L’aveva detto Platone (Menesseno, 238 d). Forse è vero che si tratta di un’affermazione da accostare a quella di Churchill che definì la democrazia “la peggior forma di governo eccetto tutte quelle sperimentate finora”. Ma Platone per natura viveva teorizzando e quando presumeva di fare politica tendenzialmente procurava guai anche a sé stesso: le situazioni del suo tempo erano drammatiche e gradatamente portarono all’irrilevanza la democrazia come sentire comune (succede, ma era la prima volta). La costituzione originaria e le riforme storiche che garantivano la libertà, la giustizia, perfino l’uguaglianza (anche se schiavi e donne non votavano, come gli stranieri) ad Atene erano sempre “i valori” a cui appellarsi nelle celebrazioni: tutto tiene finché il governo può erogare il benessere contenuto nei principi e i cittadini eleggono “i migliori”, allora per censo, oggi per antiche ideologie o per caso: importante che qualcuno paghi gli investimenti pubblici e il welfare (Pericle corrisponde uno stipendio ai politici per il loro lavoro). Tuttavia quando i commerci crebbero oltre misura perché tante città importavano ed esportavano beni e ci guadagnavano le compagnie di assicurazione, l’egemonia era a rischio: si poteva fare un’unione federale, come era stato possibile per affrontare insieme l’attacco persiano? non lo si volle perché Atene era the first. Competere con l’altra grande potenza era, appunto, la sfida. Sparta aveva altra Costituzione, altri valori, primo di tutti l’uguaglianza (isonomìa) che di per sé comprendeva la giustizia e non aveva bisogno della libertà; un’ideologia che si proponeva a modello non consumista come gli ateniesi attenti solo al bello, anche se l’uguaglianza era riservata ai potenti, agli “uguali” discendenti delle antiche famiglie doriche, i guerrieri.
Proprio vero che le Costituzioni non sono di per sé la democrazia.
L’uguaglianza, infatti, sarebbe il valore più importante, ma resta ancora il meno realizzato, più suggestivo che interiorizzato, perché non riconosce ancora l’esistenza intrinseca delle differenze. Essendo comunistica l’ideologia spartana suscitava interesse sociale ad Atene, quasi un partito, che risultò utile dopo la vittoria di Sparta. La scelta della guerra è “sempre” scelta stolta: fu intrapresa come una passeggiata, durò ventisei anni. Colpo dopo colpo, distrusse la democrazia: si verificarono la rivolta degli oligarchici dopo la sconfitta in Sicilia, la cancellazione della costituzione, la nomina di un governo provvisorio (“dei Quattrocento”), una restaurazione democratica quando ormai si era alla guerra civile e dominavano paura, odio e contrapposizioni politiche violente. Quando avvenne la resa, la città era in preda alla fame, al disordine, alla disperazione. Sparta aveva vinto, ma il suo comunismo, ignaro della libertà non salvò i vinti (non sapevano che la storia avrebbe smesso di interessarsi di loro, mentre sarebbe rimasto il dono della libertà e della costosa bellezza). Tra i democratici ateniesi moderati Teramene si assunse la responsabilità di tentare una mediazione con gli occupanti per salvare il salvabile: finì ucciso, mentre altri ateniesi complici del vincitore, sostennero il governo fantoccio imposto dagli spartani, i “Trenta tiranni” (404 a,C.) autori della peggiore repressione: demolite le mura, distrutta la flotta e fatti saltare le raffinate case borghesi, furono uccisi 1.500 cittadini, senza processo, esiliati in 5.000, limitati i diritti politici. I vincitori si impadronirono dei beni pubblici. Fine della politica?
La democrazia vive di politica: Pericle diceva che produce la felicità. Ma la politica divide, non solo per i valori; soprattutto per gli interessi. Dopo pochi mesi, Trasibulo organizzò un gruppo di esuli democratici e, aiutato dal malcontento popolare, scacciò i Trenta, dopo varie vicissitudini risultò vincente, proclamò una grande amnistia, riorganizzò le istituzioni. La democrazia fu restaurata: Platone aveva ancora una lunga vita da impiegare per parlarne, carico di forti esperienze. Isocrate, invece, nato poco prima che scoppiasse la guerra, aveva conosciuto tutti i disastri, era un giovane intellettuale generoso, un maestro ottimista che, anche politicamente, intendeva essere costruttivo, individuava le origini dei mali e cercava risorse per ripristinare i valori democratici. I moderati non godono di buona fama, ma nel quarto secolo uno come Isocrate sente la mancanza di una “terza via”: l’oligarchia resta inaccettabile, ma gli oligarchi costituiscono un partito potente di cui si deve tener conto; d’altra parte non è possibile passare per antiprogressista (o antipopulista, in greco “misodemos”). Dopo troppi lutti, sconvolgimenti e danni, tutti sono favorevoli alla riconciliazione; ma è andato perduto il rapporto coerente e leale tra politici e istituzioni. Si cercano nuove costituzioni (Aristotele affidava agli allievi la ricerca delle costituzioni di tutte le città elleniche, forse 158), nuovi modelli per rispondere a desideri di una società che non era più la stessa. Prendere posizione, tenendo conto della crisi materiale, non è facile: mettersi di traverso tra due polarizzazioni è scomodo, ma Isocrate si illude che sia possibile non scegliere tra destra e sinistra: condanna esplicitamente l’oligarchia, ma salva gli oligarchici moderati; elogia ancora l’uguaglianza e le virtù liberali e la ripresa regolare del tribunale tornato a funzionare; per amore di “concordia” (omònoia) elogia gli spartani, rischiando il discredito. Le sue opere resteranno e forniranno materia per i compiti dei licei classici.
Ma Aristotele va in Macedonia come precettore di Alessandro. La storia sta voltando pagina.
5 Comments
La storia non insegna e non insegnerà nulla all’essere umano: i posteri si sentiranno sempre più bravi dei propri avi e non accetteranno mai “ il compromesso” come filosofia vincente, ma cercheranno sempre, come è successo finora e succederà su questa terra, la verità assoluta che non esiste e non si troverà mai.
Le guerre e le rivoluzioni, secondo me,non servono e non serviranno a nulla, se non a sfogare l’odio che impera nell’animo umano. Su questa terra, forse potremmo vivere meglio, se adottassimo il seguente motto: “ ascalta le ragioni del prossimo tuo che non ha sempre torto”. Operazione difficile e quasi impossibile eppure per me è sempre vincente. Io ci provo pur sapendo che è difficile ascoltare gli altri se ti considerano come un nemico. Spero che nell’animo umano si faccia spazio la bontà e la solidarietà scacciando l’odio e la cattiveria che imperano e crescono attualmente in tanti esseri umani. Con questa speranza vado avanti cercando di concludere nel migliore dei modi il poco tempo che mi resta della mia vita. Buona giornata a tutti Antonio De Matteo Milano
Parole sante, Matteo.
ciao
Camillo
L’argomento è delicato e scivoloso, potenzialmente pericoloso; so bene che le mie considerazioni potranno risultare astruse, presuntuose, oppure banali, persino sciocche.
Mi prendo il rischio.
L’argomento è l’eterna questione della distinzione tra destra e sinistra, che occupa da sempre una parte non irrilevante del dibattito politico.
Personalmente sostengo (e non sono certo il solo) che destra e sinistra sono presenti in natura, sono parte della costituzione umana, sono legate al modo di porsi verso l’esistenza, ad una certa angolazione nella visione del mondo.
In estrema sintesi, ed anche un po’ banalmente, mi pare di poter partire da una distinzione che credo sia sottoscrivibile da tutti, e cioè che:
– chiamiamo destra la prevalenza dell’individuo (libertà individuali)
– chiamiamo sinistra la prevalenza della collettività e della socialità (uguaglianza e solidarietà).
Ci sono ovviamente mille sfumature, mille modi di esprimerla, ma in fondo la distinzione ha origine in due innate caratteristiche dell’essere umano, fondamentali come la coscienza di sé, che ci distingue dagli altri animali:
– l’istinto di sopravvivenza
– l’istinto associativo
(chiedo scusa agli esperti, se uso i termini in modo improprio o non rigoroso).
Detto questo, e consapevole che questi istinti sempre coesistono e si mescolano, sia nell’individuo sia in ciò che gli individui collettivamente realizzano, mi chiedo:
– sono essi gerarchicamente paritetici oppure sono tra loro collegati da rapporti logici e temporali?
Mi spiego: l’uomo delle caverne era di destra o di sinistra? L’uomo che doveva soddisfare bisogni primari (sopravvivere e riprodursi), dove lo collocheremmo?
Mi pare che la risposta non possa essere che una: “primum vivere, deinde philosophari”; ovvero, se non si risolve il problema della sopravvivenza, personale e della specie, null’altro è possibile.
Quindi, la difesa dell’individuo (di se stesso) e della propria discendenza (peraltro riscontrabile in ogni specie animale) è prioritaria.
Siamo al primo stadio dell’evoluzione della specie, uno stadio imprescindibile, pregiudiziale rispetto ad ogni altra cosa.
Ma non ci fermiamo qui.
Dalle caverne ad oggi di strada ne abbiamo fatta, la nostra vita è cambiata, la specie umana si è imposta come dominante (fin troppo) sul pianeta, le sue realizzazioni, connesse con il progresso della conoscenza del mondo che ci circonda, sono andate via via crescendo in complessità, in raffinatezza, in difficoltà.
L’istinto di sopravvivenza, personale e della specie, ci guida ancora, ma accanto ad esso abbiamo sviluppato sempre più l’istinto associativo.
L’idea che, dividendosi i compiti e organizzando le attività, un gruppo più o meno grande di individui possa ottenere sensibili, a volte formidabili, miglioramenti delle condizioni di vita sue e degli altri.
Sto parlando della costruzione della società, con i suoi principi, le sue regole, le sue contraddizioni, le sue limitazioni, le sue crisi.
Tutte cose che vanno accettate, anche se significano la rinuncia ad alcune prerogative dell’individuo, in favore della possibilità di una coesistenza mutuamente più fruttuosa.
Bisogna arrivare (e non è immediato) a riconoscere l’uguaglianza e la pari dignità di tutti gli individui, in mo-do da accettare che la libertà di ognuno venga limitata dall’uguale libertà di un altro.
È un passaggio mica semplice! Ci sono voluti secoli, tanto sforzo intellettuale, ma anche crisi tremende, conflitti, sangue in quantità, per stabilire le regole necessarie ad andare avanti.
Adesso ci sembra scontato, ma non è sempre stato così.
Si pensi alla forza dirompente dei Dieci Comandamenti ebraici, e poi della predicazione di Cristo, fino all’Illuminismo, alle grandi rivoluzioni, alle correnti culturali alle quali ancora oggi facciamo riferimento.
Ma la questione è ancora aperta, se siamo qui a chiederci da dove venga il trumpismo, oppure il populismo, il sovranismo, l’idea assurda della democrazia illiberale, insomma quella che sembra una illogica prevalenza dell’individuo (o del gruppo limitato di individui, ridotti a branco) sul concetto di società paritaria e bene organizzata.
Malgrado migliaia di anni di evoluzione, costante, ininterrotta, magari discontinua ed a strappi, siamo anco-ra qui a chiederci perché non siamo tutti d’accordo.
Perché ancora qualcuno pone tutto l’accento sull’individuo (o sul branco), sottostimando gli indubbi vantaggi che deriverebbero dalla vita in una società bene organizzata, dove tutti avrebbero il loro spazio, potrebbero concorrere al bene proprio ed a quello comune, tutti troverebbero soddisfazione ai propri biso-gni. Perché manca questo equilibrio?
Da quanto ho cercato di argomentare dovrebbe conseguire che non si tratta affatto di alternative incompa-tibili, ma di integrazione armonica delle due visioni.
E solo riconoscendone la gerarchia possiamo vederle nella giusta luce e sfruttarle al meglio.
L’evoluzione della specie umana parte dall’individuo e si sviluppa nella società. Il secondo stadio dell’evoluzione contiene il primo e lo mitiga, lo affina, lo rende più efficace.
Sto dicendo che quelli di destra sono primitivi e quelli di sinistra sono più evoluti? No, non voglio dirlo (anche se a volte di questi tempi mi viene di pensarlo – lo devo confessare!).
Voglio solo dire che l’evoluzione ha una sua inequivocabile direzione e verso, che l’organizzazione sociale rappresenta uno stadio evolutivo più avanzato rispetto all’”homo homini lupus” e quindi questo stadio va protetto da ogni tendenza alla regressione.
Il problema è che, per quanti sforzi si siano fatti finora, la società umana non è poi così ben organizzata, così equa e solidale, da offrire davvero a tutti possibilità di sviluppo e speranze di una vita migliore.
Troppe sono le imperfezioni, troppe le diseguaglianze, troppe le ingiustizie, i soprusi, le marchiane disparità nelle condizioni e nelle prospettive di vita.
E quindi come stupirsi che larghe masse di individui siano ancora alle prese con la sopravvivenza piuttosto che con lo sviluppo, ed altre masse di individui, nei paesi più avanzati, si sentano minacciate e quindi si rifugino anch’esse nell’autodifesa per la sopravvivenza?
Insomma, si creano le condizioni per la regressione, col rischio di mettere in discussione secoli di evoluzione.
Questa mi pare essere la situazione al momento attuale. Potenzialmente pericolosa per il progresso dell’umanità.
Eppure, abbiamo tutti gli strumenti per organizzarci egregiamente, sapremmo come fare, ma non lo facciamo con la necessaria efficacia.
In realtà in ognuno di noi lottano istinti contrapposti, la generosità solidale contrapposta all’avidità personale, per esempio, e questo ci impedisce, sia a livello individuale che come società, un armonico sviluppo comune.
È compito della politica affrontare e risolvere (avviare a soluzione) questi problemi. Solo su di essa possiamo contare.
Dobbiamo tornare a crederci. Non dobbiamo inventare quasi nulla: dobbiamo solo mettere sotto controllo il nostro lato più primitivo e dare spazio a quello più evoluto.
Capisco che non sia semplice, ma in realtà è quello che stiamo facendo, con alterni risultati ma incrollabile pazienza e determinazione, da parecchie migliaia di anni.
Bella lezione, grazie
Ma vogliamo riconoscere o no che esiste una modalità astratta di prospettare i problemi, anche quelli della convivenza civile, cioè politica. Dal conto con i sassolini siamo passati all’ algebra , al calcolatore, all’ algoritmo. A nessuno viene in mente di tornare al pallottoliere per progettare un ponte.
Perchè in politica ripartiamo sempre dalle passioni individuali?
Sandra Festi – Bologna.