Ricevo dal compagno Giuseppe Provenzano questa trascrizione del suo intervento fatto alla Direzione nazionale del PD. Certamente molti non saranno d’accordo vista la durezza dei giudizi che vi sono contenuti ma l’onestà, la sincerità e l’acutezza del suo pensiero deve spingerci a leggere questo contributo con grande attenzione e rispetto. Grazie, Giuseppe.
Per trovare un risultato peggiore, delle forze di sinistra, di centrosinistra, bisogna risalire a un tempo buio. 1924, prime elezioni con il listone fascista, legge Acerbo. La portata storica di questa sconfitta deve interrogarci a fondo. Ho apprezzato lo sforzo di Martina. Nella discussione si è guardato all’Europa, alla globalizzazione, al moto dei pianeti e delle stelle, ma davvero possiamo eludere del tutto un tema? Avevamo un leader amato qua dentro ma odiato fuori. Avremmo potuto indicarne un altro. Non ha voluto. Ha voluto un partito a sua immagine e somiglianza e liste compilate in maniera padronale, in quella notte vergognosa su cui dovremo tornare. Questo ha inciso sulle dimensioni della sconfitta. Ma ovviamente non è solo questo che ha portato la sinistra all’anno zero.
Il Pd è nato tardi, s’è detto. In realtà è nato vecchio. In un mondo stravolto sotto i colpi della Grande recessione: la classe media, già impoverita, era l’unico ancoraggio sociale, in pochi anni veniva spazzata via. Tutta la mitologia fatta di ulivi e di euro, di primarie e buon governo cittadino, all’improvviso, non serviva più. Privo di un’identità, il Pd è apparso presto senza funzione storica. Avremmo avuto bisogno di una sinistra che facesse il suo mestiere: combattere le disuguaglianze, le solitudini, che non sono mai solo economiche, sociali, redistribuire potere e rappresentanza, dare risposte ai ceti popolari all’altezza dei loro bisogni. Noi pensavamo ai diritti. E più a quelli civili. Bene. Solo che erano tornati i bisogni. Erano esplosi con la crisi ma la ripresa li lasciava intatti. Perché anche nella ripresa si stavano allargando i divari: tra i cittadini, tra le imprese. Una minoranza ce la faceva per tutti, la media cresceva, ma la maggioranza non vedeva vie d’uscita. Noi raccontavamo il mondo dei vincenti. Ancora nel 2016 avevamo due milioni di giovani occupati in meno rispetto al 2008: quel disagio lo avevamo visto al referendum. Ma noi cosa gli dicevamo? Che il lavoro è ripartito, grazie al Jobs Act, e che comunque bisogna inventarselo. Start-up. Innovazione. Anche l’innovazione, sulle nostre bocche, perdeva ogni sensibilità sociale. Perché il problema non è solo starci, nelle periferie. Il problema è cosa gli dici, al popolo. Che il tuo capo, dopo la sconfitta al referendum nelle periferie urbane e sociali, se ne è andato da Elon Musk e che fra vent’anni, ad averci i soldi, potranno andare a farsi un giro su Marte? Se c’è un bisogno di sicurezza, di protezione, vuol dire che la sinistra non fa il suo mestiere. La sicurezza sociale, i servizi che funzionano per tutti: scuole, sanità, assistenza. L’austerità ha finito di distruggere lo Stato, dopo il processo di denigrazione e destrutturazione a cui abbiamo contribuito anche noi, la sinistra. Ma se la cosa pubblica non mi protegge, a che serve la politica? È solo un costo. Oppure, nella variante di destra, perché devo pagare le tasse?
Avremmo dovuto ricostruire lo Stato. Questo avrebbe comportato un ripensamento profondo di cosa siamo stati. E non in questi tre anni, ma in questi trenta. La ricerca delle “compatibilità”, il “vincolo esterno”, il governo col “pilota automatico”. E invece, abbiamo perseverato nell’errore. Anche quando c’è stato il coraggio, come sull’Europa, di fare una battaglia contro l’austerità, a cosa l’abbiamo piegata? A qualche punto di “flessibilità” per i bonus o, peggio, abbassare le tasse anche ai ricchi. Ci siamo fatti scavalcare a sinistra perfino dalla Commissione. Abbiamo portato gli investimenti pubblici al livello più basso di sempre, specie al Sud. Ma allora cosa parli di futuro?
Non che non ci abbiamo provato per niente. Ma “troppo poco e troppo tardi”. Il Reddito di inclusione, se l’avessimo finanziato per tutti, magari rifacendo pagare le tasse sulle case dei ricchi, avremmo fatto una cosa giusta e tolto un’arma agli altri. Perché se vi accedono solo un terzo dei poveri, agli altri due cosa gli racconti? Che facciano la guerra tra ultimi e penultimi? Attenzione, perché questo è il meccanismo che ha reso gli ultimissimi – gli altri, gli stranieri, i profughi – il capro espiatorio perfetto di ogni malessere sociale. Era la sfida del nostro tempo. Ma allora non la si poteva lasciare al Ministro dell’interno. Serviva un pensiero alto, sulla demografia, su Nord e Sud del mondo, sulle geografie dello sviluppo, sulla guerra e sulla pace. Da quanto tempo ci manca? Da quanto non organizziamo cultura, grandi campagne, discussione pubblica. È qui che abbiamo perso. La disintermediazione poi ci ha dato poi il colpo di grazia. Abbiamo pensato di fare le riforme del lavoro, della scuola, contro il sindacato, l’unico soggetto che ancora un po’ lo organizza, il lavoro. Andava sfidato a cambiare, ne è consapevole. Ma certo non facendogli la guerra, disconoscendone il ruolo. Perché questo, la sinistra, semplicemente, non lo fa.
Renzi ha rottamato uomini e mondi, ha offeso e provato a umiliare. Ma forse non è la sua colpa più grave: la colpa è aver ripetuto le stesse vecchie idee, con l’aggravante di vent’anni di ritardo. Blair… Conoscono l’obiezione: il popolo non vuole “più sinistra”, altrimenti avrebbe votato LeU… Il fatto è che se vuoi fare Corbyn, non dico che devi proprio essere Corbyn, ma almeno devi avere un minimo di credibilità, poter vantare una qualche coerenza. Non serviva più sinistra? Be’, nel Lazio è servita, e dividerci è stato un errore storico. Non è servito fare un indistinto partito “pigliatutto”, piazzato al centro. Perché qui è crollato anche il centro. Bonino, un flop. I voti di Monti sono andati ai 5S. E il centro crolla anche a destra, dove credevamo (e speravamo) potesse essere Berlusconi. La prospettiva delle larghe intese ci ha danneggiato. Non era vera? Non avevamo sufficiente credibilità per allontanare il sospetto. A qualcuno viene anche adesso: perché non usiamo le stesse parole chiare verso il M5S e verso il centrodestra? Il centro crolla perché siamo all’atto finale della crisi della classe media, proprio dove crolla la “curva dell’elefante”. Non è servito a nulla un partito più di centro. Oggi la cosa che più somiglia a un nuovo centro, se guardiamo alla base sociale del consenso, è il M5S.
Il voto del Mezzogiorno meriterebbe un’altra direzione ad hoc. La Seconda repubblica finisce come era iniziata, con un’Italia divisa sul piano economico, sociale, politico. Ma i 5S hanno raccolto non solo i poveracci, che molti qua dentro continuano a denigrare come assistenzialisti, ma un voto trasversale: professionisti, intellettuali, pezzi di imprenditoria sana. Una vera alleanza sociale, che poteva essere la nostra, è diventata la loro. Perché? Perché la lettura socio-economica del voto è importante, ma non basta. E pone un tema essenziale, la classe dirigente. Al Sud, destra e sinistra sembrano sempre più vasi comunicanti. Dalle elezioni amministrative alle liste alle politiche. Potentati senza più nemmeno potere che muovono clientele, che costruiscono clientele sul ricatto del bisogno. Non ha funzionato più. C’è stato un voto libero, non solo di protesta. Per un’altra classe dirigente.
La nostra classe dirigente è una parte essenziale del problema. Ha fallito. E questo ha trasformato una sconfitta storica in una disfatta senza proporzioni. Interroghiamoci sulla rapida ascesa e il repentino declino renziano. L’idea volgare della rottamazione rispondeva a un bisogno reale: “far saltare il tappo”. I giovani ci speravamo, e alle europee un po’ ci aveva votato. Una volta al potere, siete apparsi come quelli che li avvitavano ancora più stretti i tappi. A braccetto coi poteri forti, con una Confindustria che non rappresenta più nemmeno i suoi, e che non ha perso tempo a ricambiare anni di favori. Se ti vedono così, prendersela poi con le istituzioni come la Banca d’Italia, e persino con Mario Draghi, diventa grottesco, prima che un clamoroso autogoal.
C’è un momento in cui la separazione tra élite e popolo diventa intollerabile oltre ogni misura. Quando le élite non risolvono i problemi del popolo, quando non sanno fare il loro mestiere, quando non sono élite. Élite in negativo, e non élite in positivo (come le intendeva Bobbio), un’élite non élite: questo è stato il Pd di Renzi. Maria Elena Boschi, all’indomani delle elezioni, con Francesco Merlo, si rammarica non dei voti che ha fatto perdere al Pd, ma addirittura della “fine di un mondo di letture e buone maniere, di civiltà”. No, cara Boschi, in molte realtà, soprattutto nel Mezzogiorno, i candidati del M5S avevano curricula e profili migliori dei nostri. Cioè, dei vostri. Di quel nugolo di trasformisti e famigli vari raccattati in giro, specialmente al Sud. C’è stato un trapianto di ceto politico di centrodestra nelle nostre fila. E i nostri hanno avuto il rigetto. Avete fatto la polemica sul curriculum di Di Maio? La politica non si fa col curriculum: ma, visto che insistete, qual è il vostro? “Quali sono i vostri libri? Avete studiato?”. Perché oggi, di fronte alla complessità, se non vogliamo cedere alla barbarie, abbiamo bisogno di studiare di più. Se vogliamo farci capire, essere semplici, non bisogna studiare di meno, bisogna studiare di più. Non lo studio delle biblioteche, che pure non guasta. Uno studio vivo, fatto sporcandosi le scarpe. Con intelligenza. Con passione. Anche questo è un partito.
Di quella notte delle liste non rimane solo la prepotenza, restano interrogativi di fondo. Siamo ancora un partito? Rispetto per le minoranze, regole interne, statuto… quella notte è saltato tutto. Eravamo l’ultimo partito rimasto, ma lo siamo ancora? Ci siamo comportati come Forza Italia, come la Lega, come il M5S. Colpa di Renzi? Certo, ma ci fosse stata una classe dirigente, degna di questo nome, non sarebbe potuto accadere. Ecco perché ora la soluzione non è una nuova scorciatoia leaderistica: un nuovo capo, magari meno fastidioso e che piaccia di nuovo a Repubblica. Oppure: via il segretario, lasciamo la segreteria. Diamo “tutto il potere ai circoli”? Bene, solo che non ci sono più: mentre pagavamo i guru americani per il referendum, le sedi chiudevano. La soluzione non è l’ennesima conta alle primarie, strumento di autoconservazione di piccoli o grandi potentati: in molte realtà avremmo più voti alle primarie che alle elezioni.
Il nostro compito, ad ogni livello, è la formazione di una nuova classe dirigente. Siamo un esercito sconfitto e senza “gradi”. Perché quelli che li avevano li hanno persi in battaglia. E bisogna guardare ai giovani. Quelli che sono rimasti, quelli che sono andati, quelli che non sono mai venuti. Aprirsi alla società, al sindacato che avvia un importantissimo congresso a cui guardare con attenzione. Dobbiamo ritessere una trama sociale, con umiltà. Organizzare il conflitto, anche. Qui è il senso, e l’utilità, dello stare all’opposizione. Tornare al popolo. Non per dargli sempre ragione, al popolo. Ma per confrontarsi, anche duramente. Ma senza le tifoserie, i settarismi personali di questi anni. Abbiamo di fronte un popolo offeso. Ma spesso non perché privo di strumenti, ma perché non trova spazio per affermarli. E il Pd non è stato questo spazio. E rischia di esserlo sempre meno: perché poi i populisti sono sempre gli altri, ma noi, che abbiamo abolito il finanziamento pubblico, che cosa siamo? Sapete perché questa è stata la peggiore classe dirigente? Non per averci fatto perdere così tanto, ma per averci lasciato così poco da cui ripartire. Eppure, potete scommetterci, ripartiremo. E non dall’artefatta contrapposizione tra vecchio e nuovo. Ma da ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. E bisognerà scegliere ciò che è giusto. Anche quando non sarà facile.
9 Comments
Caro Sergio,
non so come fai a trovare interessante ed acuto un tale cumulo di vecchia retorica ed ideologia novecentesca.
Per carità, nel Partito c’è spazio per tutte le sensibilità, quindi anche per queste posizioni, figuriamoci!
E, fra le tante cose, si può sempre scovare qualcosa di buono e di utile.
Ma rendiamoci conto che, con pensieri così, non andremmo al governo neppure di una Regione, altro che della settima, ottava, o nona potenza del mondo.
Così ragiona un’opposizione strutturale, di pura testimonianza e senza alcuna “velleità” maggioritaria.
Chi governa deve cercare di farlo per tutti, con le compatibilità, i vincoli e gli equilibri esistenti. Cambiare cercando di portarsi dietro tutto il Paese.
E si resta al Governo solo se si convince la maggioranza che lo stai facendo bene.
Altrimenti ti becchi il 19% e ti lecchi le ferite, meditando su come fare meglio la prossima volta.
Davvero bello e interessante questo intervento. Non condivido alcuni passaggi, ma voglio riprendere un tema a mio parere fondamentale: la crisi sociale. Su questo l’analisi è perfetta. Non occorre compulsare manuali di economia politica per sapere che dove la disoccupazione è violenta le forze di governo passano brutti momenti. Abbiamo troppo sottovalutato il famigerato reddito di cittadinanza, irridendo quanti lo proponevano. Eppure lo strumento utile per contrastarlo nell’immaginario collettivo lo avevamo individuato: il Reddito di Inclusione. Provate a chiedere in giro quanti conoscevano il Reddito di cittadinanza, nel bene e nel male. Quasi la totalità. Stessa domanda per il reddito di inclusione. Quasi nessuno. Eppure lo si era introdotto già da almeno due anni. Qualche risultato l’aveva dato e lo si voleva ampliare. Quanto si è puntato sul salario minimo legale, a protezione di buona parte del precariato? Poco, troppo poco. Non erano provvedimenti coerenti con “le magnifiche sorti e progressive”? Erano coerenti con le esigenze di un mondo che soffriva la legnata della crisi. Qui sta l’inadeguatezza di una classe dirigente di sinistra, che si dilaniava sullo ius soli (riforma sacrosanta) ma che non percepiva i bisogni profondi del suo popolo. Certo l’analisi della sconfitta è più complessa ma questo tema ne è parte integrante e di capitale importanza.
Se, come ha fatto Provenzano, si fanno risalire le ragioni della sconfitta a frasi come questa “Privo di un’identità, il PD è apparso presto senza funzione storica”, mi scuserete la presunzione, ma penso d’aver capito dove voleva andare a parare. Mi sono detto “se uno mi tira in ballo ancora la storia mi sa che avrò bisogno del malox”, per cui mi sono risparmiato quasi tutto il resto. La “dietrologia” la lascio a coloro che sono appassionati della materia, a me ormai procura solo fastidio. Personalmente, anche se il mio futuro, come si dice, “ce l’ho tutto alle spalle”, cerco di guardare avanti e se osservo cosa succede nella società, se analizzo il perché di certi fatti, anche della nostra tremenda sconfitta, nell’individuarne le cause pervengo a valutazioni e considerazioni quasi sempre diverse, se non di segno opposto, rispetto ai “dietrologi”. Tuttavia, se crede, Provenzano potrebbe spiegarmi quale “funzione storica” abbia a suo giudizio il M5s, che ha vinto le elezioni o, comunque, è risultato il primo partito per consenso.
Mi sembra che Provenzano parli da moglie tradita e che adesso gli va bene qualunque amante (vedi % stelle) per dare colpe a una classe dirigente, Renzi e soci , che hanno vinto non una ma due volte le primarie e che dopo anni difficili di governo ( venivamo da Monti se ci ricordiamo) adesso per promesse di pancia fatte agli elettori anche i nostri hanno abboccato e quindi si tira fuori tutto l’astio e il malessere covato all’interno del partito da persone che hanno fatto solo male al partito e che adesso pontificano.
Basta, tipi come Provenzano (non so a quale titolo parli) non hanno avuto il coraggio di uscire prima allo scoperto e adesso vorrebbero essere i fustigatori di una classe dirigente a cui invidiavano potere.
Basta, facciamoci una sana opposizione che ci farà senz’altro un gran bene.
Repetti camillo
Caro Sergio, oggi mi sono letto tutti gli interventi con relativi commenti e devo dire che mi trovo veramente d’accordo con Ernesto e gli altri che hanno commentato, poi mi sono messo a riflettere. Ho pensato alla disfatta nel Sud e mi sono venute in mente alcune frasi di cari amici meridionali che così si esprimevano. A noi va bene così non vogliamo cambiare perché questo sistema mi permettere di fare ciò che voglio, anche leccare il culo ad un boss della mafia se è necessario. Improvvisamente mi sono venuti in mente i film di Albanese ( laqualunque) di Zalone ( il posto fisso) di Ficarra e Picone (l’ora legale). Non vorrei fare incazzare qualcuno ma non è che noi ci stiamo facendo delle masturbazioni celebrali sul perché della sconfitta e tralasciamo la volontà popolare? Il PD e Renzi stava cambiando il paese ma quel paese vuole essere cambiato? Se non fosse un voto di protesta ma un voto di paura verso il cambiamento che avanza? Forse non è meglio vivere nel limbo delle proposte a 5 stelle?
Il profondo Nord, questa macchina da guerra infallibile sempre pronta a pagare per tutti, a parole, ma nei fatti sempre pronta ad odiare il diverso vedi film di Abbatantuono ( cose dell’altro mondo) e a crogiolarsi nel proprio egoismo e nella ricerca di pagare meno tasse possibile. Allora cosa c’entra il PD con noi? Meglio chi odia gli immigrati ( anche se hanno le amanti straniere e i dipendenti dell’altro mondo appunto) e poi ma che cazzo questi del PD mi vogliono far pagare le tasse ma come , pago già l’IVA perché mi sembra pur sempre una tassa.
Morale, siamo sicuri delle analisi del dopo voto? E se invece avesse avuto ragione Cacciari quando propose ” Verso Nord” una sorta di partito del nord ma che guarda a sinistra e all’Europa come primo obbiettivo non tralasciando naturalmente la necessità di far cambiare realmente il Sud? Meditiamo gente meditiamo.
Marco bs
Caro Sergio,
al di là delle singole tornate elettorali e dei momenti di gloria di questo o di quello, sembrerebbe che in politica (come in altre vicende umane) se ne esca comunque sconfitti. Non a caso Pietro Ingrao si soffermava sull’ “indicibile dei vinti” e sul “dubbio dei vincitori”. Si guardi alla Lega, a mo’ di esempio: il successo di Salvini poggia sugli errori e sulla sconfitta di Bossi.
E i rovesci della fortuna prima o poi colpiscono anche “uomini forti” come Putin.
Si tratta, insomma, della natura umana, a cui, forse, si può reagire solo con il “socialismo” leopardiano della “Ginestra”: la solidarietà tenace volta a contrastare aridità e morte. Ecco: un quotidiano come l’Unità riusciva, credo, a evocare qualcosa del genere. E nel momento dell’amarezza la sua mancanza si sente di più.
Ciao,
Danilo Di Matteo
Esprimo il mio apprezzamento per la chiarezza e il rigore con il quale il Dottor Provenzano ha spiegato su Repubblica il ritiro della sua candidatura nel Pd ed il suo impegno a lavorare”perché la sinistra torni ad essere ciò che l’ha resa grande.”
Ho inoltre appena finito di leggere il suo intervento del 16 marzo , La sinistra all’anno zero. Anche qui mi sono riconosciuta in tutto ciò che è stato indicato come il vero problema del partito. L’arrogante e veramente rivoltante distacco dalla realtà ,il narcisismo elevato a cifra di governo. La presunzione folle di dettare legge su tutto. E ora , da insegnante, urlo il mio rifiuto per quello schifo di riforma della buona scuola.
Il piglio imprenditoriale con cui Renzi ha gestito la res pubblica, senza per giunta essere mai stato imprenditore, unito alla sua tracotanza , sono i motivi del tracollo del PD.
Mi chiedo, d’altra parte come avessimo potuto ingenuamente fidarci di uno che accoltella alle spalle il suo compagno Letta per prenderne il posto e circondarsi di ragazzetti di provincia, come lui, selezionati perché compagni di scuola e amici.
Ora per fortuna l’epoca di questo Machiavelli de noiartri è finita. Perciò, Dottor Provenzano, mi rivolgo a Lei, per pregarla di riconsiderare l’ipotesi di far parte della futura classe dirigente del nuovo PD. Glielo chiedo perché ho sempre creduto nei valori fondanti della sinistra, perché sono stufa di dilettanti allo sbaraglio al governo del paese, perché, da insegnante vorrei una riforma della scuola seria e meditata, più rispetto per il mio ruolo e per i bisogni degli studenti. Da madre vorrei che ai miei figli ed ai loro fosse garantita una sanità pubblica decente, scuole di stato serie , trasporti efficienti, e classi dirigenti migliori di queste.
Lei, Dottor Provenzano, ha la chiarezza mentale delle persone oneste. Forse avrà letto i saggi di Orwell sull’importanza per i politici del parlar chiaro per non ingannare il prossimo.
Lei è giovane , è padre, è un uomo colto . Di persone come Lei ha bisogno il paese.
La ringrazio.
Cordiali saluti.
Elena Baldi
Quanti luoghi comuni, quante brutte parole, insulti che non si vorrebbero mai sentire nello stesso partito.
Quanto astio, quanto poco rispetto per gli sforzi fatti.
Peccato!
Forse non leggerai queste righe, perché è probabile ti sia bastato sfogare la tua rabbia e poi fuggire via, come un troll M5S qualunque.
Qualora comunque tu volessi interloquire civilmente su questo blog, sappi che troverai persone magari schierate, ma rispettose delle idee degli altri, ammesso che ne abbiano qualcuna.
Egr. dr Provenzano e sig.ra Elena Baldi ,
ma perché non provate a crealo voi un partito politico con un programma preciso e coerente con le vostre critiche distruttive e per me, che ho votato il PD di Renzi, offensive ? Bersani, D’Alema e compagni ci hanno provato ed hanno ottenuto un 3% dell’elettorato. Provate anche voi: potreste ottenere la stessa fortuna del sig Bersani, visto la sovrapposizione delle vostre critiche con le loro. Noi del partito democratico che abbiamo creduto nel programma di Renzi e non siamo disposti a rinnegarlo, altrimenti saremmo cretini ed avreste ragione voi, siamo disposti ad un accordo, ma non alla resa incondizionata. Siamo disposti a trovare un Leader nuovo ( Renzi si è dimesso e non è in lista per le prossime elezioni ), ma per avere i voti dei “Renziani” dovete presentare delle proposte credibili ai loro occhi e non offensive. Io sono convinto che il partito democratico non scenderà sotto la soglia del 18% anche se il dr Provenzano e la signora L.Baldi voteranno un altro partito ( magari movimento cinque stelle) . La democrazia vuole questo: tutte le proposte politiche democratiche sono degne di essere esposte al popolo Italiano che sceglierà a maggioranza chi deve governarlo.
Un caro saluto a tutti, senza odio né rancore, anche a coloro che la pensano diversamente da me. Antonio De Matteo Milano