Chi ieri era seduto su una delle poltroncine del Senato, o assiepato davanti agli schermi su cui scorrono i lavori d’aula, ha sentito come un vuoto nella pancia. Il vento che sferza il volto. Il precipizio. Un attimo prima c’erano Liliana Segre e – attraverso le sue parole chirurgiche, pronunciate con voce di cristallo – Piero Calamandrei, i valori della Costituzione, dell’antifascismo, dell’unità repubblicana, dell’inclusione, della democrazia. Un attimo dopo, sembrava il bar di Guerre stellari: Silvio Berlusconi furente aggrappato al banco in prima fila. Licia Ronzulli inamovibile, al suo fianco, tailleur rosso fuoco e ira trattenuta a stento. Senatori in processione a omaggiare, sulla scena. Nelle retrovie, da dove entra ed esce Matteo Renzi, la preparazione a tempo di record di un accordo indicibile, e infatti negato. Il primo della legislatura. Il vaffa di Berlusconi a La Russa è solo l’apice di un dramma che i cinici di complemento si sono affannati a chiamare “politica”. Ma non c’è niente di realmente politico in quel che è accaduto. O forse bisogna intendersi su cosa significhi, occuparsi della Res pubblica.
Se significa segnare un punto, preparare il terreno per un cambio di campo, accaparrarsi qualche ruolo di peso negli uffici di Camera e Senato e nelle commissioni bicamerali, dimostrare di esserci e di saper usare il proprio peso in Parlamento, allora sì: complimenti a chi davanti alla prima subitanea disfatta del centrodestra nell’aula di Palazzo Madama ha saputo approfittarne. Il risultato è stato eleggere come seconda carica dello Stato l’uomo forse più a destra dell’intero Parlamento, collezionista di busti del Duce, orgogliosamente “non antifascista”. Aiutando così Giorgia Meloni a umiliare l’alleato Silvio Berlusconi, sperando forse che questo possa terremotare la coalizione. Anche se, ripeteva ieri Matteo Renzi nel Salone Garibaldi, “quelli sono di destra, alla fine l’accordo lo trovano sempre”.
Ma facciamo un esercizio di stile, visto che nella realtà sarà molto difficile che accada: proviamo a pensare cosa avrebbe fatto una vera opposizione di centrosinistra, davanti alla possibilità di far saltare il nome di La Russa e di incunearsi nelle divisioni subito scoppiate dentro la destra. Magari avrebbe cercato una strategia comune, un nome sul quale far convergere i suoi voti. Avrebbe fatto sì che il primo passo di Giorgia Meloni nel nuovo Parlamento fosse una sconfitta. Avrebbe potuto perfino tenere fede e a tutte le cose dette in campagna elettorale: che c’è un pericolo di banalizzazione del passato fascista, che bisogna tenere desta la memoria.
E invece è stato tutto un reciproco “è stato lui”, “no lui”, “allora quell’altro?”, e improvvisamente la voce di Liliana Segre è apparsa lontana anni luce e siamo ripiombati qui dove siamo: c’è un centrodestra che grazie alla capacità di tenersi saldo alle elezioni ha avuto più seggi di quanti le percentuali dei tre partiti che lo compongono potessero fargli sperare (vale sempre la pena ricordare l’assurdità del mai abolito Rosatellum). Una coalizione di governo che non riesce a mettersi d’accordo neanche sul suo primo atto istituzionale, talmente il decisionismo di Meloni sta facendo impazzire colui che finora ha sempre comandato: aveva un foglietto con su scritti i ministeri desiderati, Berlusconi. Una cartelletta che continuava ad aprire e chiudere come se questo potesse magicamente cambiare la realtà, far svanire quelli che egli stesso definisce “veti inaccettabili”. Non è successo, l’umiliazione è bruciante, le conseguenze ancora imperscrutabili.
E poi c’è l’opposizione di centrosinistra, che ha fatto ieri in aula quel che ha fatto in campagna elettorale: si è divisa in mille interessi contrapposti, con la consueta realpolitik dell’ognun per sé che non porta a nulla tranne che al rafforzamento dell’avversario. C’è un pezzo di Pd che vuole ripartire dall’opposizione per ridefinire la propria identità; ce n’è un altro che sotto sotto, quasi quasi, ci fosse un altro governo cui dare una mano, perché no; c’è il Terzo polo che di dare una mano non vede l’ora, del resto l’ha detto, “ma non con Meloni premier eh, io sono di sinistra”, spiegava l’irrefrenabile Renzi in buvette. E c’è il Movimento 5 stelle di Conte, ansioso di cannibalizzare tutto il possibile per tornare ai fasti del 2018.
E quindi sarà anche andata male ieri per Meloni, al Senato. Ha eletto un presidente grazie ai franchi tiratori, ha visto spaccarsi il fronte alla prima curva, dovrà pensare a come rimettere insieme i cocci. Poi però – pare di vederla – avrà guardato l’altra metà dell’emiciclo, scorso i messaggi whats App sul telefonino e capito di poter andare a letto tranquilla: c’è tutto un mondo disposto ad aiutare. Ma non chiamateli responsabili, chiamiamoli direttamente patrioti. —
Annalisa Cuzzocrea, La Stampa, 14 ottobre 2022
2 Comments
Caro Sergio
non sono certo dentro i movimenti di palazzo per capire cosa possa essere successo al Senato ieri, e da questo articolo sono stimolato a farti una riflessione.
Tu sai, da quello che scrivo da tempo in questo bolg, che sono un convinto Renziano, non certo per un culto alla “persona” ma per il progetto e gli obiettivi che ci siamo dati in questo progetto di “terzo polo”. Per la mia storia personale sono di certo radicato a contrappormi sempre alla destra, soprattutto a questa vincitrice delle ultime elezioni, però ha ragione ancora Renzi quando dice “quelli sono di destra, alla fine l’accordo lo trovano sempre”. Ma noi perchè non ci riusciamo mai?
I problemi sono sicuramente tanti, inutile elencarli ancora, ma qualcosa dobbiamo pur fare. Ora abbiamo 5 anni di opposizione perchè si possa costruire davvero l’alternativa del 3° millennio a questa destra fuori dal tempo. Cosa ci servirebbe?
Io la penso così: ci servono una-due persone di grande mediazione politica, che con un tavolo di lavoro permanente, possano intercettare e definire un vero progetto RIFORMISTA del 3° millennio, che cerchi di assemblare in un unico progetto, in modo Federativo, le anime delle due aree in campo che non siano in assoluto Sinistra Massimalista, Populisti e Rancorosi di ogni tipo. Senza nessun calcolo elettorale a breve termine ma sostanzialmente RIFORMISTA da mettere in campo per le prossime sfide contro questa destra becera e analfabeta.
Quindi mi sembra chiaro che una scelta radicale il PD, una volta per tutte la debba fare, ed uscire da questo limbo che non ha più niente degli obiettivi che Veltroni aveva tracciato 15 anni fa.
Io per esempio penso a un Nannicini e Bentivogli, persone che riconosco valide, che potrebbero fare questo passaggio o comunque provare ad avventuarsi in questo percorso.
Cosa ne pensi?
Un abbraccio
Gianni Moscatellini
Questo pezzo è melenso oltre ogni limite e dimostra come questa sedicente sinistra, cui la moraleggiante Cuzzocrea pretende di dare voce, viva nelle nuvole e non sulla Terra.
Il problema purtroppo è che molti sognano, anzi delirano, vagheggiando un’unità che non può esistere nelle condizioni date, con qualcuno che pensa che un opportunista chiaramente di destra come Giuseppe Conte ne potrebbe essere l’alfiere.
Se non c’è una sinistra unita, che voglia essere davvero maggioranza, non è un caso: è il frutto di profonde divisioni strategiche, unite ad annose incompatibilità personali.
Questa sedicente sinistra non si ricomporrà mai ed è destinata ad uno scontro dal quale solo una parte uscirà vincitrice. L’altra sarà consegnata all’irrilevanza ed all’oblio della Storia.
Mi ero offerto di andare sulla Luna a recuperare il senno perduto. Sono disposto a partire anche subito …