Emanuele Macaluso, sabato lei compie 96 anni. Come aveva pensato di festeggiarli?
«A pranzo con cinquanta amici e compagni in un ristorante vicino al Senato. Invece sono chiuso in casa, come tutti. Ogni tanto mi affaccio dalla finestra del mio appartamento a Testaccio e butto lo sguardo su Piazza Santa Maria Liberatrice privata di voci e rumori. Non ci sono più i bambini che giocano, né gli anziani che passeggiano. Regna un silenzio assoluto. Stento a crederci, ma è così».
Cosa prova?
«Una forma di angoscia. Ho avuto una lunghissima vita, piena di grandi gioie e di grandi dolori, ma queste settimane mi sembrano tra le più terribili. Siamo dentro una vicenda che non ha precedenti. Il fatto inedito è che questo virus ci ha incarcerati, serrati nelle nostre case, senza nemmeno poter uscire per prendere un caffé, vedere un amico, chiusi dentro una vita che non è la nostra».
Lei cosa fa?
«Leggo continuamente. Ora sto rileggendo il carteggio tra i fratelli Sereni, Enzo, il sionista che poi morì a Dachau, ed Emilio, il dirigente comunista. Sono lettere molto profonde, che ci riportano a un tempo durissimo. Ho sentito il bisogno di riprenderlo dalla mia libreria. Poi leggo sei quotidiani e guardo la tv. Ricevo tante telefonate. Oggi mi ha chiamato Giuliano Ferrara».
Cosa la colpisce?
«Quando vedo le persone che girano con la mascherina non posso non pensare a quando mi ammalai di tubercolosi, nel 1941.
Avevo sedici anni. All’epoca era una malattia da cui difficilmente si guariva. Mi misero in un sanatorio, dove praticavano il pneumotorace, iniettando l’aria nei polmoni. Si trovava sulla strada che da Caltanissetta conduce a San Cataldo, in una posizione interna, e seppur fossimo a distanza di sicurezza, dalla finestra potevo vedere le persone che si coprivano la bocca con il fazzoletto per paura di contagiarsi con il bacillo di Koch. Proprio come adesso».
Lei ha vissuto la guerra.
«La guerra è la guerra. Ricordo i bombardamenti degli alleati dopo lo sbarco in Sicilia. Nella mia città, Caltanissetta, morirono centinaia di persone. Perciò mi commuovo quando vedo le immagini dei profughi siriani in fuga dal conflitto».
Come giudica l’azione del governo?
«Sto rivalutando Conte, un uomo privo di storia politica, ma che sta reggendo con molta dignità. È lucido. Non ha mai perso il controllo. Sta guidando il Paese nel mezzo di una tragedia collettiva. La stoffa del dirigente politico si vede nelle difficoltà».
E gli italiani?
«Noto con piacere che c’è disciplina. Certo, è una disciplina indotta dalla paura, ma i cittadini stanno affrontando l’emergenza con senso di responsabilità. Questo non sempre è stato così, nel passato».
Molti si ritrovano sui balconi a cantare.
«È una reazione bellissima. Un modo per farsi coraggio, e applaudire i tantissimi medici e infermieri in trincea. È come se gli italiani dicessero al coronavirus: non ci puoi cancellare del tutto, perché noi continuiamo a vivere».
Lei sarebbe favorevole al voto a distanza in Parlamento?
«Voterebbero col computer?».
È un’ipotesi.
«Vivo senza computer, e quindi non sono propriamente un esperto. Però, se si crea una possibilità, si faccia, per proteggere così le persone nell’emergenza. Certo non si può chiudere il Parlamento. Le istituzioni non possono andare in quarantena».
Quali saranno le conseguenze, una volta che questa storia sarà finita?
«Molto pesanti. Nessuno parla delle conseguenze che avrà sul sistema nervoso delle persone, sui tanti che forse perderanno il lavoro».
Cosa pensa dei molti meridionali che dalla Lombardia sono tornati al Sud?
«Li biasimo. Si muovono in un misto di paura, viltà, irresponsabilità, rischiando di portare il contagio nel Meridione. Oggi ho sentito Gianni Cervetti, il vecchio dirigente del Pci milanese. “Sei andato nella tua dacia in montagna?”, gli ho chiesto. “Sono sempre rimasto a Milano”, mi ha risposto. Così bisogna fare».
Il premier inglese Johnson non intende salvare i più deboli, i vecchi.
«Johnson è un bullo e il suo è un cinismo spaventoso. Come quelli che dicono “è morto, ma era vecchio”. Capisco che tutti abbiamo il nostro turno, ma qui muoiono persone che avevano vitalità, affetti, relazioni. Uomini e donne che avevano ancora qualcosa da dire».
Lei teme la morte?
«Mi spaventa la malattia. So che alla mia età ormai tutto è possibile».
Cosa potremo imparare da questa esperienza?
«L’umanità è esposta a tutto, anche all’imprevisto. La calamità può rivelarsi, alla fine, un momento di formazione. Tocca a ricchi e poveri. Tutti devono difendersi allo stesso modo, stando in casa. Ciò affratella, nel senso che in questo momento le categorie dell’avversario, del nemico, sono sospese. Lascerà qualche segno nella società, spero».
Come sarà alla fine il suo compleanno?
«Con mia moglie Enza, e la mia collaboratrice, Jolanda, ci mangeremo una tortina».
Concetto Vecchio, la Repubblica, 16 marzo 2020
3 Comments
Bellissima e istruttiva l’intervista di Macaluso.. Grazie Sergio!
Sì… gli anziani sono universi palpitanti di vitalità. Ci salvano. Ci migliorano.
A volte il solo loro volto è un’opera d’arte. Un’opera che rasserena la nostra isterica confusione acerba.
Massimiliano
Caro Massimiliano, le persone anziane, come me 70 anni. possono diventare come le opere d’arte, ma è normale che prima o poi spariscano, mentre è assurdo la morte di un giovane. Non c’è nessun sadismo se tra un vecchio-a ed un-a giovane, in condizioni critiche, si opterà per salvare la vita giovane: la natura vuole così. Come scriveva il grande Ugo Foscolo: “solo chi non lascia eredità di affetti poca gioia ha dell’urna”, Comunque Forza e coraggio: insieme batteremo il coronavirus e quella “buona donna” di sua mamma. Un grande abbraccio a tutti. Antonio De Matteo Pescara
Un abbraccio a te, Antonio!
Massimiliano