Finalmente abrogata la riforma Bonafede sulla prescrizione. E questo nell’ambito della più articolata riforma della ministra Cartabia incentrata sulla necessità di velocizzare il percorso dei processi civili e anche penali, così come ha chiesto l’Europa, ponendola come una delle fondamentali condizioni per l’erogazione delle risorse del Recovery.
I Cinque stelle sono riusciti a introdurre qualche modifica, e così pure il Pd e la Lega, al testo originario, che peraltro si configurava come un punto di equilibro tra i vari partiti che compongono il governo e che già era stato approvato da tutti i ministri. Tutto è bene quel che finisce bene. Adesso sappiamo tre cose che ci risultano chiarissime. La prima é che questo governo non cadrà. Nessuno osa metterlo in discussione soprattutto alla luce di due dati inoppugnabili. Il primo é relativo alla ripresa economica italiana che per la prima volta negli ultimi decenni appare più alta della media europea e più consistente di quello che era stato pronosticato. Il secondo é relativo al consenso di cui gode in Italia, in Europa e nel mondo, il presidente Draghi, nel Continente solo secondo a quello della Merkel, e mi fa piacere ricordare che da oltre dieci anni i socialdemocratici sostengono il suo governo. Poi esiste una seconda consapevolezza. E cioè che i referendum, lo sottolinea quest’oggi sul Corriere la Bongiorno, sono il secondo atto necessario per dare ali alla riforma Cartabia, con quella separazione delle carriere dei magistrati che i socialisti rivendicano da decenni e che il vertice dei magistrati e la maggioranza dei dirigenti del Pd tuttora osteggiano. Dai numeri delle prime settimane della raccolta firme é facile ipotizzare che il limite delle 500mila verrà abbondantemente superato. Poi se la Corte costituzionale non metterà zeppe, i referendum segneranno la formazione di un fronte garantista e di uno giustizialista che potrebbero anche frangersi contro il muro di coalizioni tutt’altro che solide e scontate e probabilmente spezzarle e ridisegnarle per l’immediato futuro. Infine la terza riguarda la malafede di Bonafede e dei suoi sostenitori. Se Bonafede voterà contro se stesso, cioè per la legge che abroga la sua, perderà la faccia. Se non voterà la riforma confermerà le sue impostazioni accusatorie, che puntano, abrogando sine die la prescrizione, a creare imputati condannati a vita senza sentenze definitive. Nell’uno e nell’altro caso l’ex ministro Malafede resterà una parentesi buia e il suo Travaglio interiore un’ulcera della democrazia.
Mauro Del Bue, l’Avanti online, 1 agosto 2021
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