Se, come scrive Michele Prospero, la nuova direzione di Repubblica intende aprire al Movimento 5 stelle, commette un grave errore politico e storico: dimostra di non aver capito la profondità della crisi italiana, le ragioni della decadenza dell’Europa, la trasformazione in atto degli assetti e degli equilibri del mondo a tutti i livelli.
Non è facile comprenderlo, ma noi stiamo attraversando un periodo cruciale della storia umana, dopo il quale niente sarà più come è stato prima. Parlavo prima dell’Europa: è stata al centro del mondo, sta diventando giorno dopo giorno una periferia incapace di far sentire la sua voce. Il vento della storia soffia altrove, basti pensare al nuovo, consolidato, ruolo della Cina come protagonista della politica mondiale.
Se non si capisce questo – la profondità del terremoto che ci ha investito, e continua a investirci giorno dopo giorno – diventa difficile orientarsi in quella piccola enclave della politica e della storia che è il nostro paese. Continuiamo a vivere in una condizione di opacità, come è accaduto negli anni di Renzi, scanditi da un rovesciamento sistematico di apparenza e di realtà – fino a quando la realtà ha presentato i conti, mostrando, con la catastrofe finale, quanto fossero inconsistenti le favole raccontate a un paese tanto risentito e disperato quanto voglioso di un cambiamento – qualunque esso fosse, da chiunque fosse proclamato, a patto che si trattasse di un cambiamento rispetto a un passato sentito, per molti aspetti giustamente, come un peso insopportabile da cui bisognava a qualunque prezzo liberarsi.
È in questo contesto che il Movimento 5stelle ha giocato le sue carte, vincendo la partita: presentandosi come il massimo promotore del cambiamento e il più efficace e intransigente avversario del passato, in tutte le sue forme. Una revolutio ab imis fundamentis, questo ha detto di voler essere il Movimento 5 stelle, e su queste basi ha vinto le elezioni , riuscendo a sfondare anche a sinistra, travolgendo tutto, compresi Renzi e tutta la sua corte.
Ma questo è il passato; se si guarda a che cosa è stato il Movimento 5stelle in questo anno di governo, all’alleanza con la Lega, ai provvedimenti che ha contribuito ad approvare, è facile constatare che di tutte quelle intenzioni rivoluzionarie non è restato niente, che anzi la situazione è peggiorata, che si è ripresentata in nuove forme: l’antico trasformismo italiano, scolpito con espressioni efficaci da un nostro notevole scrittore: si dice di cambiare tutto, per non cambiare niente.
Siamo nella palude come e peggio di prima, perché quando tutte le speranze vengono deluse, e in modo così profondo, tutto può accadere. Molti si preoccupano quando vedono che il consenso del governo non diminuisce ed hanno ragione; ma bisognerà preoccuparsi anche quando questo consenso comincerà a venir meno, perché si aprirà una stagione assai difficile e dagli esiti imprevedibili se non sarà pronta una nuova forza riformatrice e progressista in grado di corrisponderne alle speranze che il nostro popolo continua a nutrire, nonostante il profondo risentimento che lo domina e lo scuote.
Ma perché il Movimento 5stelle è arrivato a questo punto, diventando il contrario di quello che aveva detto di voler essere se fosse diventato forza di governo? Sono molte le ragioni di questo capovolgimento, alcune antiche, altre recenti e nuove.
Nella nostra storia c’è sempre stata un forte presenza di ribellismo popolare, che ha generato esplosioni a volte sanguinose. Non è un caso: il ribellismo è un fenomeno proprio di una nazione a lungo senza Stato e anche per questo priva di organizzazioni politiche in grado di trasformare il ribellismo in forza popolare strutturata e capace di lottare per il potere contrastando sul loro terreno le forze dominanti. Questa è stata nella nostra storia la funzione nazionale del PCI, anche rispetto alle tradizionali correnti socialiste: organizzare le masse, e spingere la loro lotta sul terreno dello Stato.
Una vera e propria rivoluzione, questa sì, che ha cambiato la storia dell’Italia, facendone una nazione moderna. Una storia lunga, gloriosa, finita quando è finita la politica di massa, e sono decadute le istituzioni in cui essa si era incarnata. E tutto ciò nel pieno di crisi e di trasformazioni che hanno mutato in forme radicali le concezioni dell’uomo e della società, della politica, con l’affermazione, sempre più profonda, di un individualismo concentrato su se stesso, incapace di parlare un linguaggio che non fosse quello della propria rivendicazione a tutti livelli, in una guerra di tutti contro tutti acuita in modo tragico dalla crisi mondiale apertasi nel primo decennio del nuovo secolo.
Il Movimento 5stelle è un aspetto di questo tradizionale ribellismo italiano, e in questo senso è un passo indietro rispetto alle forme della politica di massa proprie del XX secolo. Ma al tempo stesso si è nutrito di due elementi di novità, che lo hanno condotto al successo: dell’affermazione delle pulsioni individualistiche e del loro ulteriore potenziamento attraverso la Rete. La Rete non è infatti un luogo in cui crescano la solidarietà o la democrazia, anzi. Può essere – come è stata- il terreno dell’esplosione senza controlli dei peggiori istinti individuali e della formazione di dinamiche politiche autoritarie, o addirittura dispotiche , come la storia dei 5stelle dimostra ad abundantiam .
Questo non significa che la Rete non abbia mutato il carattere della politica italiana, dando nuovi esiti al ribellismo tradizionale: anzi. Con la magia della Rete c’è stata latransustanziazione del ribelle in cittadino e del cittadino in titolare del potere anche governativo, con la promozione di una schiera di homines novi, i quali oggi tutto vogliono fare fuorché lasciare il potere, al quale sono pronti a sacrificare tutto ricorrendo come stile di sopravvivenza ai riti trasformistici tipici della nostra tradizione.
La rivoluzione del Movimento 5 stelle si è risolta nella formazione e nella presa del potere da parte di un nuovo ceto politico e di governo privo di storia, tanto vorace quanto mediocre e del tutto inadeguato alle responsabilità che richiederebbe la direzione di un grande paese come l’Italia. È proseguito invece, continuando in questo l’esperienza di Renzi, un sistematico rovesciamento del rapporto tra apparenza e realtà, diventato ormai prassi quotidiana di governo. Basterebbe guardare una sola puntata di Propaganda live – la trasmissione televisiva più seriamente politica, oggi – per vedere in presa diretta come le parole e i fantasmi si sostituiscano all’azione reale, concreta. Anche in questo Renzi ha fatto scuola: fra Movimento 5stelle e modello renziano c’è molta più continuità di quanto non si creda.
Che tutto questo sia stato possibile grazie al sostegno di ceti e usando i risentimenti popolari è vero; così come è vero che la Lega di Salvini è peggio forse del Movimento 5stelle. Sono questi i problemi con cui fare i conti, certo. Ma di fronte alle trasformazioni del mondo cui si faceva riferimento all’inizio e alla profondità della crisi italiana, non è possibile ridursi a una politica mediocre: bisogna alzare lo sguardo. E non perché la tattica non sia utile; bisogna fare politica sempre, e bisogna farla nelle condizioni date. Ma questa tattica oggi non darebbe risultato.
Oggi bisogna lavorare ad altro: alla costruzione di una forza politica alternativa, capace di corrispondere alle speranze del popolo italiano, cercando di coinvolgere in questo processo anche il Pd, se è possibile. Una forza che deve alzare la bandiera del cambiamento – quello vero, quello reale, e in modo rigoroso, rigettando i miti, le chiacchiere, la propaganda della rottamazione renziana o della rivoluzione grillina.
Se il direttore di Repubblica intende scegliere la via di cui ha parlato Prospero, indebolisce questa prospettiva e, pensando di contribuire a salvare l’Italia, contribuisce a farla precipitare in una palude ancora più profonda di quella attuale.
2 Comments
Propongo una riflessione un po’ provocatoria di qualche giorno fa.
Non per fare polemica con Ciliberto (certamente non ne sarei all’altezza) ma per provare a proporre una vista un po’ più pragmatica del quadro politico italiano.
Non mancano i punti di contatto, ma io continuo a credere che, se non si vincono le elezioni, non si va da nessuna parte.
E, quando si vincono, bisogna incidere, anche se a molti fa male.
Quando ci abbiamo provato, dopo un po’ ci hanno (ci siamo) fermati.
Non siamo arrivati a questo punto per mala sorte, ma come conseguenza di atti deliberati (e per questo rimando al mio post: Il passato è passato?)
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Ma non è che il problema della sinistra in Italia sia proprio la sinistra?
Non è un calembour, anche se ne avrebbe voglia.
Diciamoci la verità: in Italia la sinistra “storica” è (ed è sempre stata) fortemente minoritaria: è stata (ma lo è sempre meno) visibile, riconoscibile nei suoi volti più noti di intellettuali, artisti, opinionisti, è stata (qualche volta) influente, quando quei volti riuscivano ad applicare i loro talenti alla critica ed allo smascheramento di destre davvero impresentabili, pacchiane, volgari, smaccatamente faziose ed aggressive.
Ma quella sinistra è mai stata davvero maggioritaria, seppur solo di maggioranza relativa? No, non lo è MAI stata.
E per un semplicissimo motivo: la società italiana nel suo complesso non ha ancora davvero metabolizzato la modernità, non è mai davvero entrata tutta nel XXI secolo, non ha mai sviluppato, come hanno fatto altre nazioni (Francia, Gran Bretagna, anche Germania) un senso civico compiuto, che rigettasse in modo definitivo i residui di fascismo, clericalismo, clientelismo, consociativismo, familismo (tutti “ismi” antipatici anche solo ad elencarli).
Prova evidente ne è che abbiamo per decenni lasciato crescere e diffondere il fenomeno e la cultura mafiosi, lasciandocene pervadere ed anche ferire in modo violento, sanguinoso, atroce.
Qui abbiamo pezzi dello Stato fortemente sospettati di collusione con la criminalità organizzata, infiltrazioni di cui affiorano tracce ormai su tutto il territorio nazionale, servizi deviati, attività di dossieraggio e killeraggio mediatico che non si sono mai fermate.
Qui abbiamo ancora dei Mussolini che, fieri del loro nome, si candidano alle elezioni e prendono pure voti; pensate possibile la candidatura di un ipotetico “Alfred (non dico Adolf!) Hitler” alle elezioni in Germania?
Sembriamo tolleranti e bonaccioni, ma spesso anche gretti ed egoisti; in realtà il tessuto sociale è in buona parte poco incline alle regole basilari della convivenza civile e democratica.
Ci si acconcia, ci si aggiusta, si cercano e si trovano spazi di sopravvivenza e di privilegio da cui non si viene snidati neanche col lanciafiamme (e nemmeno con l’esca farlocca del reddito di cittadinanza).
“Quaeta non movere”. Oppure “tutto cambi perché nulla cambi”. Motti nazionali.
Allora siamo senza speranza? Dobbiamo rassegnarci a questa mediocrità civile? Il Paese è irrecuperabile? Emigriamo in Portogallo, paese emergente?
No, non lo credo, e non per fare l’ottimista di maniera.
In realtà è il nostro concetto di “sinistra” che ha fatto il suo tempo. Non è più quella cosa là del Novecento, con i suoi riti, i suoi stilemi, le sue parole d’ordine, che oggi è sempre più marginale e minoritaria.
La sinistra del XXI secolo è dinamismo, progresso, fiducia nel futuro, voglia di mettersi in gioco, ed inoltre voglia di legalità, sicurezza, chiarezza dei ruoli e semplicità di rapporti tra Stato e Cittadino, attenzione alle mutevoli necessità delle persone, formazione continua. Meno vincoli e più opportunità per chi ha voglia di partecipare.
È maggioritario questo sentire? Non lo so, ma certamente lo è molto di più che la ottusa difesa di un mondo, quello del Novecento, che è scomparso per sempre.
Questa “sinistra moderna” oggi in prevalenza NON ha rappresentanza, non si riconosce in nessuna parte politica; sbanda, si ritrae, cura i fatti suoi, qualcuno prova a sperimentare cose all’apparenza nuove (come il M5S) per poi scoprire che nuove non sono affatto, anzi, e allora non vota, e in ogni caso non parla il linguaggio della politica tradizionale, forse qualcuno è persino attratto dai modi bruschi, volgari, ma sempre molto diretti, di un figuro come il truce Salvini.
Questi a mio parere sono tutti elettori da recuperare, elettori da convincere che, insieme, qualcosa si può fare. Però bisogna occuparsene: bisogna interloquire, bisogna stanarli, bisogna colpirli con una comunicazione diretta, efficace, non paludata. Bisogna avere il coraggio di uscire dagli steccati e cercare di stabilire un contatto.
È lì la “ciccia” dei voti da recuperare, non in una sparuta ed insignificante straminoranza di vecchi ruderi del Novecento.
La sinistra non sta a sinistra. Ecco di nuovo il calembour, ma non lo è.
Detto in chiaro, caro Zingaretti, il problema della lista “unitaria” non era dare il contentino a Pisapia o Speranza, o portare dentro una figurina di En Marche.
L’unità va cercata altrove: nei soggetti di cui ho cercato di tracciare un possibile identikit. Lì ci sono da recuperare milioni di voti. Ripeto: milioni, non decine di migliaia.
Quello è il terreno su cui giocare; altrimenti l’obbiettivo può solo essere di arrivare al 25% e costituire una visibile, ma del tutto irrilevante, forza di minoranza strutturale.
Chi ha paura di puntare spavaldamente al 40% NON ha possibilità di incidere sul momento che stiamo vivendo. Ci si arrende alla forza di quella parte di Italia che sempre ha saputo trovare in ogni modo il suo terreno di sopravvivenza.
Vogliamo provare a mettere insieme quell’altra parte del Paese? Non è impossibile: l’abbiamo già fatto in altre occasioni.
Si può fare, perché quel pezzo grosso di Paese moderno esiste per davvero e aspetta solo di essere rappresentato.
Bisogna riuscire a dargli voce. Con buona pace di quella “sinistra”, che starà pure a sinistra, ma che con la nuova sinistra ha perso ogni sintonia.
Le nuove tecnologie stanno rivoluzionando la nostra Esistenza e noi non possiamo non prenderne atto, onestamente, seriamente e concretamente. Gli urlatori, coloro che continuano a descrivere la nostra società prossima all’estinzione senza potere evitare il suddetto destino, devono essere smentiti resi inoffensivi e, se occorre e si può, ridicolizzati. Basta pensare al peggio, “al burrone“ avvicinando la nostra ‘fine” il più velocemente possibile ed eliminando così tutte le nostre pene e dolori. Io penso che bisogna tornare ad esaminare, alla luce del mondo tecnologico attuale, gli algoritmi, i sistemi di vita, adottati nelle attività lavorative di qualche anno fa. Ai tempi della mia gioventù lavorativa ( una quarantina di anni fa ) nel campo tecnico, dove esercitavo la mia attività lavorativa, quando usciva un prodotto nuovo della concorrenza non lo si demonizzava dicendo che era stato costruito da “comunisti“, “fascisti”, “ razzisti“, “incompetenti”, ma si portava nella nostra sala prove, dopo averlo acquistato per via traverse, e per qualche giorno si esaminava profondamente ed onestamente. Poi, con i dati alla mano, onestamente ed il più possibile realisticamente, si relazionavano i nostri tecnici venditori. Consegnavamo ai nostri venditori i dati e le proposte per convincere i nostri clienti ha scegliere i nostri prodotti. Mi ricordo le parole del mio primo capo quando provai a scrivere la mia prima relazione su un prodotto della concorrenza che furono le seguenti. “Signor De Matteo non deve denigrare il prodotto della nostra concorrenza a parole e per sentito dire, ma faccia una critica onesta e concreta evidenziando I lati positivi e quelli negativi del nuovo apparecchio concorrente. Lo confronti con un nostro prodotto simile che deve vincere realmente, tecnicamente ed economicamente”. Io penso che la politica debba tornare ad adottare l’algoritmo suddetto. Bisogna smetterla di demonizzare l’avversario esaminando le sue proposte concretamente, onestamente e senza odio o rivalsa. Il nostro obiettivo deve tendere a risolvere i problemi della nostra società con proposte che siano valide almeno per la maggioranza degli italiani/e . Faccio un esempio. Il nuovo presidente dell’Inps ha detto: “cercheremo i poveri nei luoghi che frequentano e li aiuteremo“ e la “sinistra“, il “centro sinistra”, il partito democratico Italiano cosa propongono concretamente? I poveri sono stati, sono e saranno una realtà da affrontare senza slogan. Grazie per l’attenzione e buona giornata a tutti Antonio De Matteo Milano