianluca Passarelli
Pare che Sir Winston Churchill abbia sostenuto: “Italians lose wars as if they were football matches, and football matches as if they were wars”. Sulla autenticità di tale affermazione, segnalatami da un caro amico liberale di sinistra di stanza a Londra, nutro qualche perplessità, ma rimane plausibile, e affascinante, per l’efficacia epistemologica e per l’assonanza con la schietta ruvidezza analitica del British Bulldog. Sintetizza magicamente il mondo valoriale e la cultura politica degli italiani. Per la stragrande maggioranza dei cittadini italiani la politica è qualcosa di alieno, di infimo, da cui stare lontano, lezzoso e ozioso allo stesso tempo. Frutto di compromesso, male assoluto in sé per i ciarlatani da bar che tutto sanno e risolvono nel tempo di un caffè.
Gli italiani, dunque, tutto drammi epici per una partita e indifferenza per il bene comune. Che comunque viene dopo, qualcos’altro, la famiglia, la cerchia di amici, sé stessi. Anni fa Sabino Cassese diede alle stampe un bellissimo testo, L’Italia: una società senza Stato? (Il Mulino, 2001) appunto. Una costruzione recente, le cui articolazioni territoriali sono deboli, la burocrazia infìda, l’amministrazione traballante, l’ossatura weberiana carente sebbene pervicacemente irriformabile “gabbia”. E lo Stato dai cittadini distante, poiché essi ne sono inconsapevoli. Per esserlo bisognerebbe informarsi, formarsi.
L’Istat certifica regolarmente quanto leggano poco gli italiani. Quasi il 60% “non ha letto libri nel 2018” tra le persone con più di 6 anni che non hanno letto per motivi strettamente scolastici o professionali. E gli uomini che non hanno mai letto un libro per un intero anno sono più delle donne, quest’ultime lettrici voraci più degli uomini (46% contro 35%, con le giovani donne lettrici più affezionate in assoluto). Inoltre, il 10% delle famiglie non ha nemmeno un libro in casa (!). E questo spiega tante cose. Le librerie chiudono e aprono zone aperitivo, con schermo per partita di calcio all the time.
Inoltre, bene ribadirlo, circa il 30% degli italiani è analfabeta funzionale (fonte OCSE), ossia non riesce a sintetizzare e a comprendere il significato di un breve paragrafo appena letto. Facile dunque per i partiti populisti propagare in una prateria di inconsapevolezza civica. L’ignoranza genera mostri, ma anche distorsione; prova ne è la percezione del numero di persone non italiane (cosiddetti immigrati) presenti sul territorio nazionale: per quasi i due terzi la quota è doppia o addirittura tripla rispetto a quella reale, ossia l’8% (dati Eurispes). Lo stesso accade all’identificazione del “primo problema”, sovente indicato tra quelli legati alla “sicurezza”, al mondo delle paure, ovviamente insieme ad aspetti congiunturali quali l’economia o la disoccupazione. Per non parlare della fiducia dei cittadini verso le istituzioni: le organizzazioni collettive sono oltre la decima posizione con livelli di consenso attorno al 20% per lo Stato, i sindacati, gli imprenditori, con solo due figure (di cui una non italiana, ossia il Papa, e il Presidente della Repubblica) sopra il 50% di quanti dichiarano “molta o abbastanza” fiducia (dati Demos, 2019).
E quindi, stante queste condizioni cognitive, arriva la “casta”, che in Italia come notorio non esiste, è solo una invenzione saggistica ripetuta acriticamente da un paio di lustri come un jingle. L’apogeo dell’individualismo rancoroso, beota, insulso e improduttivo. La conferma che l’altro non va bene, meglio la dimensione clanica, il piccolo gruppo rassicurante. Le quasi sette, dai social network al quartiere di residenza, al club di calcio. Resta, come lascito dei tempi andati e vituperati, una buona partecipazione elettorale, che è la forma più banale di partecipazione politica (vedasi il recente referendum costituzionale), una croce ogni 5 anni (o meno) non si nega a nessuno, soprattutto se è un compare di preferenze a chiederla. E poi dei momenti di mobilitazione, eccezionali, nei momenti topici. Chi declama le “primarie” del Partito Democratico, ad esempio, non sottolinea abbastanza che si tratta sempre piu’ di un sub campione, di una forza minoritaria, appunto.
Agile addomesticare un popolo sì composto nutrendolo di paure costruite: l’altro da sé, l’immigrato, lo “straniero”. Che però a furia di “prima X” arriverà alla lotta tra condòmini perché il razzismo, o meglio la xenofobia si nutre di paure ancestrali che si arrestano sulla soglia della propria porta di casa (o di calcio), moderno simulacro dell’antica caverna, ormai un po’ taverna.
E come distrazione di massa il calcio, il “pallone”, in cui il fideismo trionfa. Facile rinviare al panem et circences, ma meglio richiamare Karl Marx, e fare riferimento al nuovo oppio dei popoli. Ormai sedotti, e spesso abbandonati o bidonati, da imberbi adoni alla modica cifra di qualche milione di euro. Di cui il popolo, fiero, si fa carico, anche con argomentazioni dotte, ché i costi stellari di tal o talaltro sono giustificati dall’azienda privata, derubricati come fatto privato del patron (rieccoci) del club. Non come i politici, quelli sì, dei parassiti.
Alcuni spiragli si intravedono, seppur in un contesto di diminuita partecipazione politica rispetto agli ultimi tre decenni almeno. Una componente importante di giovani e giovanissimi si è attivata per i Fridays for Future, e in generale su tematiche legate all’ambiente e alla sostenibilità del modello economico. Molta partecipazione elettorale giovanile, peraltro differenziata in termini di opzione di voto, si è palesata in occasione del referendum costituzionale di settembre. Inoltre, una quota di cittadini è stata ri-mobilitata da movimenti per i diritti delle donne nonché su tematiche legate all’immigrazione e taluni movimenti come le “sardine” ha ri-attivato canali di partecipazione in precedenza disillusi e divisi in rivoli.
Rimane il tema relativo a come intercettare chi non partecipa, chi non hai mai partecipato ovvero chi è uscito dal circuito di coinvolgimento civico. Per definire una strategia di coinvolgimento il primo passo da compiere è relativo alla conoscenza di quanti non partecipano e alle motivazioni sottese a tale “scelta”. In linea generale, i fattori che influenzano le decisioni di chi non partecipa possono essere riassunte in tre macro categorie: 1) non vuole partecipare; 2) non può partecipare; 3) nessuno gli ha chiesto di partecipare. Questa tripartizione proposta da Sidney Verba (e i suoi collaboratori) apre scenari e strategie differenziate a seconda della finalità che ci si pone per “catturare” nuova partecipazione. Nel primo caso – “coloro che non vogliono partecipare” – le possibilità di intervento sono modeste e limitate al lungo periodo e agli effetti generati da politiche pubbliche di “educazione civica”. Viceversa, nel secondo e terzo caso – “non può partecipare” e “nessuno gli ha chiesto di partecipare” – si delineano spazi molto interessanti in termini di mercato potenziale per la partecipazione elettorale, quella politica e financo per quella partitica. A patto che gli attori politici, e in particolare i partiti, decidano di investire risorse materiali, cognitive e organizzative sulla partecipazione politica. Se è vero che una quota rilevante di cittadini non partecipa “perché nessuno glielo ha chiesto”, è plausibile ritenere che se i partiti – in particolare quelli di sinistra – aggiungessero alla agenda di policies anche un’azione di “educazione politica” ne trarrebbero certamente beneficio. E, forse con qualche sorpresa, almeno per loro, attrarrebbero alcune migliaia di iscritti e persino di attivisti. Certamente non basta soltanto chiedere, bisogna “sapere cosa chiedere”, come chiederlo e cosa proporre. I partiti progressisti potrebbero partire dal ri-mobilitare i “propri” elettori, quelli “usciti”, ossia che hanno abbandonato sbattendo la porta e stracciando le “tessere” di appartenenza. Molti cittadini aspettano un “segnale”, politico, ideale e simbolico che riattivi il circuito partecipativo con incentivi identitari in grado di fare esprimere la voglia latente di partecipazione politica. Inoltre, sul versante dei “nuovi” partecipanti, i partiti – al pari dei sindacati – dovrebbero intercettare le esigenze di rappresentanza che molti cittadini, soprattutto giovani, lavoratori e donne, meriterebbero e che in qualche misura si attendono. C’è un “mercato partecipativo” sotterraneo che almeno in parte sarebbe disposto a entrare nel circuito politico-partitico. A patto che vi sia un interlocutore collettivo capace di rappresentarne le istanze di modernità, rispetto dei diritti civili e politici, cambiamento economico. Se invece di seguire così tanto il calcio, una quota maggiore di italiani si informasse di più, leggendo, iscrivendosi a un partito, a un sindacato, ad una associazione, prendendo parte alla vita politica, la società italiana ne trarrebbe gran beneficio. L’iniezione di una dose massiccia di partecipazione politica sarebbe una scossa salutare. E il Paese vincerebbe la partita più importante, quella dello sviluppo e darebbe una bella risposta a Sir Winston Churchill. Viceversa, non c’è che da accontentarsi del solito: inizia la prossima partita, di calcio.
Gianluca Passarelli, il Riformista, 3 dicembre 2020
9 Comments
Caro Sergio,
dell’interessante articolo che hai proposto mi soffermo solamente sul rapporto tra immigrati e sicurezza.
Mi sono sempre chiesto perché se da un lato è vero che fa così presa, non solo al bar, questo collegamento che viene agitato da alcune forze politiche, dall’altro si vogliono negare le evidenze che sono sotto gli occhi di tutti. Il Messaggero venerdì 4 ottobre 2019 pubblicava la notizia “Prende la parola Franco Gabrielli «I dati sulla criminalità sono incontrovertibili, da 10 anni c’è un trend in calo complessivo dei reati. Ma c’è anche, negli ultimi anni, un aumento degli stranieri coinvolti tra arrestati e denunciati, questo è inequivoco». Lo ha detto il capo della polizia intervenendo al Festival delle città in corso di svolgimento a Roma. Gabrielli ha sottolineato che «nel 2016, su 893 mila persone denunciate e arrestate, avevamo il 29,2% degli stranieri coinvolti; nel 2017 la percentuale è salita al 29,8%, nel 2018 al 32% e in questo 2019 che sta quasi finendo il trend è lo stesso, siamo quasi al 32%». «Tenendo conto che gli stranieri nel nostro paese, sono il 12%, tra legale e non – ha concluso – questo dà la misura del problema».
Ogni giorno aprendo i quotidiani locali si hanno notizie di questi reati e se è vero che non sono gli unici autori colpisce la loro frequenza, così come certe inchieste sulle organizzazioni di spaccio di droga o di prostituzione spesso vedono imputate mafie di vario tipo ultimamente anche non italiane. Io mi sono fatto una mia idea su immigrazione e sicurezza in generale, ma non credo che sia utile discuterne fin quando non si affronterà il tema della sicurezza in tutti i suoi aspetti, compreso quelli legati alla immigrazione. Intanto non meravigliamoci se la Lega o Fratelli d’Italia raccolgono consensi, aiutati da una certa sinistra che rifiuta di vedere il problema e preferisce collocare a destra tutti quelli che vorrebbero confrontarsi per non limitarsi alla denuncia politica ma per dare soluzioni conformi ai principi costituzionali, evitando che si affermi negli italiani la convinzione immigrato=delinquente. Mi dispiace solo che molti nostri elettori ci abbiano abbandonato nell’illusione di avere da altri quella sicurezza di cui hanno pienamente diritto.
Fabbio Baitelli – Botticino (BS)
Caro Sergio
ho letto l’articolo del professore di scienze politiche che tu hai postato su questo blog e mi permetto di fare le seguenti osservazioni chiedendo scusa fin da ora per la mia poca conoscenza e spesso avversità nei confronti degli intellettuali.
Dunque comincio col dire che sono d’accordo sulle considerazioni riportate dall’articolo suddetto a proposito della cultura e degli atteggiamenti politici di una parte del popolo italiano.
Mi chiedo però subito, ma gli intellettuali, coloro che con discorsi megagalattici,forbiti e lunghissimi continuano a rilevare le mancanze del popolo e la disattenzione dello stesso nei confronti della grande politica, cosa fanno per far crescere la cittadinanza della nostra società?
Provo a dare una risposta, tenendo presente che io pur avendo preso “l’ascensore sociale” e risalita la scala della vita da pastore a direttore di stabilimento della società industriale non sono riuscito però a raggiungere i piani alti degli intellettuali che continuano dal loro pulpito a predicare indisturbati, e forse protetti dal Padreterno, teorie per il popolo incomprensibile e non traducibili in pratica se non in disastri epocali.
Le rivoluzioni terrestri, a partire da quelle più importanti, francese, bolscevica, cinese, cubana eccetera, hanno solo prodotto fiumi di sangue per poi far ritornare il mondo come prima o peggio di prima.
Certo dopo le rivoluzioni l’economia riparte e la storia degli esseri umani ricomincia da capo con attori diversi dal passato, ma con gli intellettuali che continuano ad inventare teorie a tavolino per adattarle poi ai fatti reali che l’umanità deve affrontare con gli stessi risultati di sempre.
Il genere umano, però, secondo me , è fortunato: deve la sua sopravvivenza alla tecnologia che avanza grazie agli individui e gestisce il mondo da sola, alla faccia degli intellettuali e dei politici che la subiscono, non la capiscono e non riescono a gestirla. Forse anziché parlare “dell’apogeo dell’individualismo”, come scrive il prof. suddetto ,che io non ho capito cosa vuol dire, bisognerebbe dare un algoritmo agli esseri comuni che hanno qualcosa da esprimere, ma che continuano a star zitti di fronte all’intellettuale prosopopea, ermetica, lunga e non emendabile, anzi per certi versi è diventata sacra, tanto che qualsiasi critica viene respinta con l’indifferenza assoluta da parte della totalità degli intellettuali. Io concordo con il signore Fabio Baitelli, che su questo blog mi pare sostenga la non praticabilità della “accoglienza umanitaria senza se e senza ma”, come gli intellettuali spesso predicano senza mai porsi il problema di come gestirla. L’esperienza dimostra con i dati alla mano che se non si regolarizza l’emigrazione facendo arrivare nel nostro paese le persone che possiamo ospitare con decenza e civilmente, noi continueremo ad importare poveri cristi destinati alla malavita organizzata per sopravvivere e quest’ultima poi li utilizza in massa al posto della manovalanza italiana più esigente e costosa. Risulterà poi facile ai “sovranisti politici” dimostrare che la delinquenza si può eliminare vietando l’emigrazione. Concludo, sperando nella bontà degli intellettuali, con un appello: dateci una mano a risolvere i nostri problemi di esistenza, usando il nostro linguaggio o comunque un linguaggio che noi possiamo capire non ci costringete a buttare nel cesso i vostri discorsi forbiti,ermetici, lunghi e noiosi. Grazie per l’attenzione anche agli intellettuali che non capisco ma con i quali vorrei discutere. Buona giornata a tutti Antonio De Matteo Milano
Caro Antonio,
mi sembra che nella tua formulazione la categoria degli intellettuali diventi totalmente astratta ed irreale oltre che, ovviamente, pericolosamente confusa. Io da piccolo ho avuto la sventura di conoscere un intellettuale che si chiamava Ferdinando Pagni ed era un borioso professore di lettere alla scuola media Carducci di Firenze che fece di tutto per espellermi dalla scuola dicendo alla mia povera mamma: “ma signora, come può pensare che il figlio di contadini possa frequentare la scuola media Carducci?” Certo, era un intellettuale fascista e di merda però qualche anno dopo altri intellettuali, professori all’Istituto d’Arte di Firenze, mi convinsero a lasciare il lavoro in fabbrica in cui ero finito a dodici anni per riprendere a studiare con il loro aiuto. Erano intellettuali di orientamento socialista, amici di Giacomo Devoto, Tristano Codignola e Piero Calamandrei. Mi salvarono e arrivai fino alla laurea.
Poi conobbi un altro sporco intellettuale, un prete di nome Ernesto Balducci, e poi anche un altro, Don Lorenzo Milani. E poi sporchi intellettuali comunisti come Mario Fabiani, Pietro Ingrao, Vittorio Foa etc. Forse sarà grazie a loro che non ho mai avuto complessi di inferiorità nei confronti di questi grandi intellettuali da cui ho appreso tante cose e con cui mi sono confrontato, non dico alla pari ma abbastanza vicino.
Dove sono oggi questi intellettuali? Abbiamo un avvocaticchio come presidente del Consiglio, una di quelle “pagliette” su cui Gramsci ha ironizzato tanto. Abbiamo uno degli incolti più grossi d’Italia come ministro degli Esteri. Abbiamo un incolto arrogante ed egoista ex comico come teorico del partito più grosso presente in parlamento… E tu vai a caccia di boriosi intellettuali? Certo che ci sono intellettuali boriosi e spesso incapaci, sta a te scegliere quelli che non lo sono e che mettono la loro cultura al servizio dello sviluppo sociale equilibrato e solidale.
Elly Schlein, appassionata vicepresidente dell’Emilia Romagna non è forse un’intellettuale? E il giovane Sartori mobilitatore di tante giovani sardine non lo è anche lui? E Roberto Saviano? E Don Ciotti? E Carofiglio? E Dacia Maraini? E Michela Murgia? Quante ancora te ne potrei citare, tutte persone che mettono la loro conoscenza al servizio della parte più bella e sofferente della nostra società. Non pensi che qualche volta, confrontandoti con uno di loro, non ti possa sorgere il dubbio che tra i due, forse, il più borioso sei tu? Riflettici.
A questo link troverai il punto di Pagliaro trasmesso ieri alla fine dell’Otto e Mezzo di Lilli Gruber, anche lì si parla di un’intellettuale, Lidia Menapace. Prova ad ascoltarlo in silenzio, con attenzione e senza pregiudizi. https://www.la7.it/otto-e-mezzo/video/lidia-menapace-lanticipatrice-07-12-2020-354498
Un abbraccio
Sergio
Brutta la tua stroncatura della critica di Antonio.
Pur considerandomi un intellettuale (di provincia e scomodo) condivido in pieno le sue osservazioni, che nella tua risposta e nei nominativi fatti mi sembra non abbia capito del tutto.
Cordiali saluti,
Giulio Morossi
Mando queste nostre riflessioni alla mia mailing list in modo da ampliare il dibattito.
Sergio
Cari amici,
se vi fa piacere diffondete questo messsggio e scusate la mia invadenza. Buona domenica a tutti Antonio De Matteo MI
Condividi la tua spesa con
” BANCO ALIMENTARE”, se puoi e ti fa piacere. Con un piccolo contributo dai una mano a chi in questa guerra contro il Covid19 è più sfortunato di te e fa fatica a nutrirsi per combattere. Non è difficile: basta dire alla cassa del supermercato, che aderisce all’ iniziativa, l’mporto che vuoi devolvere scelto tra 2-5-10 € Insieme vinceremo. Buona domenica a tutti. Antonio De Matteo MI
*Pulp politics*
Nel famosissimo e intricatissimo film Pulp Fiction, di Quentin Tarantino, ad un certo punto compare un misterioso ed enigmatico personaggio, chiamato ad occuparsi di una scabrosa e sanguinosa situazione nella quale si sono cacciati due dei protagonisti.
Suona il campanello, gli aprono, si presenta: “Sono Mr. Wolf, risolvo problemi”, e procede ad espletare (peraltro molto efficacemente) il compito per il quale è stato convocato.
Facile trovare corrispondenze con l’attuale situazione politica: PD e Cinquestelle (Zingaretti e Di Maio) sono nei pasticci, ognuno ha necessità ed urgenza di tenere insieme il proprio partito o movimento che dir si voglia, di far valere la propria leadership, di evitare traumi elettorali, di avviare azioni che giustifichino la sopravvivenza del Governo almeno fino all’elezione del successore di Mattarella. In più il M5S è alle prese con le convulsioni di un’agonia ormai difficilmente celabile né rinviabile: servirebbe una “dolce morte”, o almeno una trasfigurazione…
Entrambi i protagonisti fanno fatica a rapportarsi con il premier Conte, che dimostra la spiccata tendenza a procedere da solo per la sua strada, senza stare troppo a sentire chi gli deve fornire risorse e voti in Parlamento.
Il tempo stringe, si avvicinano appuntamenti delicati, come il voto sul controverso MES; l’opposizione incalza confusamente (tanto non saprebbe fare di meglio …), preme sui media e sul Governo, i media aumentano le fibrillazioni, come al solito, dall’Europa arrivano segnali di impazienza, ed anche di insofferenza, per le solite manfrine italiane, Mattarella dà segni di nervosismo (a modo suo, ma li dà), la pandemia non molla, insomma la situazione è intricata assai.
Serve Mr. Wolf, uno che risolve problemi, rapidamente e senza troppi impicci. E chi può essere il nostro Mr. Wolf? Indovinate un po’, chi se non Lui?
Matteo Renzi, ovviamente, uno che ha già dato ampia prova dell’efficacia dei suoi metodi spicci e risoluti: tipo mettere da parte l’inconcludente Enrico Letta nel 2014, trovare un Presidente (Mattarella) che mettesse a tacere tutti i pretendenti e supponenti king-maker (Berlusconi e D’Alema) nel 2015, impedire un accordo suicida per il PD dopo la sconfitta del marzo 2018, mandare Salvini in vacanza direttamente dal Papeete, avviando l’attuale Governo giallo-rosso. Idee chiare e rapidità d’azione.
Ovviamente nessuno gli riconoscerà mai l’efficacia del suo operato, ma in realtà tutti sanno che in Italia c’è solo lui per mettere mano a queste situazioni scabrose.
Sarà disponibile anche stavolta, ora che tutti lo cercano e lo blandiscono? Avrà voglia di sciogliere a modo suo il nodo gordiano che la politica ha costruito e col quale si sta impiccando?
E come, e quando, potrebbe decidere di intervenire? Potrebbe riuscire ancora una volta in un compito così arduo? Chissà. Saperlo…
Fatto sta che D’Alema, dico D’Alema, lo invita ad un suo convegno, le televisioni lo cercano, i giornali lo intervistano di continuo; perfino Travaglio, certamente sbaglierò, ma mi pare meno prevenuto ed aggressivo del solito …
Restano i PM di Firenze, irriducibili ed abbarbicati alle loro questioni semantiche, un po’ medievali, sulle differenze tra Partito e Fondazione. Ma i tempi e i metodi della giustizia in Italia, si sa, sono tali che prima o poi qualcosa si trova e, se non si trova, dopo anni puoi sempre dire che ti sei sbagliato, tanto nessuno ci fa caso (caso Bassolino insegna…).
Ma quale sarà il suo prezzo (politico), semmai volesse intervenire? Chi lo pagherà?
Alcuni avvertimenti sono già partiti, forti e chiari; inoltre, pare si stia finalmente creando, e chissà se e quanto dura …, quel gioco di squadra con il PD, che potrebbe portare frutti molto positivi.
Checché se ne dica, la scissione e la nascita di Italia Viva dovevano servire ad ampliare il fronte politico del centrosinistra e non a rinfocolare dissidi interni di cui davvero abbiamo piene le tasche.
Ormai sono cent’anni di divisioni, improduttive, anzi dannose. Sarebbe ora che, di fronte all’emergenza e soprattutto di fronte all’opportunità concreta di avviare un’autentica ricostruzione del Paese, il centrosinistra si facesse trovare unito; articolato finché si vuole, ma unito nell’azione politica. L’hanno capito negli USA ed hanno vinto.
Non è mai troppo tardi.
Storie di sinistra …
Lidia Menapace aveva un curriculum di sinistra di tutto rispetto: inutile ricordarlo, lo abbiamo letto dappertutto, ora che è mancata alla bella età di 96 anni.
Per molti era un’icona, partigiana, femminista, cattolica, pacifista (nomen omen!), antimilitarista, tra i fondatori de “Il Manifesto”, saggista, anni e anni, una vita intera, di militanza politica culminati (se di culmine si può parlare) nell’elezione al Senato della Repubblica nel 2006, nelle fila di Rifondazione Comunista (Bertinotti, per intenderci).
Unanime il cordoglio per la sua scomparsa, cordoglio al quale mi associo.
Per amor di verità però, non posso esimermi da qualche considerazione “storica”, partendo da un episodio in apparenza insignificante della sua lunga vita politica.
Appena eletta nel 2006, il suo nome fu fatto, con molto ammirevole coraggio devo dire, per la Presidenza della Commissione Difesa del Senato. Si sarebbe trattato di una nomina davvero di rottura, una pacifista integrale ad occuparsi di Difesa. Qualcuno allora aveva di questi slanci creativi…
Peccato che il giorno prima della nomina in Commissione, Lidia rilasciò un’intervista al Corriere della Sera, nella quale si lanciava in affermazioni suggestive ma radicali ed apodittiche sia sulla pattuglia delle Frecce Tricolori, giudicata costosa ed inquinante, sia sulla NATO, organismo definito “senza senso”. E questo appena PRIMA della nomina alla Presidenza della Commissione.
Ovvio conseguente polverone di polemiche feroci, che sfocia nella nomina alla Presidenza della Commissione, con il supporto dell’opposizione berlusconiana e contro la maggioranza di centrosinistra, di un “limpido” esponente della “società civile” come il senatore Sergio Di Gregorio (Italia dei Valori), successivamente assurto agli onori della cronaca per avere ricevuto soldi da Berlusconi (condanna patteggiata a 20 mesi) in cambio dell’impegno a far cadere il governo Prodi con l’Unione, governo nato e vissuto strutturalmente periclitante, appeso ad un voluminoso quanto inutile programma. Il Governo cadrà dopo solo due anni di vita grama sotto i colpi di Mastella, di Bertinotti, Rossi, Turigliatto (tutti fulgidi esponenti della sinistra dura e pura), e soprattutto sotto una manifesta inconcludenza politica.
Un episodio senza dubbio minore della confusa vita politica nazionale (abbiamo visto di peggio), ma molto esemplificativo di un certo modo di vedere la politica da parte di una certa parte della sinistra.
È evidente che la nomina di Menapace, con il suo curriculum, alla Commissione Difesa era un fatto eclatante: una partigiana pacifista, antimilitarista, in quella posizione avrebbe potuto ben rappresentare un sentimento senz’altro molto diffuso a sinistra, seppur non in modo così radicale. Fosse stata per lei un’indicazione non gradita, ci sarebbe stato modo di farlo sapere a chi di dovere. Era un rischioso colpo d’ala, ma un bel colpo d’ala. E invece no!
La smania un po’ infantile di spararla grossa ha fatto sì che un paio di dichiarazioni improvvide, inutili, solo scioccamente provocatorie, ha in un colpo solo distrutto una mossa politica ardita ed evocativa e contemporaneamente aperto la strada ad un ribaltamento della maggioranza, all’emersione di un losco figuro come Di Gregorio, ad un vulnus irreparabile per una maggioranza che già stava in piedi per miracolo. Una totale mancanza di visione politica, una reazione infantile (ripeto) solo autolesionista, per nulla rispettosa degli interessi generali, ma solo auto appagante. L’irresistibile gusto di “epater les bourgoises”. Nulla di inedito, purtroppo…
Chi si ricorda le ragioni “politiche” in base alle quali Bertinotti fece cadere Prodi nel 1998? Quale effetto sortì, se non quello di far cadere uno dei migliori Governi del dopoguerra e danneggiare tutto il centrosinistra? E nel già menzionato 2008, con Prodi, sempre lui il bersaglio, definito “un morto che cammina”?
Si ricorda solo che in entrambi i casi la destra ebbe vantaggi enormi, portati all’incasso subito o subito dopo.
Una totale mancanza di senso di squadra, di spirito di coalizione, di visione prospettica, di capacità di valutare le conseguenze politiche di ciò che si dice e si fa.
Purtroppo, è la costante nella storia della sinistra: la presenza di forze assolutamente NON interessate a governare, a prendersi responsabilità, a coltivare compromessi virtuosi, a far avanzare, anche di poco, il riformismo, ma pronte solo a soddisfare un ego collettivo ipertrofico, che comanda di seguire ciecamente l’ideologia e non la pragmatica pratica di governo. Malgrado questo comporti oggettivi danni alla propria parte politica, ma soprattutto ai cittadini in nome dei quali si pretende di governare.
Scissionismo, ideologismo, infantilismo, sciagurataggine, “dannazione”, come dice Ezio Mauro, “cancro”, come preferisco dire io. Non si può passare oltre senza riflettere …
A che ed a chi serve una sinistra così?
Gentile signore Giulio Morossi,
la ringrazio per la sua riconoscenza e l’apprezzamento, da intellettuale, sul mio scritto sulla sua categoria.
Devo però dire che “la stroncatura“ di Sergio Staino me l’aspettavo: lui appartiene agli intellettuali dei piani alti, coloro che scrivono la storia umana, ai quali è permesso tutto, come diceva il grande scrittore Dostoevskij.
Io faccio parte di quelli che “spingono la storia”, anzi che hanno spinto, visto i miei 71 anni, ed ai quali non è permesso niente e devono scontare le loro pene rassegnandosi. Pensi signor Giulio che persino chiedere agli “scrittori della storia umana” di spiegarsi con termine più alla portata del popolo costituisce un’offesa nei loro confronti. Spesso alcuni intellettuali scrivono che le loro idee sono “apodittiche”, cioè non hanno bisogno di nessuna spiegazione ma solo di accettazione.
Quindi a “chi spinge” non resta altra alternativa:ho capisce
“ l’apologia dell’individualismo “ o resta un “ignorante confusionario”.
Pazienza: “ai posteri l’ardua, sentenza, come diceva un altro grande scrittore, Manzoni. Grazie a tutti per l’attenzione e buona giornata. Antonio De Matteo Milano