Caro compagno Sergio,
Finalmente l’anniversario tanto atteso è giunto: il 6-7 novembre di 100 anni fa si compiva la rivoluzione bolscevica. Diciamo che possiamo dirci arrivati preparati, tra i reportage postumi di Ezio Mauro per ‘la Repubblica’, le varie interviste per ‘La Stampa’ (a proposito: che sorpresa vederti ora collaborare anche con un giornale che è sempre stato di casa!), gli interventi controcorrente di Michael Walzer per la ‘Domenica’ de ‘Il Sole 24 Ore’ ed il numero extra di ‘Internazionale’ con gli articoli dell’epoca; per non parlare poi dei volumi che sono stati (ri)pubblicati… Assorda poi il silenzio di Vladimir Putin in occasione del centenario.
Già, se dovessi definire in due parole cosa sia stata la presa del Palazzo d’Inverno, allora parlerei di questione problematica. Non solo perché coniuga l’internazionalismo comunista con il nazionalismo russo (di lì a poco sarebbe passato il “socialismo in un solo paese” di Stalin, che tra l’altro sta assistendo ad una riabilitazione della sua figura storica), e non solo perché è l’evento che vuole realizzare gli studi di Karl Marx smentendoli, dato che si svolge in un paese ancora agricolo e con fabbriche presenti a macchia di leopardo, laddove si prevede la rivoluzione in nazioni ad industrializzazione avanzata (per questo Antonio Gramsci la definirà come “una rivoluzione contro ‘Il Capitale'”.
Credo di tratti di una questione problematica perché primo, grande esempio di una sinistra suicida.
Perché quando leggo che i partiti socialdemocratici europei dell’epoca venivano accusati di essere non “l’ala destra del proletariato” ma “l’ala sinistra della borghesia”, qui penso a chi si fa l’esame del sangue per vedere chi ce l’ha più rosso.
Perché quando vengo a sapere che nel 1928 la Terza Internazionale coniuga il “socialfascismo” per porre sullo stesso piano i governi socialdemocratici e quelli delle destre, qui penso ai gruppi extraparlamentari degli anni ’70 o ai partitini del 2017.
Perché quando i bolscevichi arrivano secondi, col 25%, alle elezioni dell’assemblea costituente del novembre 1917 ed inaspriscono la presa al potere eludendo le regole del gioco democratico, qui penso ad Alain Touraine che, in una di quelle interviste di cui sopra a ‘La Stampa’, ricorda come destra e sinistra valgono soltanto in uno schema parlamentare, non in un regime dittatoriale.
Perché quando penso alle invasioni dell’Ungheria nel 1956 e della Cecoslovacchia nel 1968 per reprimere ogni tentativo di cambiamento del sistema, penso alle spaccature che questo modo di fare ha portato a sinistra. E penso alle scissioni recenti, chiedendomi: ma oggi come allora, tutto questo casino vale la pena?
E, tuttavia, credo che non tutto ciò sia da buttare.
Perché quando penso a quell’importante esperienza che per molti è stato il Partito Comunista Italiano, che partecipa alla ricostruzione dell’Italia democratica e repubblicana abbandonando l’idea dell’insurrezione armata per “fare come in Russia”, che organizza le Feste dell’Unità e la distribuzione domenicale capillare del nostro giornale, che arriva, con Enrico Berlinguer, a dire in faccia all’Unione Sovietica che così le cose non possono andare e quasi rischia la pelle tornando dalla Bulgaria, e che arriva, con Achille Occhetto, a mettere in discussione la sua identità per non vedere marcire quell’edificio il cui Muro iniziava a cadere… Beh penso che questa eredità difficile vada comunque raccolta, ringraziando il passato per quello che è stato nel bene e nel male ma senza copia-incollarlo per il futuro.
Insomma: davanti alle sfide non presentiamoci con un gettone telefonico per accendere l’iPhone; piuttosto compriamoci un giradischi che si connetta al computer portatile.
Un abbraccio,
Manuel Tugnolo
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