Questa settimana L’Espresso pubblica un’inchiesta giornalistica sul nuovo premier, l’avvocato Giuseppe Conte, e fa un grosso scoop: l’avvocato Conte ha un passato oscuro.
Perché? Perché nel suo vero curriculum ci sono episodi torbidi: per esempio, sembra accertato che l’avvocato Conte abbia difeso alcune persone che sono finite in prigione. Cioè capite? – ha difeso dei detenuti!
Due giorni fa il vice di Conte ( almeno, così mi pare di aver capito…) e cioè Matteo Salvini, aveva accusato gli avvocati di essere una lobby. Perché?
Perché ha scoperto che sono tutti avvocati (e dunque sono lobby) coloro che difendono i migranti in tribunale. Voi sicuramente pensavate che i difensori fossero soprattutto ingegneri, medici, commercianti, spazzacamini.
Invece no: tutti immancabilmente avvocati.
Chiaro che c’è qualcosa sotto… Ho citato due casi clamorosi e di alto livello di disinformazione. Il caso del capo della Lega ( cioè del partito che, a detta di molti, ha preso la guida del paese) e il caso di quello che è stato il più importante settimanale laico e democratico del dopoguerra.
L’uno e l’altro ignorano l’esistenza del diritto alla difesa. E la cosa è abbastanza preoccupante.
L’uno e l’altro confondono imputato e difensore, e immaginano una società nella quale spetta ai magistrati decidere se uno è innocente o è colpevole ( o magari spetta ai giornalisti…) e l’intromissione dell’avvocatura non è altro che un elemento di confusione, di ostruzionismo, che appesantisce i processi e indebolisce i diritti dell’accusa.
Poi ciascuno, secondo le sue sensibilità politiche, decide con quali avvocati prendersela. Generalmente gli esponenti della destra, come Salvini, se la prendono con gli avvocati dei poveri ( a Salvini ha ampiamente risposto ieri, anche sulle colonne di questo giornale, Andrea Mascherin); l’Espresso invece – che vanta autorevoli tradizioni di sinistra – se la prende con gli avvocati dei ricchi. E’ di pochi giorni fa il “post” del vice direttore dell’Espresso Lirio Abbate, che copre di insulti un avvocato romano ( e minaccia di colpirlo con la mac- china del fango) accusandolo di essere al soldo dei boss. Perché? Perché questo avvocato ( che si chiama Cesare Placanica e che è anche il presidente della camera penale di Roma) ha assunto la difesa di alcune persone accusate di associazione mafiosa.
Né Abbate – per il caso Placanica – né gli altri giornalisti dell’Espresso – per il caso Conte – né tantomeno il vice premier Salvini – per i migranti – sanno che esiste non solo un diritto ma un dovere alla difesa. Non sanno, forse, che non si può svolgere un processo se non c’è un avvocato difensore. Che l’avvocato difensore ha il dovere di cercare per il suo assistito – colpevole o innocenteche sia: la maggior parte delle volte, statisticamente parlando, è innocente – l’assoluzione o almeno la condanna più leggera
possibile. Non è un arzigogolo intellettuale, una fissazione dei garantisti, o dei “buonisti”: è ciò che stabilisce la Costituzione di questo paese e di tutti gli altri paesi del mondo dove vige lo Stato di diritto e non una dittatura ( per la verità, qualche modesto diritto alla difesa esiste anche in alcuni stati dittatoriali…).
Perché ci appassioniamo a questo problema? Non solo perché il “Dubbio” è il giornale dell’avvocatura. Più semplicemente perché il “Dubbio” è un giornale. E i giornali, in regime di libertà e democrazia, a questo servono: a difendere i diritti, a vigilare contro le sopraffazioni, ad opporsi alle involuzioni autoritarie. Nelle posizioni di Salvini e dell’Espresso – che convergono nel loro scopo di mettere il bavaglio alla difesa, e lo fanno in modo persino ingenuo ( e probabilmente anche in buonafede) – c’è esattamente questa pulsione: a semplificare la nostra società, per governarla meglio, almeno in alcune sue “sezioni”. E per farlo occorre ridurre il diritto, soprattutto il diritto di chi ci sta antipatico ( che siano rom o finanzieri o Berlusconi non cambia molto) e poi il diritto in generale. Perché è il diritto a rendere le società complesse, e nella mente di un pezzo significativo di establishment e di opinione pubblica sta passando questa idea: la modernità deve essere riduzione della complessità. Il massimo della modernità è la fine della complessità. Modernità non è diritto. Modernità è etica ed efficienza.
Nella nuova compagine di governo questa idea è molto forte. Anche perché sta alla base della spinta popolare che ha portato al successo i partiti populisti. La Lega spinge più sul tema dell’efficienza. I 5Stelle sull’etica. La convergenza di queste due aspirazioni tende a fonderle e a renderle ancora più forti. Questo è il rischio che corriamo, oggi. Che l’idea che il Diritto sia roba novecentesca si faccia sempre più largo, e prevalga.
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