Chi si è commosso sul bell’articolo di Lorenzo Tosa (tantissimi, per fortuna) credo possa essere interessato anche a questa esperienza diretta di Adriano Sofri.
Sergio
Per vedere un re nudo occorre un occhio di ragazzino. Per vedere un buffone (cit.Lucia Annunziata) nudo – abbastanza nudista, anche, e fuori dalle aree riservate – può bastare un occhio stagionato. C’erano altre due condizioni, nella favola: non essere cortigiani, e non appartenere nemmeno all’opposizione di corte. E’ un privilegio che ho, non sono in carriera. Posso, alla sua maniera, dire stronzo a Salvini. O vile, per la tracotanza con cui parla degli inermi e disgraziati, “in crociera”, “la pacchia”, e con cui sbandiera dal Viminale, di passaggio, la busta dell’avviso di garanzia e la apre e se ne ride con gli spettatori, e poi chiama Aiuto! quando vogliono davvero processarlo, e si nasconde dietro il manichino grillino, come se don Giovanni avesse mandato Leporello dal Commendatore. Che sia Maramaldo, anche se non sa chi era Maramaldo – allora si informi, perché è il vero modello dell’Italiano di Prima gli Italiani – lo mostra da ultimo il rosario di irrisioni che ha sgranato sui cinquantadue naufraghi tenuti sul ponte per giorni e giorni, e “fino a Natale”, almeno: cristianissimo pensiero, evocare il Natale dai 40 gradi all’ombra di fine giugno.
Ho scritto la mia piccola posta e, penso, troppi altri non l’hanno scritta. Anche se non arrivano a proclamare stupendo l’abito dell’imperatore-buffone nudo, trovano che sia decentemente abbigliato. Trovano rassicuranti le felpe, le uniformi usurpate, le camicie stazzonate e i calzoni sottopancia tirati su a due braccia a ogni reimmersione nella ressa delle telecamere. La prima anestesia pressoché totale attraverso cui siamo passati è stata quella del presunto dibattito sul fascismo. Se il governo vigente fosse tendenzialmente fascista, e quanto fosse, oltre che sbagliato storicamente, pericoloso praticamente, paragonarlo al fascismo. Si è spiegato che il fascismo era un’altra cosa, altra cosa le divise dei Balilla e l’orbace dei gerarchi e le squadracce del ’21 e le leggi razziste del ’38 eccetera. Naturalmente, nessuno che avesse un po’ la testa sulle spalle si era mai figurato il ripristino dell’Opera Nazionale Balilla o l’invasione dell’Etiopia. Però si è riempito a vanvera del tempo e dello spazio, mentre succedevano cose. Poi è stato evidente anche ai ciechi che Salvini stava parassitando Di Maio e la sua armata di cartone e l’avrebbe presto ingoiato per sputarne il nocciolo, e allora è partito il nuovo dibattito: fra i fan di Salvini, che crescevano a vista d’occhio, e gli osservatori responsabili, impegnati a spiegare come qualunque parola appena chiara avrebbe fatto il gioco di Salvini.
C’è una terza onda di saggezza: avverte di smettere di evocare l’accoglienza dei migranti, perché “non si può accogliere tutti”. D’improvviso si ridiscute di migranti come se fosse il primo giorno. Si sono accorti che i migranti, specialmente se neri, e tanto più se percepiti, spingono la brava gente alla paura, al risentimento, alla rabbia. Al fascismo, in sostanza. L’ambigua fortuna del libro di Scurati, limpidamente dedicato ieri a chi ha combattuto il fascismo, spinge almeno a reinterrogarsi sulla tragedia politica e prima ancora umana che nel primo dopoguerra contrappose gli operai e i contadini ai reduci graduati e agli arditi. Dalla guerra spaventosa uscivano due fronti opposti con due opposti conti da saldare. Noi non usciamo da una guerra, benché ne siamo circondati. Usciamo (ci siamo in mezzo) da un radicale trasloco delle ricchezze e dei poteri. Siamo destituiti, al punto che il forte vantaggio relativo, di cui godiamo ancora, cede alla paura di quello che verrà dopo. La migrazione è il punto di condensazione di questa crisi tellurica. Occorreva, occorre ancora, affrontarne le radici e la portata universale, e distinguerla dagli esseri umani in carne e ossa che di volta in volta la risacca marina o i fondali dei Tir ci portano in casa. Con gli esseri umani non si può che accogliere, e meglio lo si fa, più si investe nel loro valore potenziale, più e meglio si assicura il proprio presente e il futuro dei nostri pochi figli. Il “problema” è altra cosa. Altra cosa l’inerzia, l’ottusità o il cinismo nei confronti di guerre appena più distanti, mattatoi come quello siriano, fonte di milioni di spostamenti, morti e mutilazioni, onde successive di fughe disperate. Da otto anni dura quel singolo mattatoio. Nessuno in Europa, tanto meno in Italia, ha voluto misurarcisi. Bisognava sporcarsi le mani, certo. Spendere, anche. Abbiamo speso più generosamente in Turchia, perché se li tenesse, dopo l’alluvione di un’estate. Più avaramente in Libia, motovedette multiuso, un ospedale da campo. A debellare la centrale jihadista che mandava a fare strage nelle città europee (non migranti, cittadini, del resto) abbiamo delegato qualche banda rivale nella guerra fra sunna e shia, e i curdi. Li abbiamo aiutati, stando attenti a non superare i confini dettati dall’ipocrisia: addestrare, tutt’al più rifornire in volo i bombardieri altrui. Abbiamo finto di rispettare rigorosamente la differenza fra rifugiati e migranti “economici”, per picchiare più duro (e insultare più brutalmente) sui secondi, cedendo sempre più anche sui primi. Abbiamo fatto come con la famosa guerra alla droga, che lascia scorrere la droga e fa guerra ai drogati. Stiamo facendo la guerra ai migranti, e ignorando le migrazioni. Abbiamo fatto finta che la questione del clima sia tutt’altro affare. Finché non abbiamo ceduto di schianto, e siamo al punto di chiederci se Minniti sia stato un Salvini, ma parecchio meno, o Salvini sia un Minniti, ma molto di più. Intanto le persone sono state lavorate, spinte a trovare dentro di sé, sempre più in fondo, qualcosa che non conoscevano, o che tenevano a bada. Si sono liberate. Non è “la rete”, successe anche quando la rete non c’era e nemmeno la televisione, che è quasi peggiore. E’ la combinazione fra uno spirito da anni Trenta, diciamo (per favore, non spiegatemi la differenza fra gli anni Trenta e il 2020) e la rete. Nei giorni scorsi, dopo che me l’ero cercata, ho fatto una modesta esperienza di una parte dello spirito pubblico. Ho attinto a questo scoperchiamento. Salvini in persona ha solo promesso querele: volentieri. Non così gli intervenuti, qualche migliaio, in un estemporaneo travaso dal vasto serbatoio del loro capitano. Sono un’avanguardia dell’avanguardia, dal momento che si sono presi la briga di venire a controinsultarmi. C’è una prima categoria di epiteti, moderata, diciamo: quelli che scrivono “Taci, vecchio pregiudicato”. A parte il tacere, che è un eccesso di zelo, sul resto d’accordo: sono vecchio e sono pregiudicato. Qualcuno perfeziona scrivendo “…pregiudicato di merda”, ma qui siamo già in una categoria successiva. Sempre in questa comprenderei la vasta messe di “Assassino” o “mandante di assassinio” e simili. Qui non sono affatto d’accordo, come potete immaginare. Ma una sentenza della giustizia italiana autorizza chiunque a chiamarmi così, se ne abbia voglia. (Avviso: la sentenza invece non autorizza a chiamarmi “terrorista”. I giudici temerari che ci hanno imputati e condannati si sono guardati dall’evocare l’aggravante del terrorismo). Anche qui, gli zelanti completano “assassino di merda”, e rientriamo nella categoria successiva. La merda è ubiqua, servita sola o come accompagnamento di altri epiteti. Aggettivata, caso mai: rossa, secca. Illustrata, molto illustrata. Uno di questi coprofili mi suggerisce di “cagarmi da solo, tanto una merda è una merda”. Un caso di esportazione della famosa autoreferenzialità. C’è un ricordo, come un rimpianto involontario, di olio di ricino. Anche “stronzo”, direte, evoca la coprolalia (per sineddoche, la parte per il tutto) ma il tempo l’ha allontanata dall’origine. Prossima categoria prediletta, connessa, se non altro per adiacenza: il culo. L’ossessione per la merda è surclassata da quella per l’omosessualità e la fantasticata sodomizzazione virile. Questa categoria comprende l’idea che gli intervenuti si fanno degli “africani” e della galera. “Affidati alle cure di uno di quegli africani che tanto adorate”. (Nelle citazioni della signora Carola Rackete, il tema è iperbolicamente variato). Galera, immaginata, augurata e, chissà, vagheggiata: “Ti mancano i tuoi compagni di cella femminuccia”, “L’hai scritto perché non vedi l’ora di tornare in quella cella dove ti sodomizzavano femminuccia”, “Parassita ti manca la cella dove te lo buttavano ogni sera”. Seriali gli esercizi penetrativi o espulsivi: “Ti meriti un missile in culo”, “Prova a infilarti la testa nel culo e vedi un po’ se ci entra”, “Sei un parto anale”.
Le minacce, fisiche e di morte, sono naturalmente numerose: impalato, in un vestito di zinco, di un brutto male che mi renda presto concime, una brutta fine in fondo al mare (qui c’è un’eco dell’attualità). Uno è legalitario: “Se me ne dessero la possibilità legale ti zitterei /sic/ definitivamente”. Nostalgia dei concorsi per boia. Parecchi annunciano di aspettarmi, fuori o a casa. Un paio si ripromettono di venire sulla mia tomba, uno “a pisciare”, un altro, massimalista, “a cacare”. C’è una vasta categoria di male informati: passo per assassino di carabinieri, di magistrati. Mi danno per “graziato per motivi umanitari”. Andiamo brevemente all’entomologia: zecca, naturalmente, “che andrebbe appesa per i coglioni”; “verme bolscevico”. Ci sono casi cortesi: “Di gente stupidità come lei signor Sofri non diamo importanza infatti come con le zanzare noiose le schiacciamo”. C’è, inevitabilmente, la categoria delle minacce ai famigliari, sono le sole che trasmetto alle autorità competenti. Ancora più inevitabili le evocazioni della madre, troppo banalmente triviali. Segnalo solo l’ossessione per la parola aborto. Uno, che si firma con un nome maschile, scrive, con un notevole trasferimento clinico: “Tu sei nato da uno stupro, in quanto tua madre batteva. Io ti avrei abortito”. Un obiettore di coscienza alla rovescia. C’è la categoria di quelli secondo cui avrei cercato i miei due minuti di notorietà. Siamo tutti un po’ meschini, ma sbagliano. Sono fuori concorso. Anche voi salvinisti spinti siete tracimati fin da me solo perché il mio amico Saviano, che è intelligente e spiritoso, ha visto il mio esercizietto di parodia e l’ha chiamato spiritosamente “l’analisi politica più lucida degli ultimi mesi”. Ecco, prima di chiudere la sommaria antologia citerò una frase extracategoriale che mi ha quasi commosso per il suo sforzo retorico: “Forse soffri di alzhaimer”. Amen.
Adriano Sofri, il Foglio, 8 luglio 2019
7 Comments
Ciao, Adriano.
Ti abbraccio forte, dopo aver letto di questa esperienza terribile occorsati.
Bisogna essere davvero forti per rimanere in piedi dopo aver subìto un tale vomito di parole. Ci vogliono risorse interne profonde e robuste. Le parole fanno troppo male. Per questo ti abbraccio forte, e ringrazio Sergio per il suo puntuale impegno divulgativo.
Io forse non so come si fa.
L’altra sera ero andato a buttare l’immondizia nel mio quartiere ultrapopolare, a Napoli, San Lorenzo, via Carbonara. Cercavo un bidone dell’umido, un’odissea (ci sono i lavori da anni, vabbè, diciamo che dunque c’è una ragione…) . Ad un certo punto mi sono fermato prima di attraversare, un po’ perchè cercavo di ricordare dove avessi visto l’ultima volta un “casuale” residuo di bidoncino dell’umido, un po’ forse perché di fronte c’è un bar dove vado spesso,e volevo vedere chi c’era, dei miei amici, dietro al banco. E tra me e me forse sussurravo qualcosa, che le labbra registravano e trasformavano in movimento e solitaria locuzione. Insomma, ero fermo, forse, tipo statua, e mormoravo pure qualcosa.
Ad un certo punto é passato un taxi, forse il conducente mi aveva visto da lontano ché sembravo uno spaventapasseri al vento, o un povero pazzo che parlava da solo, o solo (il che per i “forti” o “normali” é una colpa o vergogna) un uomo perplesso che non sapeva decidersi ad attraversare.
Insomma, il tassista è sfrecciato e, guardandomi, mi ha gridato : “ma pecché nun t’accide?” (ma perchè non ti uccidi?).
Ti racconto questo, Adriano, perchè per una fesseria simile (ma poi esistono “fesserie” nell’arcipelago violenza?) ho respirato male per una decina di minuti, non mi pareva vera questa cosa, ne cercavo le ragioni o qualcosa di simile, un’altra parte di me si rammaricava di non aver risposto, di non aver gridato, che so, cazzate come “ti segnalo!” (all’ordine dei tassisti).
Insomma, ci sono voluti vari minuti per riprendermi. Dunque credo di comprendere, Adriano,il tuo dolore, la tua ferita, lo schifo che provi nei confronti di questi vigliacchi. Ma queste persone sono capaci di amare un partner, un figlio, un parente, intendo con tenerezza e calore e gratuità? Io non so rispondere. Forse sanno farlo nella vita privata. Ma cos’è la vita privata? Quanto è privata ogni vita?
Esiste il privato (una volta si diceva: il privato è politico, e mai come in questi anni è vero) ?
Queste persone sono genitori o fratelli che , saputo dell’omosessualità di un congiunto, leverebbero ad esso ogni effusione affettiva? E se il figlio sposasse una “nera di merda”? Sarebbe tutto finito? Non si sentirebbero neanche nonni dell’eventuale nuovo/a venuto/a, perchè anch’esso nero/a di merda?
Che vita hanno queste persone?
Scusa lo sfogo sul blog, Sergio. Ma la storia di Adriano – la tua storia, Adriano – mi ha colpito.
Eppure, come mi diceva una cara, carissima amica filosofa che lavora ogni tanto all’Università – ex compagna di facoltà – , “il mondo è anche di queste persone”. È vero. È anche loro, il mondo, il suolo, l’acqua, il sole, le strade, tutto.
Dunque dobbiamo entrare nella loro frustrazione abissale e provare non a perdonarla, ma ad analizzarla.
Ancora un abbraccio stretto, Adriano!!
Massimiliano
Ma quali scuse, al contrario, grazie.
Bravo Massimiliano: bisogna rispondere all’offesa con l’analisi e non con una reazione uguale e contraria. Bisogna capire perché quel cervello ragiona così: offendendo e dileggiando. Forse dovrebbe provarci anche Adriano Sofri dall’alto della sua lunga esperienza; ma lui forse continua a pensare di essere dalla parte della ragione. La ragione poi e obiettiva? Io penso di no: ognuno ha la sua. Penso che il ‘compromesso’ sia l’unica filosofia vincente che ci permette di vivere decentemente su questa terra .
Abbraccio a tutti Antonio
Hanno ragione tutti e due,sia Massimiliano che Antonio. Io non conosco Sofri ,mai rimane la pena il dolore l’orrore e si anche la rabbia per l’infinita miseria umana.E la mia commossa solidarietà a Sofri.
Caro Sergio
sto preparando la valigia non per andare in ferie: ai vecchi pensionati non toccano più, ma per cercare di evadere dai problemi e dall’ ambiente solito. Ho scritto il seguente aforisma prima di partire.
La valigia
Sistemo e risistemo, ma poi mi sembra troppo: /
rigiro e ririgiro il complesso malloppo./
Ricomincio daccapo e velocemente infilo , ma poi mi stoppo./
Bisogna variegare gli indumenti purtroppo :/
come e quanto varieranno le stagioni al mio galoppo? /
Mi informo su Google e poi ricomincio, ma corro zoppo./
La voglia e la passione mi guidano e superano l’aggrappo:/
la Valigia è subito pronta come in spalla lo schioppo./
Comincia l’avventura ed in gola ho un groppo: /
tornero’ sereno e felice senza ritrovare alcun vecchio intoppo ?
Spero di aver controllato tutti gli accenti soprattutto sulle e , ma mi Auguro che dopo le ferie su questo blog si possano leggere sempre di più Pensieri e problemi personali che riguardano poi la nostra società e dai quali bisogna partire per migliorare questa ultima che ne ha estremamente bisogno. Un abbraccio a tutti e tanta serenità per i prossimi viaggi. Antonio
Grazie Antonio per aver condiviso (nel senso originario italiano, non nel senso che ci ha “rubato e imposto” Facebook! ) i tuoi pensieri e il tuo desiderio di trasformare l’esperienza in parole che si rincorrono, leggère, inseguendo una rima.
É anche questo un modo di aprire il blog al “personale” , come dicevi. Anch’io sono convinto che la politica debba essere anche “compagnia”,senso di non essere soli, non perché ci conforti o accompagni un’idea del mondo (che potrebbe, da sola, anche lasciarci isolati) , ma proprio nel senso di avere degli amici dì viaggio. Ben venga, sì, il “personale” su questo blog! … Come quando anche Sergio, ad es. , racconta frammenti della sua infanzia o della sua militanza. D’altronde ogni frammento personale, di chiunque, é storia nel suo senso più alto,anche se più nascosto.
Buona partenza, Antonio!
Massimiliano
Grazie Massimiliano. Fino a quando ci saranno giovani come te, La vita terrena continuerà a migliorare. Un abbraccio a tutti ed un Grande ringraziamento a Sergio che ci permette di scrivere su questo blog. Antonio