Idee per un decalogo di diritti sociali per le lavoratrici e i lavoratori su salario, orario, riposo, formazione,
maternità/paternità. Obiettivo: mobilitare e unire il paese con la battaglia per il lavoro dignitoso’. Chi ci sta?
di Marco Bentivogli
Il lavoro non finirà, anzi, lo costruiremo
giorno per giorno, con la capacità
e la responsabilità di ognuno di riconoscerlo,
prendersene cura, assicurargli
una prospettiva che parta dalla
passione per l’uomo. E’ una sfida che
ha bisogno di cultura perché il lavoro è
rimasto senza parole. Per questo gli
serve un nuovo alfabeto, capace di
metterlo in cammino, ricostruendone
valori. Il lavoro è il crocevia delle transizioni
(digitale, demografica e climatico-
ambientale). Tutto ciò fa di esso il
luogo delle trasformazioni, dei cambiamenti,
ma anche il campo di iniziativa
per cambiare le cose. Il lavoro (come
la sua assenza) resta l’osservatorio
privilegiato della condizione umana,
delle capacità di un paese di generare
ricchezza e di redistribuirla. Nei prossimi
30 anni avremo milioni di italiani
in meno in età da lavoro. Servono politiche
migratorie avanzate e intelligenti
che costruiscano percorsi di inclusione.
Per tutti, il lavoro deve tornare a
essere il terreno del riscatto, di ricostruzione
di legami di comunità dove
le generazioni si confrontino e si passino
il testimone.
La trasformazione digitale è un
grande abilitatore dello “scongelamento”
del tempo (orari) e dello spazio
(luoghi di lavoro-territorio) del lavoro
e dei modelli economici e produttivi.
Mette in discussione le categorie
giuridiche e contrattuali della
nostra autostrada bicolore (lavoro dipendente/
autonomo) creando i presupposti
per una terza corsia del nuovo
lavoro che garantisca diritti e tutele
a tutti. Mutamenti che rendono necessari
“architetti del nuovo lavoro”
che ricostruiscano il lavoro con la
persona al centro. Le architetture del
nuovo lavoro sono “sartoriali”, capaci
di distinguere le “attività” in cui occorre
la condivisione diretta e la presenza
fisica, e quelle “remotizzabili”
e rese flessibili. Le nuove forme di organizzazione
(smartworking, eccetera)
del lavoro hanno enormi potenzialità
per migliorare l’equilibrio fra lavoro,
vita privata e sostenibilità ambientale.
Il mercato del lavoro
più diseguale d’Europa
Nel mese di giugno c’è stata finalmente
una buona notizia, il tasso di occupazione
è salito al 60 per cento (valore
che non si registrava dal 1977) su un
obiettivo ancora lontano (deve essere
almeno il 70 per cento).
I nodi purtroppo sono sempre più
stretti: una produttività stagnante, gli
orari di lavoro più alti d’Europa e i salari
più bassi. Non solo, il nostro “mercato”
del lavoro è tra i più diseguali
d’Europa per diverse ragioni: altissima
disoccupazione giovanile, bassissima
occupazione femminile, elevato
skill mismatch, il più basso numero di
laureati e tra i più alti numeri di Neet
(under 35 fuori da percorsi di formazione
o di ingresso al lavoro), terzultimo
posto per competenze digitali (ranking
Desi 2022 su digitalizz azione delle
economie europee redatto dalla
Commissione Ue). Inoltre sono in crescita
la dispersione, l’abbandono scolastico
ed è in aumento aumenta la povertà
educativa.
Bisogna invertire la rotta, come dice
Silvia Zanella, “il futuro del lavoro è
femmina” secondo tutte le tendenze,
per nuove competenze, per il cambio
di paradigma di organizzazione e di
gerarchie del lavoro. E invece il paese
continua ad avere un tasso di occupazione
femminile bassissimo, gender
gap (differenziale salariale) altissimo,
tasso di presenza nei posti apicali sotto
la media europea.
Sono urgenti politiche coraggiose e
soprattutto con un impatto reale a partire
dalla mobilità sociale. La nostra
rappresentanza della questione sociale
e del lavoro non può evocare la lotta
alle diseguaglianze, la deve rendere
credibile e possibile.
Gli ecosistemi del lavoro
Per questo occorre tenere conto del
cambio di paradigma dello sviluppo
territoriale e della riconfigurazione
globale delle filiere. Il territorio e il
paese creano la loro posizione di forza
realizzando a livello territoriale un
“ecosistema virtuoso del lavoro” dove
persone, imprese, istituzioni, lavoratori,
solo insieme possono sviluppare
una visione evoluta capace di fare
avanzare tutti i soggetti che creano valore
per sé e la società e non lasci solo
nessuno. Attualmente il gioco è a somma
O. Se un soggetto, prende di più, lo
fa in una competizione malata a scapito
dell’altro. Il gioco a somma positiva
è quello della creazione di valore per
tutti attraverso la cooperazione su
obiettivi comuni. Su questo terreno si
possono costruire le politiche di produttività
e di crescita delle imprese e
di redistribuzione.
Si può mobilitare e unire il paese
solo con la battaglia per il “lavoro dignitoso”,
quello che non solo rispetta
tutte le leggi e i contratti collettivi, ma
che parte dalla dignità che fa fiorire la
persona. E’ quello in cui si cresce, si
costruisce una parte del proprio contributo
quotidiano alla ricostruzione
della comunità nazionale.
Ci sono più fronti su cui lanciare
questa battaglia. Intanto serve un decalogo
di diritti sociali per tutte le lavoratrici
e i lavoratori (standard minimi),
indipendenti dalla correlazione
contrattuale (autonomo/dipendente,
atipico/indeterminato, full-time/parttime)
su salario, orario, riposo, formazione,
maternità/paternità.
Battere il lavoro povero
Serve una “soglia di decenza” che
sia solo una prima verifica di legalità
indipendentemente dal rapporto di
lavoro (autonomo o subordinato), semplice
da accertare e nota a tutte le persone
su cui massimizzare le sanzioni.
Non deve entrare in “concorrenza”
con i contratti collettivi realizzati dalle
organizzazioni maggiormente rappresentative
che devono continuare a
fissare la giusta retribuzione per il lavoro
dipendente.
Contro il lavoro nero
Semplificare le normative, costruire
percorsi di emersione verso la legalità.
Rafforzare l’attività ispettiva consentendo
l’interoperabilità dei dati –
oggi possibile grazie alle migliori capacità
di raccolta e analisi dei dati
stessi.
Lotta al precariato
Il lavoro atipico deve costare di più
del lavoro a tempo indeterminato.
L’Italia ha una quota molto alta di lavoro
autonomo (attorno al 24 per cento)
che è senza alcuna protezione sociale
e tutela. Spesso, peraltro, rappresenta
una forma mascherata di lavoro
dipendente. Vi sono nuovi segnali
preoccupanti: la crescita, soprattutto
tra le donne, del part-time obbligatorio
è un brutto segnale anche perché,
quando il tempo parziale non rappresenta
una scelta, è piuttosto una
quota ulteriore di lavoro povero. I tirocini
extra curriculari sono troppo
spesso occasione di sfruttamento, senza
percorso di ingresso al lavoro, che
possono permettersi solo le persone
che hanno un’autonomia reddituale
famigliare. La durata eccessiva nei
percorsi di ingresso al lavoro rappresenta
un problema, ma allo stesso tempo
stanno dilagando i contratti a ter-
mine inferiori a 12 mesi, arrivando anche
a durate poco superiori a una settimana.
Per questo il lavoro atipico deve
costare di più anche in funzione
della breve durata dei contratti.
L’occupazione (di qualità) al centro
dell’iniziativa: le politiche attive
Le politiche del lavoro possono avere
un grande spazio per riportare in
pista le persone che sono fuori dai percorsi
di ingresso al lavoro o che ne sono
state lasciate ai margini. Le risorse
del Pnrr vanno utilizzate in modo efficace.
A questo proposito è necessario
che il Piano garanzia e occupabilità
dei lavoratori (Gol) va rafforzato a partire
dagli aspetti che hanno avuto meno
efficacia nel precedente piano Garanzia
Giovani.
Lavorare meno, vivere meglio
Le tecnologie e i nuovi modelli di organizzazione
del lavoro sono opportunità
di guadagno di produttività ed efficienza
ma allo stesso tempo consentono
riduzioni e rimodulazioni d’orario
impensabili. Il paradigma contrattuale
dello scambio prestazione/salario
si è impoverito. La nuova relazione
contrattuale va ricostruita. L’umanità
è il valore più incontendibile dalle
macchine egli algoritmi e deve rappresentare
il valore di massimo investimento.
Per questo, la variabile “tempo”
non può essere il parametro principale
del riconoscimento del lavoro. Il
lavoro è sempre più un progetto e la rigidità
della collocazione dell’orario, 8
ore al giorno, 5 giorni lavorativi, 1.760
annue, ha sempre meno senso. Va assolutamente
resa flessibile attorno alla
persona che deve essere l’investimento
capitale e sociale prevalente. Occorre
costruire occasioni di occupazione
per le persone fragili e portatrici di disabilità
all’interno dei luoghi di lavoro.
Sono un valore prezioso e non una quota
“salva coscienze”. Occorre un modo
concreto perché disabilità e fragilità
I nodi sono sempre più
stretti: produttività stagnante,
gli orari di lavoro più alti
d’Europa e i salari più bassi
Semplificare le normative,
costruire percorsi di
emersione verso la legalità,
rafforzare l’attività ispettiva
diventino una responsabilità collettiva
e un passo fondamentale per il “dopo
di noi”, valorizzando le migliori esperienze
già esistenti a partire dalla buona
pratica dei budget di salute.
Costruire l’Italia delle competenze
Bisogna valorizzare il percorso professionalizzante
partendo dalle cose
che hanno funzionato. Alcuni percorsi
di qualità di Pcto (Percorsi per le competenze
trasversali e l’orientamento) e
gli Its, gli istituti tecnici superiori, come
ci ha rammentato l’Ocse, hanno dimostrato
un tasso di accesso al lavoro
stabile e di qualità (occupabilità) superiore
all’85 per cento delle ragazze e
dei ragazzi. Partiamo da ciò che funziona
e diffondiamolo nel paese. Colleghiamo
i percorsi professionalizzanti
al lavoro, rafforzando il rapporto tra
scuola, Its, università e lavoro stesso e
dando priorità all’apprendistato.
Formazione
Qualità, stabilità, forza contrattuale
del lavoro dipendono da quantità e
qualità dei percorsi formativi per occupati
e per inoccupati. E’ urgente il
diritto soggettivo alla formazione per
ogni cittadino/a e ogni lavoratore e lavoratrice,
indipendentemente dal contratto
(e dalla sua durata di lavoro).
Serve formazione di qualità che migliori
la sua capacità adattiva che la
renda efficace per tutte le generazioni
e le condizioni di partenza.
Diritto soggettivo alla formazione;
Libretto formativo per la certificazione
delle competenze;
Credito d’imposta sulla formazione.
Orientamento
Il nostro paese ha un forte disallineamento
tra le competenze richieste
e quelle offerte dai percorsi di istruzione
e formazione. Non esiste un investimento
forte sull’orientamento che consenta
a ragazze e ragazzi di costruire il
percorso giusto per dare soddisfazione
La variabile “tempo” non
può essere il parametro
principale del riconoscimento
del lavoro
Qualità, stabilità, forza
contrattuale del lavoro
dipendono da quantitàe qualità
dei percorsi formativi
alle aspirazioni di ognuno.
Partecipazione
I processi di innovazione e trasformazione
sono tali e “funzionano” se
coinvolgono le lavoratrici e i lavoratori.
Le economie e i sistemi industriali
avanzati fondano la loro forza sulla
partecipazione organizzativa e strategica
delle lavoratrici e dei lavoratori.
La nuova democrazia economica si
edifica sulla capacità dei sistemi economici
e industriali di alzare il punto
di incontro tra impresa e lavoro organizzato.
Questo è il terreno per dare
forza alla contrattazione, non solo come
luogo di composizione positiva dei
conflitti ma come terreno di costruzione
di sfide comuni.
Qualità e universalità
dei servizi pubblici
La qualità dei servizi in generale e
dei servizi per il lavoro nello specifico,
quando insufficiente, concorre alla
precarietà generale del lavoro, per
l’eccesso di burocrazia da una parte e
per i mancati servizi per il lavoro
dall’altra, oltre ai costi non produttivi
riversati sul sistema produttivo.
Il nostro paese è bloccato e la profonda
e grave spaccatura tra le speranze
e le opportunità di realizzarle aumenta
la frustrazione e il rancore. La
nostra rappresentanza diventa riconoscibile
e cresce se siamo capaci di praticare
una buona “gestione sociale
della speranza” (L. Floridi). A questo
scopo bisogna ricordare che il riformismo
è un metodo, una postura politica
che si costruisce su una nuova visione
del lavoro, delle relazioni sociali dei
poteri e del futuro. Anche le singole
proposte, a cui se ne possono e se ne
devono aggiungere altre, devono avere
la capacità di mobilitare e per questo
richiedono una nuova stagione di impegno
politico e culturale.
Il Foglio, 10 agosto 2022
7 Comments
Caro Sergio,
mi pare che la parte conclusiva dell’articolo di Marco Bentivogli, la stessa che tu riporti all’inizio del post, sia quella interessante sul piano che definirei etico. Ed è su questo piano che espongo alcune considerazioni.
Il lavoro è il motore di una società. Tutti i lavori sono importanti, in un modo o nell’altro, non esiste un lavoro che non abbia ripercussioni anche sulla vita di un altro essere umano. IQualcuno ti vende un limone e tu, a casa, lo userai per fare una spremuta e dissetarti oppure per condire un’insalata. Con quel limone il venditore ti ha dato qualcosa in cambio del tuo denaro. Che a lui servirà per acquistare altri limoni o altri beni utili alla sua vita. Lui interferisce con la tua vita e tu con la sua. Il lavoro è la forma più alta di partecipazione sociale, ma la cosiddetta società dei consumi tende a esaltare il momento dello spendere, anziché quello del produrre. In Italia poi il fenomeno dello svilimento della funzione sociale del lavoro è ancora più accentuato, a causa dei salari/stipendi troppo bassi e della precarietà che è divenuta quasi una regola.
Non sono particolarmente attratta dalle divise, ma ho notato, visitando paesi europei, ad esempio la Francia e la Germania, come essa venga indossata in modo impeccabile dal lavoratore che la possiede in dotazione. In Svizzera, mestieri e professioni appaiono sugli elenchi del telefono accanto al nome del cittadino: cuoco, falegname, insegnante, carpentiere, ecc. C’è un orgoglio che da noi non vedo. Forse, una delle ragioni è che in quei paesi esistono scuole professionali valide, che certamente è obbligatorio frequentare per poter svolgere quel dato mestiere. Certo, anche in Italia per determinati lavori esiste un attestato che ne permette l’esercizio, ma in alcuni casi è l’industriosità individuale a sostituire la preparazione professionale. Come sostiene Marco Bentivogli, occorre investire negli Istituti tecnici e professionali molto più di quanto non si faccia oggi. Ma il discorso che riguarda il lavoro, in questa epoca storica di transizione ambientale e digitale, è davvero molto ampio e la lunga esposizione di Bentivogli ce lo dimostra.
E’ urgente investire su quella cultura del lavoro che sola può rendere il cittadino consapevole del fatto che la sua opera fa crescere la società intera e non è soltanto fonte di reddito. “L’importanza del lavoro in una società” andrebbe inserito come materia scolastica, accorpata all’educazione civica.
Vignetta spiritosa, ahimé molto realistica.
A presto
Grazia Valente
Caro Sergio, come non concordare con Marco Bentivogli? Nel suo discorso vi sono programma e visione. Eppure, a mio avviso, non basterebbe per vincere. Nel dopoguerra, anche le forze socialdemocratiche e laburiste europee (non solo il Pci) traevano consenso dal “sogno di una cosa”: un mondo più giusto e più umano, fino a giungere a un mondo di liberi e di eguali. Lo Stato sociale era visto come lo strumento per dare concretezza all’utopia. Occorre, insomma, una sana retorica del riformismo, come direbbe Michele Salvati. Non basta il riformismo nudo e crudo. Anche perché le sirene delle destre traggono forza da cospicui interessi. Non sono pochi, ad esempio, coloro che vorrebbero continuare con il lavoro nero e con l’uso del contante. Danilo Di Matteo
Sicuro che Provenzano e Camusso (tanto per dirne due …) saranno d’accordo con uno che ha lasciato la CISL (che pure è la più avanzata forza sindacale) per disperazione?
A me quella di Bentivogli sembra integralmente la visione del lavoro proposta dal Jobs Act, e dai riformisti del futuro terzo polo.
O no?
A proposito dell’articolo di Bentivoglio qui sopra postato.
Tutti bravi a predicare, peccato che poi sono pochi quelli che provano a trovare un compromesso utile alla maggioranza dei lavoratori/trici. Ogni piccolo leader difende la sua posizione e continua a farci credere che non esiste altro “Dio”al
di fuori di lui e chi non è d’accordo sulle sue posizioni è un disfattista e un pericoloso nemico, Dovrebbe invece, secondo me, chiedersi, ma se la gente non mi capisce non sarò io l’imbecille? Buona giornata a chi legge Antonio De Matteo Pescara
Proviamo a scrivere e discutere di letteratura per distrarci un po’ dalla politica che, pur essendo la principale scienza umana, non può diventare, secondo me, l’unica ed oltretutto egocentrica ragione di vita? Ad esempio che ne pensano i frequentatori di questo blog della seguente mia riflessione, aggiunta a quella del grande poeta Salvatore Quasimodo?
“La poesia è la rivelazione di un sentimento che il poeta crede che sia personale e interiore, ma che il lettore riconosce come proprio.”.Concordo con quanto scritto sopra dal grande poeta siciliano Salvatore Quasimodo, premio Nobel per la letteratura 1959. Aggiungo: i sentimenti l’emozioni umane spesso sono comuni e condivisibili per fortuna e chi li sa illustrare in maniera eccezionale diventa poeta riconosciuto . Buona giornata a chi legge Antonio De Matteo Milano.
Una curiosità esaudita per chi non lo sapeva. Buona giornata a chi legge Antonio De Matteo Milano
Perché la scuola di musica si chiama “conservatorio”?
https://www.focus.it/cultura/curiosita/perche-scuola-di-musica-si-chiama-conservatorio
“Misurate ciò che è misurabile e rendete misurabile ciò che non lo è.” L’invito su scritto del grande scienziato Galileo Galilei dovrebbe esser osservato, a mio parere, da tutti noi esseri umani, ma soprattutto dai nostri politici che dovrebbero essere la nostra guida nell’attuale società. Misurare la nostra avarizia ed imparare a pesare la nostra bontà ci renderebbe sicuramente più altruisti. Se poi parliamo di Ignoranza la bilancia è da tarare ai massimi valori e non lo facciamo mai. Ecco basterebbe, secondo me, misurare e meglio i due valori da me ora menzionati per vivere in un mondo migliore che i politici dovrebbero indicarci al posto di promesse irrealizzabili ed accattivanti. Forse quest’ultimi dovrebbero cominciare a dire che per realizzare il motto di Galileo qualcuno deve avere e parecchi devono dare. Buona giornata a chi legge Antonio De Matteo Milano.