Napolitano non tradisce Gentiloni. Dà la fiducia ma attacca tutti – Claudia Fusani
Sotto accusa il Pd per le forzature e le opposizioni per la tattiche dilatorie. Il presidente emerito parla per 17 minuti, in aula cala il silenzio. L’appello per “la tutela della democrazia parlamentare e contro le derive antisistema”. Le parole di un uomo “innamorato dell’Italia”
“Mi pronuncio, con tutte le problematicità e le riserve che ho motivato, per la fiducia al governo Gentiloni, per salvaguardare il valore della stabilità, per consentire, anche in questo scorcio di legislatura, continuità dell’azione per le riforme”. Il presidente emerito Giorgio Napolitano impiega diciassette minuti per raccontare la storia nefasta di questa legislatura, la numero 17 per i cultori dei simboli. Per distribuire molte colpe e assai meno meriti, uno solo a dir la verità, aver almeno portato in fondo una nuova legge elettorale che però saluta con la domanda: “Siamo sicuri che questa durerà a lungo?”. Che supererà, ad esempio, un nuovo eventuale esame della Corte Costituzionale? Diciassette minuti per raccontare – viene da pensare ascoltandolo – la storia di un quasi fallimento. Per provare a tutelare ancora una volta la democrazia e il parlamento.
C’era molta attesa per la dichiarazione di voto di Napolitano alla fiducia sul nuovo sistema di voto che il Parlamento licenzia domani. Sono le regole del gioco con cui andremo a votare il prima possibile, anche perchè il governo Gentiloni ormai ha una maggioranza tecnica ma non più politica. Preceduto da un paio di comunicati molto critici quando la legge è stata in votazione alla Camera, l’intervento di oggi poteva essere, nell’auspicio di molti, la rottura totale con la classe dirigente di un Pd a cui il presidente emerito non risparmia critiche aspre da quando, quasi un anno fa, il referendum è stato affossato con il 60% di no. E in questa direzione sono andati almeno i tre quarti del discorso. Salvo poi la ripresa finale quando ha prevalso la ragion di Stato, “la salvaguardia della stabilità e la continuità, seppur ormai nell’ultimo scorcio di legislatura, dell’azione per le riforme”. Che è come dire l’alfa e l’omega della mission politica degli ultimi vent’anni di Napolitano.
Armato di bicchiere d’acqua, lente di ingrandimento, lampadina da lettura che illumina il foglio e fazzoletti di carta, quest’uomo di 92 anni che ha attraversato la storia d’Italia, primo figlio del Pci (riformista) a salire al Quirinale e, anche, a tornarci per il secondo mandato, ha dato una lezione di diritto parlamentare ma soprattutto di democrazia. Alla fine si può dire che abbia deluso tutti e compiaciuto qualcuno. Che è il termometro migliore per dire che sono stati fatti i giusti rilievi.
“Inaccettabile compressione”
Come sempre il discorso è scritto di suo pugno. I caratteri sono forse un po’ più grandi, per leggere meglio. E comunque si tiene la lente a portata di mano. Il presidente Grasso lo invita a parlare da seduto, dai banchi delle commissioni. In aula cala il silenzio. Se na va anche il costante brusio. Poca retorica, subito nel merito. Nei giorni scorsi è stato semplificato: “Napolitano attacca l’uso della fiducia”. E allora precisa: “Il dilemma non è fiducia o non fiducia, anche perchè non è mai stata affrontata, neppure dinanzi alla Corte, una obiezione di incostituzionalità della fiducia”. Il punto è un altro: “Si può far valere l’indubbia esigenza di una capacità di decisione rapida da parte del Parlamento fino a comprimere drasticamente ruolo e diritti sia dell’istituzione sia dei singoli deputati e senatori?”. La domanda sembra retorica: no, non si può. Anche se “c’è stato, nell’esperienza italiana, ricorso alla fiducia in occasioni e modalità molto diverse tra loro”, la domanda oggi deve essere: “Quali forzature può implicare e produrre il ricorso a una fiducia che sancisca la totale inemendabilità” di una legge “impegnativa e delicata” come quella elettorale?
“Basta pressioni su Gentiloni”
Ogni tanto fa delle pause. Fanno parte del senso delle domande e delle affermazioni. Ma può anche capitare, ogni tanto, di sbagliare foglio. E allora la pausa è leggermente più lunga. Il secondo passaggio chiave dell’intervento riguarda il Presidente del Consiglio. “Singolare e sommamente improprio – afferma Napolitano – ho giudicato far pesare sul presidente del Consiglio la responsabilità di una fiducia che garantisse la intangibilità della proposta in quanto condivisa da un gran numero di partiti”. Ognuno qui può leggere quello che conviene. “Qui Napolitano ha voluto dire che Renzi ha lavorato per colpire la popolarità di Gentiloni…” dirà poi il senatore Peppe De Cristofano, ex Sel, ora Articolo1-Mdp. Così come la legge elettorale, il presidente emerito non è emendabile. E dice solo quello che vuol dire: “Il presidente Gentiloni, sottoposto a forti pressioni, ha dovuto aderire, e me ne rammarico, a quella convergente richiesta proveniente peraltro da quanti avrebbero potuto chiedere il ricorso alla fiducia non già su tutte le parti sostanziali della legge, ma sui punti considerati determinanti, cosa che non ebbero il coraggio o la lucidità di fare”. Parole durissime rivolte al Pd e alla maggioranza.
Luci ed ombre della nuova legge
Napolitano dice di aver “apprezzato nel merito la scelta di fondare la nuova legge elettorale su un mix di proporzionale e maggioritario, nella scia della legge Mattarella del 1993”. Ma visto che la strada imboccata era quella giusta, tanto valeva proseguire sulla stessa strada prevedendo, come in quella legge del 1993, il voto disgiunto e la doppia scheda. Dal Mattarellum, rileva il presidente emerito, “sarebbe stato coerente mutuare anche la netta distinzione tra le candidature nei collegi e quelle nelle liste dei partiti”. E questo non è “davvero un semplice tecnicismo”. Era una delle modifiche richieste dalla sinistra (Art.1-Mdp). Che infatti applaudono all’uomo che troppe volte in questi anni hanno invece criticato.
Anche nei tempi ci sono luci ed ombre. I fautori della fiducia usano lo scudo dell’ “adesso o mai più”. Napolitano riconosce che “per circostanze ben note” la legge è divenuta “urgente”. Ma definisce “anomalia” il fatto che in Italia, eccezione in Europa, la legge elettorale sia cambiata così spesso e, soprattutto “alla vigilia di elezioni politiche generali”. E poi quella domanda, che è la sintesi di tutti i suoi dubbi: “Siamo sicuri che la legge ora in votazione abbia un fondamento sufficientemente solido da proiettarsi in un orizzonte di ragionevole durata?”
Ostruzionismo, il peccato di tutti
Napolitano dice, per l’ennesima volta, “basta all’ostruzionismo dilatorio o paralizzante in Parlamento”. Contro questo nemico della democrazia, dopo la presidenza Iotti, è stato fatto molto poco ed “assai di più doveva essere fatto se non fossero rimasti sempre nel cassetto progetti di riforma dei regolamenti parlamentari”. Le tattiche dilatorie e l’ostruzionismo sono quindi il problema, ma, si chiede, “è corretto sostenere che l’antiostruzionismo debba affidarsi solo a mezzi estremi, come il vanificare ogni ricorso alvoto segreto e il negare ogni libero confronto emendativo?”. Possono, questi, diventare precedenti gravi per soffocare il libero esercizio del Parlamento e della democrazia. Servono, quindi, “più funzionalità, efficienza e produttività nello svolgimento dei lavori parlamentari”. Tutto questo è essenziale “anche per contrastare rigurgiti di una campagna antiparlamentaristica che conta tristi precedenti in Italia”.
“Risalire la china”
Sono stati anni difficili. Una legislatura disgraziata nei numeri che lui stesso ha fatto di tutto per mantenere in vita, fino ad accettare il secondo incarico, in nome dell’agognata stagione delle riforme. E’ andata come è andata. Cioè male. La stanchezza triste sul volto del Presidente emerito ne è la prova. Gli effetti collaterali di questa stagione possono essere sono ancora peggiori. Napolitano chiede un nuovo scatto di orgoglio. E di responsabilità. “C’è da risalire la china della sedimentazione, in questi decenni, nella sfera della politica, di chiusure, faziosità e derive verso meri scontri di potere, e anche di personalismi dilaganti”. La prospettiva “non può che essere una: un nuovo senso comune di responsabilità, al di là delle alterne vicende della competizione politica democratica, e quindi della collocazione, in ciascun periodo, dei singoli partiti, in maggioranza o all’opposizione. Solo così possiamo fare i conti con la vera e propria crisi di sistema che stiamo vivendo, in Italia e altrove”.
Applausi dai banchi del Pd. Un po’ distratti i banchi del centrodestra. I 5 Stelle hanno il buon gusto, per una volta, di tacere. Strette di mano di Monti, Finocchiaro e altri. Diciassette minuti che dicono tutto. Andrebbero confrontati con il discorso della rielezione il 20 aprile 2013. Anche allora accettò, suo malgrado, in nome delle riforme e usò parole durissime contro un Parlamento che non era stato capace di eleggere il Presidente della Repubblica. La fiducia a Gentiloni, ma non alla legge – sospiro di sollievo per governo e maggioranza – è la firma politica di un uomo che resta, nonostante tutto, “innamorato dell’Italia”.
Tiscali, 25 ottobre 2017
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