Da cittadini, aspettiamo con ansia la conferenza stampa di Mario Draghi, che domani tornerà a parlare agli italiani dopo un silenzio durato venti giorni. Il presidente del Consiglio ha molto da spiegare. Gli ultimi due decreti legge anti-Covid varati in sequenza tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 hanno stupito, confuso e in qualche caso irritato l’opinione pubblica. Soprattutto, hanno confermato una pericolosa evidenza. Parafrasando due celebri formule da Prima Repubblica: il governo sta perdendo la sua spinta propulsiva (Enrico Berlinguer), il quadro politico si sta sfarinando (Rino Formica).
L’anno era finito con il messaggio forte di Sergio Mattarella: «Questo resta un tempo difficile, nell’alternarsi di speranze e di nuovi allarmi. Si impone un’esigenza di chiarezza e di lealtà come premessa indispensabile di una piena e comune assunzione di responsabilità di fronte ai rischi che sono tuttora davanti a noi. Abbiamo visto come la chiarezza, di fronte alle asprezze della pandemia, abbia spazzato via il tempo delle finzioni e delle distrazioni…». Purtroppo dobbiamo riconoscere che nelle ultime scelte dell’esecutivo è mancata proprio la chiarezza. Per restare al discorso del Capo dello Stato: hanno prevalso “finzioni e distrazioni” proprio nel momento in cui a tutti gli italiani è richiesta una “comune assunzione di responsabilità”. Sono tante le risposte che ci aspettiamo da Draghi. Vorremmo capire perché, proprio nel momento in cui il virus riprende forza e Omicron si diffonde, la politica lanci segnali così contraddittori.
Vorremmo capire perché, nonostante le promesse che lo stesso premier aveva fatto nel penultimo Consiglio dei ministri, l’ultimo Cdm abbia invece rinunciato all’estensione del Super Green Pass in tutti i luoghi di lavoro che avrebbe coinvolto 23 milioni di persone.
Vorremmo capire perché sono state pensate regole così lunari sulle quarantene, con distinzioni incomprensibili e inverificabili tra non vaccinati e vaccinati guariti, vaccinati con due dosi, vaccinati con booster, vaccinati da più o di meno di 120 giorni. Vorremmo capire perché sono state varate multe ridicole per i No Vax, che pur mettendo a repentaglio la salute pubblica se la caveranno con 100 euro, meno di quanto pagherebbero per una qualunque contravvenzione stradale: come ha detto giustamente Martina Benedetti, l’infermiera simbolo della prima ondata di coronavirus: vale così poco, la nostra vita? Vorremmo capire perché, dopo due anni in trincea a combattere l’agente patogeno, siamo ancora costretti a stare in fila ore e ore per un tampone, senza neanche sapere più se l’antigienico serva a qualcosa o se invece valga solo il molecolare.
Vorremmo capire perché i medici e gli infermieri sono di nuovo allo stremo: non abbiamo assunto nessuno, nel frattempo? Non abbiamo creato nuovi posti letto? Non abbiamo comprato nuovi macchinari, maschere d’ossigeno, caschi, Cipap? Vorremmo capire perché, dopo aver passato mesi a ridere dei banchi a rotelle targati Conte-Azzolina, sulla scuola siamo sempre all’anno zero, ma stavolta a parti invertite rispetto alla stagione passata, con il governo che vuole tenere aperte le aule e le Regioni che le vogliono chiudere. Per essere chiari: siamo felici che il ministro Bianchi ora difenda a spada tratta la didattica in presenza, perché due anni di Dad hanno devastato i nostri ragazzi, ma se da Zaia a De Luca tutti i governatori lanciano l’allarme-contagio tra gli studenti vuol dire forse che nei venti mesi trascorsi non è stato fatto nulla per mettere in sicurezza gli istituti scolastici, tra impianti di areazione, distanziamenti, mascherine? Vorremmo capire, infine, perché non siamo in grado di compiere una volta per tutte l’ultimo miglio, adottando subito l’obbligo vaccinale per tutti saltando a piedi pari l’ennesimo gradino degli over 50: lo chiedono ormai persino gli scienziati del Cts, cos’altro aspettiamo?
Potremmo continuare, ma per carità di patria ci fermiamo qui. Per tornare alla pedagogia quirinalizia: è tempo di costruttori, non di distruttori. Il governo va aiutato, non sabotato. Ma quello che ci aspetta in questo 2022 non è molto più agevole di quello che abbiamo alle spalle. Per questo Draghi, persino più di chi l’ha preceduto, ha il dovere della coerenza e della chiarezza. È al momento la risorsa migliore di cui l’Italia può disporre, come abbiamo detto e scritto più volte. Purché abbia la volontà personale e l’agibilità politica per esprimersi. Quanto valga questo “Fattore D”, rispetto alle emergenze del Paese, lo spiega con chiarezza il report di Goldman Sachs di cui ha scritto ieri Stefano Lepri. Con un quadro istituzionale invariato, l’Italia riuscirà a spendere almeno il 60 per cento dei 39 miliardi di aiuti a fondo perduto erogati dalla Ue con il Next Generation Eu. Con Draghi che trasloca da Palazzo Chigi al Colle, visti i tempi di formazione del nuovo esecutivo, la nostra capacità di spesa si riduce al 30 per cento. Con le elezioni anticipate, il “tiraggio” dei fondi europei crolla addirittura al di sotto del 15 per cento. E qualunque ritardo nell’attuazione del Pnrr, conseguente alle dimissioni del premier, ridurrebbe la spinta alla crescita del Pil dello 0,1 per cento nel 2022 e dello 0,35 nel 2023. Sono valutazioni spannometriche di una banca d’affari. Per inciso, quella nella quale Draghi è stato vice chairman e membro del comitato esecutivo tra il 2002 e il 2005. Ma hanno un fondamento reale, confermato dall’attenzione con la quale le cancellerie (vedi Emmanuel Macron negli ultimi giorni) e i mercati internazionali (vedi il rialzo dello spread nelle ultime settimane) seguono i destini del premier. E ci riportano alla domanda delle cento pistole, che la stessa Goldman Sachs ha riassunto con il titolo di una canzone famosa dei Clash: “Should I Stay or Should I Go?”, cioè “Dovrei restare o dovrei andare”?
È verosimile, anche se non auspicabile, che Draghi eviterà di rispondere in modo esplicito anche domani. L’ha già fatto alla conferenza stampa di fine d’anno, che è stata comunque vissuta e/o subita dai palazzi romani come la sua implicita autocandidatura alla presidenza della Repubblica. Ma questo è ormai il nodo intorno al quale tutto si sta aggrovigliando. Ed è anche per questo che il dovere della chiarezza di cui ha parlato Mattarella nelle scorse settimane diventa ancora più cogente e urgente. Per tutti. Non solo per il premier, ma anche per la sua maggioranza. Non sarà domani? Pazienza. Ma è tempo che Draghi dica cosa vuol fare di sé, e che i leader di questa già logora “unità nazionale” dicano cosa vogliono fare di lui.
Tutto sommato, stavolta abbiamo dimostrato di essere un popolo unito, serio e solidale. Ma l’emergenza resta, la “Covid-fatigue” cresce. Va fronteggiata da un governo credibile, non da un governicchio pre-elettorale. Capace di decidere, di agire, di convincere. Solo così si prosciuga il mare torbido nel quale ancora sguazzano i NoVax-NoPass-NoBrain. Ieri alcune centinaia di questi comici spaventati guerrieri sono tornate a riunirsi proprio a Torino, sotto le insegne di un penoso “nuovo Cln” che suona come un vero oltraggio a chi la guerra per la liberazione l’ha fatta davvero, rimettendoci anche la vita, e non contro Mattarella, Draghi e i suoi ministri, ma contro Hitler, Mussolini e gli squadristi neri. Li guidava un sedicente leader. Ha assimilato il “regime fascista al regime draghista”. Ha equiparato il direttore della Stampa di oggi a quello della Stampa del Ventennio, Concetto Pettinato, che fu insediato dal Duce alla guida del giornale. Deliri di poveri complottisti. Cronache di ordinaria follia. Voglio rassicurare il “Subcomandante Mattei” e le sue centinaia di anime perse: questi vaneggiamenti da strada non ci fanno paura e non ci fermeranno. E se l’Italia di oggi fosse davvero una dittatura questi patetici “partigiani” non starebbero a urlare scemenze in piazza Castello, ma a subire torture in via Tasso.
Massimo Giannini, La Stampa, 9 gennaio 2022
2 Comments
Non è Draghi a dover chiarire le sue intenzioni (lui sta già facendo, egregiamente e non senza difficoltà, il lavoro a cui è stato chiamato).
Sono i partiti che devono trovare un accordo su un nome condiviso o andarsi a scontrare in un voto alla cieca in Parlamento.
Sarebbe da incoscienti, ma tutto dipende dall’interesse che si ha a che Draghi finisca il lavoro per cui è stato chiamato.
Certo è che chi non lo vuole a Palazzo Chigi lo manderebbe volentieri al Quirinale …
Facciamo un giochino, frequentatori/ tri ce di questo libero e democratico blog. Ecco qua.
Chi non vuole il professor Draghi al quirinale con chi vorrebbe sostituirlo secondo voi?
Io ho già detto la mia, Sergio tace su questo argomento e tra tutti quelli che scrivono su questo spazio non viene fuori nessun nome , mi sembra. Vi do un altro aiutino: nel sondaggi attuali al primo posto per la carica di capo dello Stato, gli italiani mettono l’attuale Primo Ministro professor Mario Draghi ed al secondo posto nella classifica suddetta chi c’è?
Se a chi non vuole Draghi al quirinale va bene la strategia e riesce ad eleggere il personaggio che dovete indovinare, secondo voi, chi andrà a fare il capo del governo, visto che quasi certamente Draghi non accetterà di guidare un governo senza tutti i partiti attuali? Non è complicata la soluzione, anzi mi sembra abbastanza semplice e vi do un ancora un aiutino. Chi non vuole assolutamente spostare Draghi dal governo attuale secondo voi come pensa di “difenderlo”
se la maggioranza politica che lo sostiene si spacca?
A scanso di equivoci io ribadisco Draghi al quirinale è la migliore salvezza per l’Italia e per l’Europa e glielo auguro con il motto del grande Nino Manfredi: “in culo alla balena”. Buona giornata a chi legge su questo comunicativp e molto letto blog. Antonio De Matteo Milano