Sono stato a Riace nel 1965, laureando in architettura facevo parte di uno studio di Venezia specializzato in ricerche territoriali con il compito di fornire alla Cassa del Mezzogiorno una serie di ipotesi per il rilancio dello sviluppo economico della Calabria Ionica. Ricordo ancora la povera bellezza di quei paesi, non solo di Riace ma di tutto l’arco ionico che da Caraffa del Bianco sale verso la Lucania. Ricordo le porte aperte sulla strada che lasciavano vedere anziane signore intente all’antico lavoro del telaio. Ricordo le persone che, saputo dell’arrivo di tecnici inviati dalla Cassa del Mezzogiorno, ci attorniavano guidandoci a vedere le frane più grosse, le fiumare più pericolose, i monumenti incrinati e pronti a cadere. Per loro eravamo l’avanguardia di un futuro progresso legato alla mistica dell’industrializzazione, quello che aveva promesso la benefica Cassa. Nessuno di noi tutti poteva immaginare il futuro di questa terra: l’aumento dell’emigrazione, il fallimento dell’industrializzazione, la crescita della ‘ndrangheta e la conseguente desertificazione, tutti i progetti di quel tempo buttati al vento. Ci ricordiamo di Riace solo per i bronzi che, tra l’altro, non stanno lì ma a Reggio. Oggi Riace ritorna all’attenzione delle persone più sensibili al bene dell’Italia per via del suo sindaco: Mimmo Lucano. Questo scritto di Saviano parla di lui e del suo tutt’altro che utopico progetto. Sembra un’utopia davvero ma in realtà non lo è perché, a differenza dell’utopia, lo si può realizzare e Saviano, a dispetto del nostro ministro degli Interni e del governo tutto, ci spiega perché.
Andate a Riace! Quello che sta accadendo lì da anni deve essere misurato con le proprie iridi, sentito con i propri timpani, accolto tra le proprie braccia. Potrei come elemento d’approfondimento dire… ma andate a Riace! Bisogna riempirsi i polmoni di quell’aria. Il modello Riace è una cattedrale di libertà che innestatasi su un deserto lo ha reso florido di vita. Provate a fare un elenco di tutti gli argomenti utilizzati nella propaganda politica degli ultimi anni, metteteli in fila: gli immigrati invadono, portano malattie, tolgono lavoro a chi lavora, arrivano a far da schiavi, sono destinati a diventare le nuove leve criminali, i centri di accoglienza sono solo soldi in più alle mafie.
Queste argomentazioni genereranno lo stesso indignato stupore che ora gli studenti hanno quando scoprono l’apartheid, e che ci fu un tempo in cui uomini bianchi e uomini neri avevano i bagni separati, in cui sui tram c’era uno spazio per i white vietato ai black. Ma non siamo ancora in quel futuro, oggi dobbiamo impegnarci: tocca alla nostra generazione smentire le bugie sovraniste e populiste e farlo con costanza, forza senza temere l’ingaggio.
Ebbene, a Riace vi è la prova di quanto siano false queste asserzioni:
1) A Riace i migranti sono arrivati e hanno attivato un paese che era desertificato.
2) Non hanno portato epidemie, anzi hanno aiutato a rendere più salubre il territorio bonificando campagne, ristrutturando case umide, aiutando anziani in difficoltà e portando nuova e sana vita nel territorio.
3) Non hanno tolto lavoro, anzi ne hanno generato. Riaprendo scuole, ristoranti, laboratori in cui sono coinvolti molti italiani.
4)Non essendo stati accolti in un ghetto non sono divenuti manovalanza di mafie.
5) Le navi che li hanno salvati li hanno restituiti alla vita e a Riace non sono stati inseriti nella filiera del caporalato nei campi.
6) Non hanno sostituito la popolazione, anzi con il loro arrivo c’è stato anche un ritorno di alcuni emigranti calabresi.
7) A Riace l’accoglienza è stata gestita con spese di gran lunga inferiori a qualsiasi altro centro e ne è prova l’esiguità dei fondi impegnati.
A Riace vivono circa 1.700 persone che hanno accolto più di 600 profughi del Corno d’Africa, dell’Afghanistan, dell’Iraq creando una comunità in armonia. Tutto questo grazie al sogno di un uomo, Mimmo Lucano, di amici e collaboratori. Ma come è stato possibile che una piccola e dimenticata terra della Locride, circondata dalla potenza delle famiglie di ‘ndrangheta, divenisse un spazio di convivenza attiva, un luogo di gestione sano? Come nasce questo miracolo? Il cambiamento in meglio di questo territorio è stato proprio innescato da uno sbarco. Uno sbarco vissuto come una rinascita e non come un guaio da subire.
Era il 1998. Sulla marina di Riace si arena una nave: sopra ci sono 66 uomini, 46 donne e 72 bambini.
Scappano dalla Siria, dall’Iraq e dalla Turchia, diverse nazioni ma sono tutti di un unico popolo: sono curdi. A Riace sbarcano e vengono accolti, e iniziano ad essere sistemati nella parte alta della città. È quasi deserta, sono tutti emigrati negli anni da un borgo dove si vive di agricoltura e pastorizia. La mattina dopo lo sbarco i bambini che parlano ad alta voce, le madri che li richiamano, gli uomini che iniziano a sistemare le case fanno svegliare i riacesi con stupore: il paese è tornato ad avere i suoni della vita.
Mimmo Lucano, all’epoca non ancora sindaco, vede che il paese inizia a respirare, è un’occasione per costruire uno spazio di giustizia. Unire due disperazioni: l’abbandono calabrese e la ricerca di una vita diversa, energie che diventano lievito. Mimmo, sostenendo la idea di aprire le porte a chi vuol costruire, vivere, fare, diventa sindaco e inizia ad accogliere. E dove li mettono?
Nessun hotel in disuso, nessuna caserma diroccata. Da Riace sono partite negli ultimi cinquant’anni migliaia di persone dirette in Argentina, Canada, Usa. Mimmo raggiunge i nipoti, i figli degli emigranti calabresi e chiede se sono disponibili a dare le loro case. Tutti rispondono sì. Si passano il testimone, l’assioma è chiaro: noi fummo costretti ad andare via per cercare una nuova vita, ora chi arriva a Riace cerca ciò che noi abbiamo trovato attraversando l’Atlantico. Le case sono state ristrutturate, il modello Riace ha iniziato a vivere. Insieme migranti e riacesi hanno riattivato gli uliveti ormai abbandonati e nascono i vigneti in terre che non davano più niente perché troppo costoso coltivarle. Gli anziani del paese che hanno i nipoti lontani sono diventati i nonni dei bambini arabi e africani che ormai parlano tutti con accento calabrese.
Mimmo subisce le intimidazioni della ‘ndrangheta: nel 2009 gli avvelenano i cani e sparano ancora, questa volta vicino a palazzo Pinnarò, la sede di Città Futura dove si coordinano i progetti. Ma le famiglie ‘ndranghetiste vedono che la comunità a protezione di Mimmo è forte e indietreggiano.
Nel 2016 arriva l’ispettore del Servizio centrale dello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati): a Riace resterà solo due giorni e al termine scriverà una relazione negativa segnalando «criticità per gli aspetti amministrativi e organizzativi». In 16 pagine segnala che il quadro di accoglienza è «estremamente confuso». Sostanzialmente la colpa è una: il sindaco tiene i migranti oltre i tempi del progetto. Dovrebbero essere cacciati una volta finito il piano e una volta finiti i soldi. Mimmo invece non li manda via.
La relazione negativa viene subito data da Il Giornale: parte così la macchina del fango che parla di “business Riace” e “Parentopoli” (Mimmo, con la sua scelta, si è separato e ha perso la sua famiglia che non vive a Riace). Gli ispettori della Prefettura reggina aprono la strada a un’indagine della procura di Locri che, dal 2017, è ancora in corso: Lucano è indagato per «abuso d’ufficio, concussione e truffa aggravata». Lo accusano di non aver rendicontato alcune spese, di non aver pagato le imposte sulle carte d’identità (poiché non avevano i soldi per i documenti, spesso li ha dati gratis ai migranti, e per questo li ha resi gratuiti per tutti).
Il 26 gennaio 2017, però, viene resa nota, dopo un anno di infinite richieste di Lucano, una nuova relazione fatta da altri ispettori che sottolineano il carattere unico del modello riacese: «Un microcosmo strano e composito che ha inventato un modo per accogliere e investire sul futuro».
Ma dopo l’indagine sono stati bloccati i fondi Sprarda parte della Prefettura e del Viminale.
Bloccare il modello Riace è l’assassinio di un corpo nuovo, di un modello di rilancio ammirato da tutto il mondo.
Fattiifattitoi è la versione mafiosa del menefrego squadrista. Riace, nella Locride, ha smontato questo imperativo culturale. Per provare a sostenere il modello riacese si può versare un aiuto, per dare ancora ossigeno in questi mesi in cui hanno bloccato i finanziamenti. Ecco le coordinate: Destinatario: Recosol. Iban: IT92R0501801000000000179515 Causale: Riace.
Codice Bic ( per bonifici bancari internazionali): CCRTIT2T84A.
Oppure si può fare una donazione con Paypal: utilizzate la app # Paypal; indicate come contatto per inviare la donazione la mail coordinamento @ comunisolidali. org.
Invito a donare: donate e andate a vedere che progetto il vostro impegno ha l’onore di sostenere.
Qualunque sarà il destino del nostro Paese, chi non si riconosce in questo governo, chi non si riconosce in ciò che sta accadendo, deve ripartire da qui.
È a Riace che bisogna andare, è da questa nuova Atene di democrazia che può rinascere un nuovo modello di prassi sociale. E dobbiamo esser pronti a mettere i nostri corpi a difesa di questo modello perché è da qui che può ripartire il percorso per un nuovo Paese. Mimmo Lucano ha provato a seppellire qui, in questo pezzo di terra brulla e argillosa, un raggio di sole. L’immagine è di Victor Hugo, a riferirla è un suo personaggio che, per descrivere l’operato del filosofo Averroè, parla proprio di un raggio di sole sepolto. Ecco, proprio dal filosofo arabo viene una suggestione in grado di smontare uno dei più violenti attacchi che il ministro Matteo Salvini ha fatto a Mimmo Lucano, definendolo uno zero assoluto. Salvini ovviamente non conosce la storia dello zero, concetto portato dagli arabi in Europa. Ebbene riporto le parole di Kaplan, storico dello zero, che seguendo una suggestione di Averroè dice: guarda lo zero e vedrai nulla, guarda attraverso lo zero e vedrai l’infinito. Mimmo Lucano è uno zero, come tutti coloro che stanno costruendo e vivendo a Riace. Ossia guardando attraverso di loro è possibile vedere l’infinito di una vita diversa.
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