Michele Serra, La Repubblica, 5 aprile 2022
Quelle foto e il dovere di non chiudere gli occhi
Le immagini dell’eccidio di Bucha, sorrette anche da numerose testimonianze sul campo, spiccano nell’enorme mucchio di informazioni dall’Ucraina per la loro atroce evidenza. Mostrano crimini di guerra, concetto che tenta di indicare un limite, etico e giuridico, perfino alla violenza – già orribile nei suoi presupposti – di una invasione armata. Sono, queste fotografie, il salto di qualità che fa vacillare ogni tentativo di interpretazione “razionale” di una guerra, ricacciandola in una dimensione bestiale, verrebbe da dire disumana non fossero uomini tanto i carnefici quanto le vittime. L’umano, sapete, è anche questa capacità di macellare le vite degli altri. In questo caso: vite di ucraini macellate dalla guerra di invasione russa.
Precedenti “gocce che fanno traboccare il vaso” (la pulizia etnica a Srebrenica, il massacro nel villaggio vietnamita di My Lai, l’uso di armi chimiche in Iraq e in Siria) ebbero un forte impatto sull’opinione pubblica mondiale. Ma la loro documentazione fu parziale e tardiva, per ragioni tecnologiche prima che politiche: quei crimini avvennero in un’epoca precedente, nella quale il web doveva ancora nascere, i social non esistevano, la comunicazione non era materia spicciola e globale e l’informazione era ancora un prodotto “professionale”, con tutti i suoi limiti di controllo politico ed economico; e però con qualche vantaggio, come dire, di competenza, di vaglio delle notizie. Un mestiere è un mestiere. Oggi in tempo reale milioni di immagini, miliardi di parole di commento allagano i nostri video portatili. Conosciamo ormai fin troppo bene gli svantaggi di questa condizione. Ogni minimo attore della comunicazione globale, il più insulso, il più incompetente, il più fazioso, si sente autorizzato a dire: non è vero. E’ un falso. Una montatura. Non ci credo. Mi fa comodo non crederci, e mi risulta troppo scomodo crederci. Negare la realtà, facoltà un tempo delle caste di potere, dei sacerdoti, dei manipolatori di corte, oggi è una facoltà a disposizione di tutti. La menzogna è, diciamo così, una conquista del popolo. Terribile constatazione: la menzogna è una conquista del popolo.
Ma la domanda che dobbiamo farci, davanti ai poveri cristi di Bucha, è se questo smercio velocissimo, indiscriminato dell’orrore non abbia anche, per risarcimento, dei vantaggi. Se, cioè, la fulminea percezione “porta a porta” del massacro, la pervasività della comunicazione, perfino la sua dozzinale gratuità (lo spettacolo della morte non costa niente!) non abbia anche un effetto deterrente. Il potere non può più contare sul segreto. Non può più confidare nella sua impunità. Tutto è in piazza. E se questa mutazione del mondo in chat, lo sappiamo bene, comporta anche un formidabile stimolo all’idiozia, alla presunzione, alla manipolazione, dobbiamo anche credere, sperare, volere, disperatamente volere, che il “tutto è in piazza” comporti anche, per i potenti della Terra, un problema in più. Le porcherie non possono più contare sul nascondimento.
Non c’è più scelta, siamo costretti a fidarci di noi stessi (che azzardo!). Il gioco è aperto a tutti, e a ciascuno di noi sta il compito – direi il dovere – se credere in quei cadaveri casuali, in quei motorini rovesciati, in quei cani che aspettano il destino accucciati accanto al cadavere del padrone. Oppure non crederci, perché così ci va di fare: a patto di prenderci la responsabilità di non credere al dolore degli altri, alla morte degli altri. E’ vero, tutti hanno facoltà di non credere. Ma questo vuol dire, anche, che tutti abbiamo la facoltà di credere. E di non chiudere gli occhi. In questo conflitto tra empatia e diffidenza (e tra umiltà e presunzione) sta il futuro del mondo.
4 Comments
C’è la guerra guerreggiata, con i soldati inquadrati in eserciti o in gruppi di resistenza che sparano, avanzano e arretrano, muoiono. C’è la guerra raccontata, che vediamo in televisione, che leggiamo nei resoconti giornalistici sempre più ridotti a forbite didascalie delle immagini. I foto-reporter sono i veri protagonisti di questa guerra, i veri confezionatori delle notizie. Sempre più si dice: una foto vale più di cento articoli. In realtà l’immagine sostituisce la notizia scritta o recitata non perché la semplifica in conformità al nostro modo di consumo dell’informazione sempre più onnivoro, frettoloso e “oggettivo” ma per la capacità del fermo-immagine di catturare l’attenzione trascinandoci, per la sua forza emotiva, nell’ “istante” risparmiandoci -questo è il punto- ogni fatica di approfondimento. E’ l’istante che si dilata sino ad animare magicamente un intero scenario di “immaginario”. Le parole, come le didascalie, non potrebbero mai smentire il “dato”, l’assecondano.
In questa guerra non c’è un prima e un dopo, prima la guerra e poi il racconto della guerra. C’è uno strano scambio dei due livelli. A volte il racconto, seguendo un principio non ancora chiaro, anticipa il fatto. Altre volte, se i fatti non possono essere documentati vengono ricostruiti, ri-allestiti secondo un copione che, di per sé, sfugge alla regola della verificabilità delle notizie.
Non vogliamo ammettere che la guerra, quando è alle porte di casa, è la pianificazione delle atrocità, più delle volte è l’anarchia della violenza. Se non riusciamo a fermarla, per esorcizzarla, costruiamo la fabbrica degli eroi e la fabbrica dei mostri.
Dopo la pioggia viene il sereno
brilla in cielo l’arcobaleno.
È come un ponte imbandierato
e il sole ci passa festeggiato.
È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede, questo è male
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa sì che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra
Il desiderio del grande poeta e pedagogista, Gianni Rodari, resta però purtroppo solo sulla carta. L’eccidio, in questi giorni, di Bucha è solo uno dei tanti macabri e feroci esempi. Gli esseri umani fanno la pace solo dopo la guerra sempre da quando esiste il mondo per sfogare il loro istinto assassino. Continuiamo Però ad alimentare il desiderio del poeta: qualche guerra in più riusciremo ad eliminarla e speriamo di fermare subito quella in corso tra Russia ed Ucraina isolando il feroce invasore Putin. Buona giornata a Chi legge Antonio De Matteo Milano
Ecco come si esprime, lo scrittore Leonardo Sciascia, nel romanzo Il giorno della civetta.
“Cercate la donna, insomma, diceva il giornalista: da buon giornalista e da buon siciliano; e invece, e avrebbero dovuto darlo come precetto alla polizia, in Sicilia, pensava il capitano, bisognava Non cercare la donna: perché si finiva sempre col trovarla, e a danno della Giustizia”.
Per distrarci dalla tragica guerra attuale in Ucraina e la pandemia da COVID-19, qualcuno mi aiuta a decifrare con parole povere, il testo suddetto del grande scrittore siciliano? Io l’ho letto e riletto tantissime volte, ma non riesco a trovare il Bandolo della matassa. A parte la mia ignoranza, sarà il mondo mafioso che il grande artista siculo descrive con grande e motivata attenzione a rendere necessario il linguaggio sopra scritto?
A proposito ancora dell’attuale guerra in Ucraina, ecco qua un altro autorevole parere, sul link allegato, del direttore del giornale “Avvenire” che, mi sembra, esprima un parere diverso da quello scritto dal serio, onesto e quotato giornalista di Repubblica, Michele Serra.
Tutte le idee umane hanno pari dignità, ma le proposte alternative a quella dell’Europa e degli Stati Uniti, per fermare il su menzionato conflitto qualcuno mi aiuta ad individuarle tra tutto quello che si scrive su questo blog ed altrove? Buona giornata a chi legge Antonio De Matteo Milano
Occhi e cuore per chi soffre e muore. (Al resto non credete e non fidatevi)
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-direttore-risponde-occhi-e-cuore