La nostalgia di assoluto, l’afflato millenarista in un mondo che si sta disgregando, l’irrefrenabile pulsione ad assolvere e scomunicare. Il vittimismo e il complottismo. Ecco cosa lega no euro, no Tav, no green pass. E perché è qui per restare
No euro, no global, no Tav, no Tap, no vax, no green pass. Tutti diversi, una grande famiglia. Gridano libertà, onestà, sovranità. Invocano “il popolo” e ce l’hanno con “l’éli – te”, sono la “gente” il resto “l’establishment”, loro “la piazza” gli altri “il palazzo”. Da qualche parte, ne sono certi, c’è una Trilaterale che complotta, un Bilderberg che tira le fila, una Mont Pelerin Society che pilota, una Troika e i “poteri forti” che governano il mondo. Sorvoliamo su scie chimiche, ripetitori 5G, microchip sottocutanei, terre piatte. Un tango mortifero, “una bambolina che fa no no no”. Se qualcuno credeva di avere scavallato, di avere superato la stagione populista, farà bene ad armarsi di pazienza: ne vedremo ancora delle belle, ne sentiremo ancora delle grosse, le stiamo già udendo. Il populismo è tra noi, è un ingrediente della democrazia, è qui per restare.
So già l’obiezione: basta usare il populismo come epiteto per screditare, delegittimare, criminalizzare! E conosco la reazione, già vedo il petto gonfio: viva il populismo, siamo tutti populisti! Non è la mia intenzione. Rimane il fatto che un filo rosso tiene insieme quell’ improbabile galassia, un cemento invisibile ma potente unisce l’odio antieuropeo e l’insofferenza verso la scienza, l’ossessione complottista e l’ecologismo radicale, gli inni alla Pachamama e l’astio verso “il progresso”, il sovranismo e l’idealizzazione del “p op olo”,l’ anticapitalismo el’ an ti liberalismo. E che quel filo rosso, quel cemento, avranno anche mille nomi e altrettante anime ma si esprimono in un concetto: populismo, per l’appunto. Purché tale concetto sia usato in modo chiaro e corretto, non come un volgare randello o una pacchiana medaglia. E si consideri che è un concetto speculare, ossia che ciò che di esso appare a taluni, come me, nefasto, è ciò che per altri ne fa miele per le api.
La questione, si badi bene, non è se quelle crociate contro tutto e tutti, contro questo o quello, abbiano o no fondamento. Alcune più, altre meno, certe nessuno. Ma tutte, anche le più balzane, esprimono proteste lecite, interessi legittimi, idee opinabili, finché pacifiche. E’ la democrazia. Più del loro contenuto specifico – l’europa, la globalizzazione, l’alta velocità, gli ulivi, i vaccini, chi più ne ha più ne metta – ciò che qui importa è il loro schema ideale. E’ in esso che sta il populismo. Mi spiego. Ridotto all’osso, il populismo è nostalgia di assoluto, bisogno di certezza, rimpianto di un popolo puro e incontaminato che assicuri appartenenza, coesione, protezione, identità. Esprime nel mondo secolare ciò che in quello dominato dal sacro s’esprimeva nei miti religiosi, nella purezza del Giardino dell’eden, nella radiosità della terra promessa.
Quei beni, come non notarlo, sono beni rari, per non dire illusori, in una società moderna e complessa fondata su un patto più o meno razionale, di sicuro istituzionale. Ma sono facili da immaginare in una comunità “naturale” basata sull’etnia, la religione, la nazione dove il popolo è uno e omogeneo, in una comunità di fede fondata su simboli, rituali, misteri condivisi. Magari, perché no, sulla ferrea convinzione che quella moneta o quel certificato medico, quel gasdotto o quel tunnel ferroviario siano questione di vita o morte, di essere o non essere, cause intorno alle quali cristallizzare una identità, riconoscersi in una comunità. Tra i primi a cercare di decifrarlo, non a caso, Isaiah Berlin notò che il populismo esprime proprio questo, una vocazione comunitaria. Da ciò il suo afflato manicheo e millenarista, l’ir – refrenabile pulsione a pontificare, ad assolvere e scomunicare che rende così pretenziosi e ridicoli personaggi come Grillo o Chávez agli occhi di uno sguardo secolarizzato, ma così magici e ispirati a quelli di un devoto in cerca di fede. Tant’è: quale che sia il nucleo ideale intorno a cui s’articola, quale che sia l’oggetto della sua battaglia, dall’identità nazionale al ponte su uno stretto, al dibattito razionale il populismo oppone lo scontro di civiltà, alla dialettica politica la guerra di religione, la lotta a morte tra onesti e disonesti, misericordiosi e cinici, libertari e tiranni. Bene e Male, insomma. Di nuovo: la politica intesa come religione, una religione politica.
Ma non è tutto. Cosa, infatti, unisce idealmente cause tanto disparate? Perché l’europa matrigna e l’oltraggio alla natura, i mercati e i vaccini, la finanza e la globalizzazione? Perché proprio quelle? Cosa diavolo rappresentano? Opps, l’ho scritto: il diavolo, appunto. Come in un testo magisteriale ha scritto uno che di diavoli se ne intende, papale papale, gli “ultimi duecento anni” hanno causato il “deterioramento del mondo e della vita di gran parte dell’umanità”. Nientemeno. Nulla di buono hanno portato la rivoluzione scientifica e industriale, vaccino incluso suppongo; nulla il liberalismo e il costituzionalismo, nulla il libero commercio e le nuove tecnologie, le libertà individuali e la laicità se non “deteriora – mento”, disincanto, disillusione, alienazione. La perdizione del mondo coincide guarda caso con lo scardinamento delle antiche certezze religiose, del senso d’assoluto che permeava il mondo sacralizzato, del comunitarismo che rassicurava e proteggeva l’individuo in una rete – una gabbia? – di credenze e consuetudini. Dei beni, insomma, di cui il populismo va disperato in cerca ovunque. Razionalismo e illuminismo, cosmopolitismo e secolarismo sono i mali che da due secoli ammorbano il mondo. La storia è male, è corruzione dello stato di natura. Amen.
Di tale apocalittica filosofia della storia, di tale astratta litania che mai si chiede come, concretamente, si viveva un tempo e si vive oggi, i più poveri non meno dei più ricchi, i populismi sono la bassa cucina, la traduzione in lingua volgare. D’al – tronde è logico: se, come essa recita, la purezza del popolo s’è perduta, la sua unità s’è frammentata, la natura s’è corrotta, la morale s’è smarrita, la cultura s’è inquinata, l’identità s’è spezzata, qualcuno dovrà averne la colpa! Ci dev’essere un capro espiatorio! Ecco così spiegato l’insopportabi – le vittimismo che trasuda in ogni campagna populista; ecco l’origine del cospirativismo che offre facili bersagli e comodi alibi. L’europa cosmopolita diventa così l’assassina delle piccole patrie, l’euro il killer dello strapaese affezionato alla lira, i vaccini l’arma con cui la scienza e le multinazionali raderanno al suolo la fede dei nostri avi, le trivelle i mostruosi artefatti che distruggono l’ar – cadia del chilometro zero, la finanza l’orco crudele che sterminerà i bottegai sotto casa.
Lo vediamo di nuovo in questi giorni, quando la complessa discussione sul green pass dovrebbe indurre a un po’ di buon senso, a un confronto duro ma fondato su competenze tecniche e basi scientifiche, dato che l’uscita dalla pandemia e la ripresa economica si suppone siano obiettivi di tutti. Invece no, invece fioccano profezie apocalittiche e slogan preconcetti, sospetti grotteschi e teorie cospirative. Nulla di più lontano da un’arena pubblica in cui ognuno offre il suo contributo alla soluzione di un problema, di un’intel – ligenza collettiva in azione per emendare errori e ottimizzare risultati, nulla di più vicino a una guerra contro l’infedele, un tiranno in pectore che trama contro la “libertà”. Abbasso il fascismo, gridano i no green pass, il nazismo è alle porte, rincarano i ni vax, Draghi come Hitler, ringhia un deputato dagli schermi tivù agitando Agamben neanche fosse il libretto rosso di Mao. Non fosse penoso, non facessero un po’ paura e molto torto alla nostra intelligenza, sarebbe da spanciarsi dal ridere. A ben vedere, è il classico caso del bue che dà del cornuto all’asino.
Ma è ancor più l’ennesimo sintomo di una radicata difficoltà a fare i conti col mondo per quello che è invece che col mondo come vorremmo che fosse, quintessenza della cultura riformista. Cultura agli antipodi del retaggio messianico di cui i populismi sono espressione, che induce a vivere la modernità, bella o brutta che sia, bella e brutta com’è, come colpa da redimere e peccato da espiare. Dinanzi ai suoi dilemmi e alle sue contraddizioni, alle sue brutture e alle sue opportunità, non si curano di superare gli ostacoli, sciogliere i nodi, aggiustare il tiro, di avanzare proposte sostenibili e misure attuabili. Preferiscono levare il grido al cielo, evocare magie salvifiche, additare il peccatore e come la bambolina fare “no no no”. Fino a quando, investiti di responsabilità di governo, costretti a cercare l’arrosto sotto il fumo e la realtà tra i miti, fingeranno di non conoscere i se stessi del passato. Come Di Maio, per dire. Nelle piazze, intanto, nuovi Messia imboniranno vecchie folle o nuove folle invocheranno vecchi Messia: lo stiamo vedendo.
In sintesi: dinanzi alla percezione che il nostro mondo si stia disgregando sotto i colpi di infinite cause – dal mercato all’immigrazione, dai social alla pandemia, dalla perdita della fede alla velocità di internet – il populismo offre una medicina all’apparenza portentosa: promette di proteggere l’identità minacciata, di restaurare la comunità
Un cemento invisibile ma potente unisce l’odio antieuropeo e l’insofferenza verso la scienza, l’ossessione complottista e l’ecologismo radicale, gli inni alla Pachamama e l’astio verso “il progresso”, il sovranismo e l’idealizzazione del “popolo”, l’ anticapitalismo el’ an ti liberalismo
Quale che sia l’oggetto della sua battaglia, al dibattito razionale il populismo oppone lo scontro di civiltà, alla dialettica politica la guerra di religione, la lotta a morte tra onesti e disonesti, misericordiosi e cinici, libertari e tiranni. Bene e Male, insomma. La politica intesa come religione, una religione politica
perduta, di salvaguardare la libertà usurpata. Poco importa che la sua guerra alla disgregazione non la arresterà, che la sua ansia redentiva non dia risposte adeguate ai nostri problemi, che la storia sia un flusso caotico e ininterrotto di frammentazioni e ricomposizioni di legami e culture. A renderlo così popolare è la sua offerta di beni che una visione disincantata del mondo, con pudore, evita di offrire: senso e appartenenza, comunità e omogeneità, certezza e assoluto.
Ma non solo il populismo offre una narrazione storica: la condisce di una vera e propria epica; e lo fa semplificando al massimo la realtà, riducendola ai minimi termini del suo schema manicheo che interpreta il mondo come un’eterna lotta tra bene e male combattuta da un noi e un loro. Quale altra epica può competere con questa? Quale approccio disincantato potrà scaldare altrettanto i cuori e mobilitare le passioni? Su questo piano, il populismo non ha rivali. Intriso di immaginario religioso, la sua portentosa forza è la stessa che da secoli alimenta le grandi religioni. A chi guarda al mondo con disincanto non rimane che armarsi di immensa pazienza e, volta a volta, smontare certezze, raffreddare ardori, svelare inganni, sgonfiare petti, ridare cittadinanza alla ragione e alla complessità.
5 Comments
Ottima analisi: completa, approfondita, corretta.
Ma non sarà anche che stiamo dando troppa importanza e troppo spazio ad una sparuta minoranza di “minus habens”?
Sono quattro gatti, rumorosi, ingombranti, supponenti, e soprattutto sopravvalutati da media intellettualmente disonesti, in perenne caccia di sensazionalismo, o da opinionisti in cerca di visibilità.
Ci sono decine di milioni di italiani che si sono vaccinati, hanno scaricato il certificato, lo usano, vivono, semmai mugugnano, ma fanno quello che è giusto fare. Grazie a loro verremo fuori da questa merda.
E sui giornali, nei TG, sui social, si continua a parlare di quattro fessi che fanno casino per farsi notare…
Credo che spegnere le luci su tanta pochezza sarebbe la cosa più sacrosanta, oltre che civilmente necessaria!
NB: prevengo l’obiezione di chi può dire che nel 2018 i 5s hanno preso il 33%: bene, è successo per la dabbenaggine della cosiddetta sedicente vera sinistra, ma adesso quella storia è finita.
E’ passata un’era geologica, è cambiato tutto, per fortuna. Giriamo pagina. Definitivamente. Prima o poi lo capirà anche la classe dirigente del PD.
A proposito di quanto sopra mi permetto di allegare una lettera aperta che ho inviato al caro Michele Serra, che pare avere anche lui perduto il senno. Sono certo che lo recupererà, a costo di andare a prenderselo … sulla luna.
https://ilquadernodiet.blogspot.com/2021/08/caro-michele-serra.html
I populisti effettivamente sono, sono stati e saranno sempre quattro gatti, come dice l’amico Trotta Ernesto, ma sono determinanti, secondo me, e scrivono la storia umana da quando gli esseri viventi popolano la nostra terra. Sotto il termine populisti, vanno in quadrati, secondo la mia opinione, tutti coloro che promettono al popolo, volgo disperso sul pianeta terra, la sicurezza eterna e “la felicità” inesistenti, se abbracciano e sposano il loro algoritmo di vita. Costoro quindi, se vogliamo fare un elenco vanno da Gesù Cristo, Alla’ , Geova, Marx, Lenin, Engel, per poi arrivare ai realizzatori dei suddetti algoritmi. Quest’ultimi sono da ricercare poi nei vari papi e profeti delle crociate e nei filosofi laici. Quindi nei condottieri, che il nome di questi filosofi, religiosi e laici, hanno provato a realizzare i vari percorsi di vita che dovrebbe condurre gli esseri umani alla “sicurezza e felicità”. Solo a titolo di esempio, ecco un elenco, secondo me. Luigi VII, re di Francia (Ricevuto dal papa Eugenio III a Tuscolano nell’ottobre 1149 durante il suo ritorno dalla Crociata e quelli recenti, Hitler, Mussolini, Franco, mentre fra i laici cito ad esempio Stalin, Mao, Fidel castro eccetera. Può sembrare assurdo quello che ho sopra scritto, ma se ci pensate bene, tutti i suddetti personaggi cercano di attrarre i vari popoli della terra con algoritmi ritenuti perfetti e sicuri nel realizzare un qualcosa che poi si rileva inesistente o comunque non provabile. Concludendo dico che tutti noi esseri umani siamo pronti a diventare populisti, ma è meglio sapere che non esiste l’algoritmo “perfetto”, secondo me, per “la felicità e la serenità eterna”, ed è meglio non farsi “infinocchiare” dai “no va…e pro va.., ma ragionare mediando. Grazie per l’attenzione e buona giornata a tutti coloro che leggono su questo libero e meraviglioso blog. Antonio De Matteo Pescara
Mi riconosco, naturalmente, con il messaggio dell’articolo, proponendo però qualche osservazione:
1) sul piano della contesa politica mesi fa avevamo la sensazione di venir sopraffatti a breve dai populismi, a livello globale. Poi, invece, Biden ha vinto negli Usa e qui, in Europa, la partita ora sembra aperta;
2) un approccio laico guarda alla complessità e non offre certezze illusorie, è vero. Il contrario di una visione manichea, insomma. Tuttavia non vorrei cadere in un altro tipo di manicheismo: laicità versus fede religiosa. Tanti studiosi sostengono, con argomenti credibili, che la libertà nasce soprattutto come libertà religiosa. Libertà scaturita (anche) da interminabili guerre di religione. Non solo: non è difficile rintracciare la matrice religiosa di principi e valori come il rispetto dell’individuo (o della persona che dir si voglia), la difesa dei deboli, l’eguaglianza dei diritti, la promozione delle capacità di ciascuno. E, in fondo, della stessa laicità, come garanzia della libertà religiosa. E aggiungo, da credente: la fede di Mosè ha lottato contro la religione degli idoli;
3) alcune delle istanze oggi consegnate all’irrazionalita’ dei populisti un tempo trovavano un’espressione meno naif nell’ambito delle grandi narrazioni ideologiche. Non rimpiango il passato, con le sue tragedie, ma neppure mi appaga un approccio alle questioni sociali basato sul solo problem solving.
Sono d’accordo con la bellissima e rigorosa esposizione di Loris Zanatta.
Mi persuade, ad ogni modo, anche la riflessione di Danilo : non possiamo confondere il populismo con ogni “sistema di valori”, religioso o laico, apparso durante la storia.
Il populismo è una “religione facile”, light, free, non un campo di valori robusti e spesso anche difficili da interiorizzare e comprendere, perchè complessi. Il socialismo (prima) e il cristianesimo sociale (ancora adesso) avevano bisogno di un costante studio, di basi rigorose, di visioni d’insieme da acquisire pian piano e, non a caso, non si sottraevano al confronto (cosa che succede ad esempio col beffardo e sprezzante, quanto sterile, “onestà, onestà). Poi uno poteva essere d’accordo o no, condividere o meno tali valori o credenze. Ma, a parte le frangie fanatiche, l’appartenenza a uno di questi mondi non comportava il disprezzo solipsistico degli altri che è la caratteristica di tanti aspetti del populismo, quelli complottisti ad esempio.
L’odio verso l’istituzione e lo scaltro mettere sul piedistallo della storia “la persona qualunque”, invece, non richiede alcuna “fatica del pensiero” (per dirla con Hegel), semmai richiede un cedimento dell’intelligenza alle pulsioni vendicative e “punitive” (della “pancia”) nei confronti di troppo facilmente costruibili caste e lobby dei “corrotti”. Insomma, il populismo non è studio, fatica per capire chi si è, mentre, ad esempio, l’appartenenza cristiana lo è, e lo è stato, anche (fatica e tormento) anche la militanza, ad esempio, socialista o comunista, finchè è stato pensabile conservarla.
P.S. : attenzione, la democrazia dell’alternanza contiene anche le categorie politiche della “rabbia” e della “punizione” di una classe politica (intendo ad esempio nel segreto dell’urna), se tale classe politica avesse deluso l’elettore.
Ma questo è segno di sentimenti democratici impegnati.
L’adesione alla rabbia di natura populista, fatta di semplificazione massima del mondo, come scrive Zanatta, è altra cosa. È una resa incondizionata alla tentazione di leggere il mondo attraverso schemi assolutamente semplici.
Ovviamente, come dice Zanatta, non è che tutti quelli, ad esempio, che si pongono dei problemi sul vaccino, e con rispetto degli altri sì domandano quali possano essere le alternative, sono populisti. Dobbiamo far molta attenzione.
Populista è chi “non vuole” sapere o ascoltare, perchè le parole “diverse” frantumerebbero il proprio mondo diviso tra il bene e il male.
Noi dobbiamo differenziarci (so che a volte è dura!) anche attraverso il nostro ascolto.
Grazie ragazzi
Massimiliano