“Lei pensa che io sia scemo, vero? No, sono un uomo di partito”. Lo ha dichiarato Ugo Sposetti in una recente intervista. Non interessa qui a proposito di che cosa il vecchio tesoriere dei Ds, il fedele curatore dei cordoni della borsa e degli immobili dell’ex-Pci, abbia fatto questa dichiarazione. Ciò che interessa qui è la questione “scemenza”.
Perdere un partito
Ditemi come fa gente che viene da un partito granitico e meritocratico, avvezzo alla segretezza interna e guidato da persone di grande preparazione culturale, ad aver perduto tutto, una base elettorale vera e palpitante, il suo giornale e adesso pure una qualche credibilità nei consessi mediatici… Guardate certe dichiarazioni di Zingaretti, oppure l’ironia, quando non l’insofferenza, che prende i più di fronte alle apparizioni televisive di D’Alema o di Veltroni, o la feroce critica che piove da più parti di fronte all’insensato modulo strategico di Mister Bettini.
Oltre ad aver perso il partito stesso: infatti il Pd è ormai in mano agli ex-democristiani della vecchia Margherita, checché ne dica qualcuno che riconosce un fil rouge tra il vecchio partito delle Botteghe Oscure e la segreteria di Zingaretti. Qualche ex-margherito, ed ex-piddino poi ha pure provato a sfasciare la parte “ex-comunista” del Pd. Renzi aveva e ha un obiettivo: far dimenticare la sinistra al partito di sinistra rimasto attivo e consistente, distruggere il legame col passato anche soltanto cercando di proseguire a rottamare politicamente l’eco degli ex-comunisti.
La sinistra e i grulli
Molti anni fa Nanni Moretti disse: “D’Alema dì qualcosa di sinistra”. Si poneva così la questione ai dirigenti di un partito che si vergognava di essere stato quello che era stato. Forse il loro era il pudore del senso di colpa – in poche parole un’apoteosi di masochismo, o la necessaria ristrutturazione casalinga.
Qualche giorno fa l’amico socialista Ciuffoletti jr., per salutare l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi e ricordare la formazione del premier presso le scuole dei gesuiti, ha pubblicato su facebook un suo vecchio pezzo del 2013 in cui, tra le altre cose, scrive: “… a noi ci sono toccati i post-comunisti, da sempre noti per essere una razza di simpatici grulli”.
Davvero gli ex-Pci sono una razza di grulli, come dice un ex-socialista? Oppure, per autodefinizione, si tende a far passare anche soltanto l’ipotesi che al ruolo “uomo di partito” sia aderente la figura dello scemo?
Di questi tempi grami, in cui sotto Draghi tutti i gatti sono bigi e, per chiunque cerchi una via d’uscita al problema sanitario ed economico scatenato dalla pandemia, può apparire ozioso discutere di post-comunisti, molti sono tornati sul tema. Sarà il centenario dalla fondazione del Partito Comunista d’Italia (Livorno, 1921), oppure un interesse attuale per l’idiozia manifesta di alcuni epigoni che si cimentano più col ridicolo che con attualità politica e storia nazionale. Fatto sta che sembra ormai essersi realizzata la profezia che scrisse Antonello Venditti nella sua canzone forse più bella: Modena.
Venditti e Modena
Correva l’anno 1979 e Venditti scrive un pezzo scaturito dalla sua esperienza alla Festa de L’Unità nazionale di Modena, di due anni prima, 1977. Venditti coglie un aspetto profetico, attraverso una musica emotivamente coinvolgente e straziante e un testo ispiratissimo nella sua forza ermetica (cosa rara nel Venditti di quegli anni così popolari e di successo per lui – era da Ullalà che non si sentivano pezzi così evocativi).
Dice il testo:
Con le nostre famose facce idiote, eccoci qui.
Con i nostri sorrisi tristi, a parlarci ancora di noi
E non c’è niente da scoprire, niente da salvare
Nelle nostre parole.
Ricordi, libri da buttare, frasi da imputare
Di due bandiere dritte in faccia al sole.
Ma cos’è questa nuova paura che ho?
Ma cos’è questa voglia di uscire, andare via?
Ma cos’è questo strano rumore di piazza lontana,
Sarà forse tenerezza o un dubbio che rimane?
Ma siamo qui, a Modena,
Io resto qui a guardarti negli occhi, lo sai.
E non c’è tempo per cambiare,
Tempo per scoprire una nuova illusione.
La nostra vita è Coca-Cola, fredda nella gola
Di un padre troppo tempo amato.
Quanto valeva, aver parlato già da allora,
Quando tutto era da fare e tu non eri importante.
Ma siamo qui, a Modena,
Io resto qui, con un bicchiere vuoto nella mano.
E non c’è tempo per scoprire,
Tempo per cambiare cosa abbiamo sbagliato.
La nostra vita è Coca-Cola, fredda nella gola
Di un ordine che non abbiamo mai voluto.
Ma cos’è questa nuova paura che ho?
Ma cos’è questa voglia di uscire, andare via?
Ma cos’è questo strano rumore di piazza lontana?
Una nuova tenerezza o un dubbio che rimane.
Questa canzone (più e meglio di altre) parla del Partito Comunista Italiano, di quella compagine di persone che sono state per tanti anni fedeli a un’ideale, di quei grulli e scemi, ingenui forse, che hanno creduto nella possibilità di fare l’Italia migliorando piano piano gli italiani, di coloro che una volta persa la mamma-partito sono rimasti per sempre orfani.
I sorrisi tristi erano quelli di Berlinguer, le parole indifendibili quelle che stavano a metà del guado, tra il padre troppo tempo amato della rivoluzione russa e la Coca-Cola fredda nella gola. E poi un ritardo o un’anticipazione? Cos’è stato quel tempo mancato per cambiare? E tutto era stata un’illusione?
E la paura di crescere e far svanire il sogno, o il desiderio di fuga da un ordine non riconosciuto, da un’Italia sempre peggiore di come ce la immaginavamo.
Eccoci qua, in questa Modena, città-tempio della canzone e fenomeno di una condizione metafisica, simbolica, esemplare, con tutti i dubbi che scalpitano e spesso procurano dolore. Eccola qua tutta la nostra tenerezza. Quella di noi ex-comunisti italiani: scemi e grulli, con le nostre famose facce idiote…
Ma forse, in una qualche nuova forma, si paleserà di nuovo un rumore di piazza lontana. Chissà?
9 Comments
L’articolo che hai proposto, caro Sergio, è veramente un pugno nello stomaco di chiunque sia arrivato al PD dopo avere percorso tutto il viatico PCI-PDS-DS-PD
Retrospettivamente sembra di avere percorso una sorta di viaggio nel deserto, dove avanzando nello spazio tempo, le poche oasi pian piano sparivano ed il caldo anziché riscaldarci ci regalava solo un sudore appiccicoso ed insopportabile: in questi anni stiamo tutti invecchiando a chiederci se essere stati uomini di partito fosse un merito, un atto di coraggio o di idiozia.
La riflessione di merito dell’autore parte dalla consapevolezza che ci siamo – pian piano – persi un Partito: a me pare invece più triste la sensazione che ci siamo persi in un Partito di cui comprend(iam)o sempre meno le stesse ragion d’essere.
Noi che, figli di contadini, in paesi democristiani fino al midollo, fummo giovani studenti liceali (primi anni ‘70), poi universitari (fino al 1979) poi insegnanti, poi dirigenti scolastici, eravamo semplicemente felici di appartenere ad una comunità di uomini e donne culturalmente liberi che convivevano rassicurati “in un partito granitico e meritocratico”, e riconoscevamo con un senso di gratificazione di essere “guidati da persone di grande preparazione culturale” ( la grande diversità comunista conquistata sul campo!): per essere candidati a semplice consigliere comunale di un paesino di 2000 anime dovevamo superare un cursus honorum al cui cospetto un curriculum odierno impallidirebbe!
Effettivamente, ed ha ragione il compagno, fa specie vedere che tutti i nostri compagni di viaggio hanno perso la credibilità e l’autorità di un tempo: si può sorridere di scherno di D’Alema, Veltroni, Bersani, Fassino, ed ora di Zingaretti, che purtroppo non fa nulla per non apparire una marionetta nelle mani di Mister Bettini
Costoro sono al massimo in grado di sollecitare un po’ di nostalgia in noi più adulti, ma non sono in grado di smuovere alcuna passione nei giovani di cui, specie a sinistra, si sono perse le tracce.
Non sono d’accordo, tuttavia, che il Pd sia ormai in mano agli ex-democristiani della vecchia Margherita: questa affermazione rischia di sbagliare tanto in eccesso quanto in difetto, perché il dramma travalica ogni spiegazione politicistica!
Mi verrebbe voglia di dire, magari! Avremmo una leadership, un governo, cioè qualcuno al timone (in greco kibernan!): al contrario, qui si naviga a vista e non si capisce chi rema e verso dove!
Credo che sia un errore stare ancora a pesare un Partito come il PD con la vecchia bilancia capace di stabilire quanto di ciascuna vecchia tradizione ci sia in posizione dominante, anche perché, forse, sarebbe il caso di prendere atto che i grandi Partiti storici che si sono incontrati – compresi i socialisti! – sono spariti 30 anni fa!
Allora, qual è la mia analisi?
Che tutti i guai di un partito autoreferenziale stiano nel fatto che il PD abbia rinunciato man mano a svolgere una funzione da intellettuale collettivo, tipico di tutti i Partiti del secolo scorso – PCI in primis! -, per cui man mano che le decisioni venivano prese in conventicole sempre più ristrette, il ruolo degli iscritti si è ridotto fino a liquefarsi: ed abbiamo avuto il Partito liquido!
Ma questa devianza è stata colpa di una scelta soggettiva, di gruppi dirigenti innamorati del potere (anche!), oppure nasconde qualcosa di più profondo?
E qui io credo che bisogna fare un supplemento di immersione nella società contemporanea, che la stessa pandemia ha terribilmente messo in mostra.
Il fascino della grande narrazione della sinistra, democratica o meno, si è dissolto del tutto proprio in questi 30 anni che ci separano dalla caduta del Muro, e non si è riusciti in nessun modo a far lievitare idee non solo nuove – sarebbe ed è facile – ma coinvolgenti di grandi masse.
Guardiamo la realtà giovanile: cosa mette in moto le passioni dei giovani di oggi?
Cosa siamo riusciti a proporre di interessante e coerente con la nostra storia in 13 anni in modo tale da mobilitarli?
A volere essere onesti, bisogna riconoscere che è più facile che la motivazione sia più presente nei giovani di destra, capaci di mobilitarsi addirittura su parole d’ordine orribili di estrema destra: Hitler, Mussolini e tanti altri loro simili vengono osannati, in coro, senza timori, nelle manifestazioni e…negli stadi: l’odio verso i diversi, dai rom agli ebrei, è ormai stato sdoganato senza neppure la vergogna di proporre quasi un ritorno alla Shoah!
Cosa siamo in grado di far gridare in coro ai giovani che vorrebbero impegnarsi per ideali di progresso e che comunque sono lontani mille miglia da quei violenti e balordi?
Fino a qualche anno fa c’erano almeno i concerti, magari con Guccini e la sua Locomotiva, oggi che il Covid li ha eliminati non abbiamo più nulla e li sentiamo tutti silenziosi!
Si tratterebbe di mettere in moto una macchina ideale, ma un intellettuale collettivo non lo si inventa dall’oggi al domani: bisognerebbe lavorare assieme per capire chi occupa le casematte della cultura, mobilitarli, organizzare convegni, mettere su centri studi, riviste, un quotidiano, anche non l’Unità, se è d’impaccio, ma un quotidiano al tempo stesso partigiano e di confronto.
Veramente vogliamo credere e far credere che il Governo Conte 2 sia finito per colpa di Matteo Renzi (un genio, allora!!)? a me, invece, era già chiaro a fine novembre (ne avevo scritto 2 dicembre per la precisione!!) che la compagine governativa – capace, forse, ma neanche, di gestire il presente – non era in grado di prefigurare il futuro, perché privo di finalità motivanti e mobilitanti: la prima scrittura del Recovery fund, senza presunzione, l’avrei scritto meglio io, da solo!!!
E perché è accaduto questo? Perché la compagine era formata oltre che da Italia Viva, da un non Partito come i 5 Stelle, senza né arte e né parte; da una sinistra fumosa e nostalgica come LEU, la cui funzione è ignota ai più, e dal PD, l’ultimo Partito organizzato ma privo di una linea perché senza una comunità viva di iscritti, di simpatizzanti e di militanti, e quindi senza idee condivise e condivisibili.
Se proprio vogliamo essere severi, dovremmo dire che il PD è come il Cavaliere inesistente di Italo Calvino, una bella armatura, luccicante, ma vuota: e purtroppo, non può neppure vantarsi di questa condizione, come facevano i cavalieri a tavola (Calvino!).
Conclusione: non so se siamo in tempo, ma se si vuole ridare vita a questo Cavaliere inesistente bisogna mettergli le ossa, i muscoli, i vasi, gli organi interni ( sezioni, iscritti, regole di convivenza, comunicazione cartacea e digitale) ma soprattutto bisognerà mettergli una testa, che non sono gli uomini al comando, bensì le idee ( che il nuovo Recovery plan dovrebbe almeno indicare) che fanno muovere il corpo: intellettuali organici, centri studi, riviste e giornali, se non tv o canali web.
Se sarà così allora la carovana democratica si potrà rimettere in marcia, altrimenti il deserto ci inghiottirà, per sempre, ex di ogni tipo e natura!
P.S: io c’ero a Modena, nel 1977, giovane tra tantissimi altri giovani, proprio mentre a Bologna il Movimento metteva sotto accusa il PCI.
Ma il PCI non si fece cogliere di sorpresa, aprì le sue sezioni, accolse i ragazzi e gli intellettuali contestatori, con migliaia di compagni anziani a fronteggiare le critiche con argomenti e riferimenti biografici: sindaco era Renato Zangheri e, come si disse allora, Zangherì Zangherà, ci pensa e ce la fa!!
Non oso pensare cosa accadrebbe oggi, anche a Bologna!
Un abbraccio Gerardo Vespucci
Caro Sergio,
grazie di tutto: musica, disegno, vignetta e considerazioni varie sul tempo attuale e su quello del nostro PCI. Quello che mi manca maggiormente è quel senso di comunità dal quale ci sentivamo avvolti. Lo trovavi non soltanto alle feste dell’Unità ma anche in sezione, alle riunioni, durante i comizi, alle manifestazioni. Sentivi di fare parte di un organismo vivente, andavi idealmente sotto braccio alla storia contemporanea, obbedivi a quello che diceva il Partito non come obbedienza “cieca e assoluta” ma perché condividevi quei concetti, quelle idee, quei programmi. Era la nostra bussola, ma la direzione che indicava era la stessa verso cui volevamo andare. Esisteva quella sintonia che cementifica ogni tipo di rapporto. Oggi guardo la mascherina grottesca di Grillo, il nostro futuro alleato (spero di no), ascolto Casalino che si vanta di aver venduto più copie del suo libro che non Obama e mette sul mercato la sua astuzia comunicativa priva di morale.
Il testo dell’”agitatore” Agostinelli mi sembra un po’ contraddittorio: da un lato i buoni, che ovviamente siamo noi di sinistra, dall’altro tutti gli altri, salvo poi citare Moretti che incita D’Alema a dire qualcosa di sinistra. Il malessere nel PCI arriva da lontano, e sappiamo tutti quel lontano dove lo si può collocare.
Ho appena letto su Open l’esito di un sondaggio su La7: con Conte alla guida del M5s questo salirebbe nei sondaggi al 22%, mentre il PD scenderebbe al 14%. Mi aggrappo a quel 35% che non si è espresso. Sì, servirebbe a tutti noi uno psicanalista.
Ti abbraccio e grazie della tua amicizia.
Grazia
I comunisti italiani non erano ne scemi ne grulli: era tutta gente che lottava per sopravvivere e l’unico algoritmo utile era la rivoluzione, così com’era stato nella Russia Zarista. Mio nonno soffriva la fame, come contadino e anche mio padre, ma non erano gli unici. Nel meridione le persone che votavano il partito comunista Italiano vivevano nelle grotte in quelle che adesso a Matera sono diventate storia e patrimonio dell’umanità. Non c’erano diritti e il padrone poteva licenziarti quando e come voleva. I suoi servi, noi comunisti, spesso erano picchiati o violentate le donne. Non mutò la situazione, quando i contadini del sud, del Veneto, dell’Emilia ecc diventarono operai nelle fabbriche degli imprenditori agricoli trasformatosi in industriali.
Esistevano negli stabilimenti, le guardie,i tempisti, i capi assoluti che potevano licenziarti come e quando volevano. Le guardie ti spiavano nei cessi con le porte sopra e sotto aperte per poterti controllare e farti uscire se non ti sbrigavi rispettando i loro tempi che ti assegnavano. I tempisti si nascondevano dietro di te per controllarti i tempi e poi ridurli ulteriormente stabilendo dei cottimi altissimi da realizzare se volevi portare a casa qualche lira in più. Nelle case ( tuguri spesso) in affitto i meridionali vivevano asserragliati in pochissimo spazio, senza riscaldamento, senza servizi igienici se non il cesso in comune nelle cosiddette case di ringhiera. Quanto detto non è fantascienza: io l’ho vissuto,( ed ho solo 71 anni ) come meridionale e pastorello che cercava di rubare la cultura con il libro usato sotto il braccio dietro le pecore e poi emigrato al Nord dove ho strappato la mia istruzione lavorando e vivendo con mio papà, mia mamma,mio fratello, mia cugina, mio cugino, in due locali “all’isola”di Porta Garibaldi a Milano, senza telefono e televisione. Era evidente che gente come me non aveva altra alternativa alla rivoluzione proletaria per riscattarsi e l’odio nei confronti del padrone, sempre più dispotico e feroce,la solidificava e la rafforzava.
Grazie al partito comunista italiano ed al sindacato da quest’ultimo guidato, la classe contadina prima e quella operaia dopo ha fatto in modo che il capitalismo diventasse più umano. Imprenditori, come Olivetti , nonostante la diffidenza di noi comunisti, ci riconoscevano e concedevano, dopo feroci lotte con scioperi ed occupazioni i nostri diritti. Nacquero: lo statuto dei lavoratori, i contratti nazionali, i contratti integrativi, l’abolizione del cottimo con la sparizione delle guardie e dei tempisti. Naturalmente noi non credevamo all’onestà e bontà degli imprenditori, ma giustificavano il tutto con la nostra forza e la convinzione sull’ assoluta necessità della rivoluzione proletaria. che i nostri dirigenti e guide, Marx, Lenin,Stalin,Togliatti,ci indicavano. Col tempo pensavamo di aver rafforzato il nostro indirizzo politico ed i diritti conquistati e non ci accorgevamo che ci mancava la libertà di parola dopo aver imparato a leggere ed a scrivere. Così siamo diventati ex comunisti abbiamo cominciato a cercare nel liberalismo la soluzione e L’algoritmo per gestire il nostro nuovo mondo. Non siamo venduti, come quelli che credono ancora nella rivoluzione ci chiamano, ma semplicemente crediamo che la nostra nuova condizione non può essere gestita ancora dalla società comunista in cui la dignità, la competitività, la solidarietà e la libertà di parola non sono ammesse in nome di una distribuzione del reddito verticistica e senza possibilità di discussione. Le filosofie si scrivono in base all’esigenza del momento e non a tavolino, come spesso fanno alcuni intellettuali attuali. In questo momento la nostra società è tecnologicamente evoluta ed i lavori manuali sono quasi totalmente spariti ed affidati alle macchine ed ai robots. Le esigenze attuali degli essere umani sono la ricerca dell’occupazione ed è da qui che bisogna costruire una nuova filosofia.
Concludo dicendo. La vita non è quella che a tavolino ci immaginiamo ma quello che ci capita di vivere e quindi se vogliamo fare una politica giusta concreta ed attuale dobbiamo partire e costruire una filosofia che si adatti alla esigenza attuale. Applicare algoritmi vecchi, utili e vincente nelle società precedenti, non serve ed è controproducente.
Il grande difetto della nostra società è ancora come nel tempo passato, il dogma che vale per gli ex comunisti e per gli ex democristiani confluiti nel PD. Ecco perché la convivenza nel PD delle filosofie se non parte dai problemi da risolvere non può esistere. L’unico algoritmo, secondo me, che può rafforzare qualsiasi forza politica è stato è e sarà il compromesso delle idee Che rappresenti la maggioranza della comunità. Non vedo altri algoritmi utili e per questo non mi appassionano le chiacchiere avulse dai problemi da risolvere.
Buona giornata a tutti e a tutte Antonio De Matteo Milano
Rispondo sintetico alla domanda dell’oggetto: arriverà ancora peggio di ora, quindi – di fatto – no.
Un abbraccio
Alfio
P.S. siamo riusciti a distruggere ogni cosa che abbiamo aggregato via via nel tempo, se me lo avessero detto ai tempi in cui facemmo la “Cosa 2” a Firenze per far entrare i Laburisti, i Cristiano sociali e altri nei DS… Tutto quello che è entrato ha creato solo divisione, lentamente all’inizio e poi sempre più veloce.
Caro Sergio,
anche stamani siamo qui ad arrovellarci, con altri compagni, su quel che è stato. Il tutto con una infinita nostalgia che in questo caso (anche a differenza di età cospicua tra me e te, e di bellezza ovviamente…) non è affatto la tenera (e a volte sciocca) nostalgia della giovinezza, ma qualcosa di concreto e di migliore che pensavamo per la collettività. Ma il tutto anche con una speranza per il futuro che poi ti dirò qual è, alla fine di questo discorso.
L’articolo di Emanuele Felice su Domani è argomentato e puntuale, mi dispiace soltanto che non abbia citato il mio articolo su globalist, visto che l’avevo proprio segnalato a Stefano Feltri il giorno prima su twitter…
Sono profondamente d’accordo con quello che scrive Gerardo Vespucci, anche sul fatto che la mia è stata una riduzione estrema nell’aver detto che adesso il PD è mano agli ex-democristiani. Ovviamente non è vero fino in fondo. La mia era soltanto una maniera sintetica per dire che nel PD abbiamo perduto proprio tutto quello di cui si lamenta Gerardo nel suo intervento.
Mi è piaciuto anche l’intervento di Grazia e la rassicuro sul fatto che le mie contraddizioni sono in parte anche quelle di tutti noi. Nel senso che è stato contraddittorio il percorso che ci ha portati fino a questo punto, e il mio intervento voleva essere più “poetico” (quindi per sua natura molteplice) che storico-esplicativo.
La proposta è questa: chiediamo di poter partecipare al Congresso, come “banda a parte”.
Mi spiego: noi creativi di sinistra (fuori dalle quote che spettano a ogni segreteria regionale PD per il voto congressuale) chiediamo di intervenire con un manifesto che potremmo tranquillamente cominciare a riprendere dal pezzo di Gerardo. Lo leggi tu e noi sotto facciamo la claque.
Un abbraccio
alessandro
Caro Sergio,
ho letto – perfino commuovendomi – le riflessioni amarognole e amare di Gerardo Vespucci, sacrosantemente giuste, e altresì superate dallo status quo – disordinato, distratto, inconcludente, avvilente – in cui il fu Partito Comunista, e più largamente la sinistra italiana contemporanea versano in peregrini quanto fallimentari propositi di rinascita o rifondazione. Forse, semplicemente, non ci sono più le persone giuste (e le personalità carismatiche di un tempo che fu, e che – con questi chiari di luna- difficilmente potrà ripetersi).
Tuttavia, demordere e arrendersi sarebbe improponibile, certificando peraltro un’ulteriore delusione e disfatta. Bisogna dissodare e disseminare il terreno con nuovo spirito, eleggendo – se c’è – un nuovo ‘capo’ carismatico, attento, intuitivo, operativo, efficace, che riporti soprattutto entusiasmo fra i più giovani, che hanno evidentemente maggiore bisogno di futuro, e – ancor più – di un presente motivante, concreto, appassionante.
Belle parole, forse, anche se servono. Ma sono i fatti concreti che hanno sempre ragione.
abbracci. Melanton.
Aggiungo la mia riflessione, se può essere utile …
https://ilquadernodiet.blogspot.com/2021/03/si-il-dibattito-si-ma.html
Caro Sergio,
non sono giovane nemmeno io ed ho fatto tutta la trafila della sinistra in un ruolo da semplice militante, però non mi sento così legato al glorioso passato al punto di usarlo come metro di misura del presente.
Sono consapevole che il diavolo si nasconde nei dettagli, ma qualche volta una visione dell’insieme dà loro una giusta dimensione.
Le elezioni politiche del 2018 ci hanno consegnato un PD ai minimi assoluti ed un parlamento che probabilmente era il più antieuropeo che sia mai esistito nella storia repubblicana (alla Camera questi erano i numeri in percentuale dei deputati attribuiti alle singole forze politiche: Lega 19,6%; FdI 5%; M5S 35,9% = 60,5%).
Prima con la Brexit ed i suoi seguaci in Italia, poi con il sovranismo ed il nazionalismo, imperversavano i Borghi ed i Bagnai, Salvini dava loro sponda insieme alla Meloni, risaltavano atteggiamenti nel continente che esprimevano non proprio solidarietà, come i paesi del gruppo Visegrad (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia), nel nord Europa fischiava un vento gelido nei confronti dell’Italia ed in America imperava Trump.
L’inizio di questa legislatura ha visto il governo gialloverde in formazione litigare con Mattarella sulla nomina di Savona a Ministro del MEF e la successiva proposta dei 5S di mettere il Presidente in stato di accusa, poi abbiamo assistito agli incontri di Di Maio con i gilet gialli, al braccio di ferro con la Commissione sul deficit della legge di stabilità per il 2019, alla vicenda dei migranti ed al blocco degli sbarchi.
Dopo le elezioni europee del 2019 l’unica forza politica italiana che è riuscita ad eleggere i propri candidati ai vertici della UE siamo stati noi del PD: David Sassoli Presidente del Parlamento Europeo, Paolo Gentiloni Commissario per l’Economia, Irene Tinagli Presidente delle Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento Europeo, ruolo prima ricoperto da Roberto Gualtieri.
Sembra storia di un passato ormai lontano, quasi dimenticata, ma il 12 marzo 2020 ad una conferenza stampa pomeridiana la Presidente della BCE Christine Lagarde, si lascia scappare che “noi non siamo qui per accorciare gli spread” ed in un solo giorno la borsa di Milano perde il 16,6% e lo spread balza di oltre 60 punti, provocando una dura critica di Mattarella e l’intervento del Ministro Gualtieri (qualche ora dopo la Lagarde corregge il tiro).
Passano pochi giorni ed il 28 marzo, viene resa nota l’intervista della Presidente della Commissione Ursula von der Leyen in cui liquida il dibattito sui Coronabond come “slogan”, aggiungendo che non si sta lavorando in questa direzione “Dietro c’è la grande questione delle garanzie. E su questo le riserve della Germania come di altri paesi sono giustificate”; alla riunione plenaria del Parlamento Europeo del 16 aprile dirà invece “È giusto che la Ue chieda scusa all’Italia per la scarsa solidarietà dimostrata all’inizio della pandemia, ma ora l’Europa c’è”.
L’Italia ha alle spalle 3 anni vissuti pericolosamente, tuttavia in questo percorso abbiamo ottenuto la sospensione dei vincoli di bilancio ed è passata la storica decisione di fare debito comune per aiutare i paesi in difficoltà per la pandemia, di cui noi siamo stati i primi beneficiari.
Siamo passati dalle vicende della Grecia con la crisi dei debiti sovrani che hanno prodotto i tagli del Governo Mario Monti, all’intervento massiccio dell’Europa a sostegno delle economie nazionali, compreso il proseguimento dell’acquisto dei titoli di stato da parte della BCE.
Il risultato è che pur elevando e di molto il nostro debito pubblico, gli interessi sui nostri titoli si mantengono bassi, facendo ritenere il nostro debito sostenibile.
Trentasei mesi dopo le elezioni il Governo Draghi ha ottenuto un’ampia fiducia che doveva essere dichiarata sulla condivisione della irreversibilità delle scelte di stare in Europa e dell’euro, governo a cui partecipiamo in un ruolo di primo piano.
In questo breve lasso di tempo non sono stati fatti errori? Ci mancherebbe!
Si poteva fare meglio? Sicuramente sì!
Si potevano evitare certi errori? Certamente!
Ci sono difficoltà per le divisioni nei 5S e nella sinistra? Come no!
Si può escludere che Renzi e/o Salvini facciano ancora qualche numero? Non si può!
Dubbi tutti veri, ma è innegabile che siamo messi in condizioni molto migliori rispetto alla partenza.
E ci hanno pensato gli Americani a mandare a casa Trump ed eleggere Biden.
Per carità quanto avvenuto in Europa – basti pensare al grande lavoro fatto dalla Merkel – ed in Italia non è ascrivibile al solo PD, però il partito non è stato a mangiare i popcorn e se si consolida l’alleanza con la parte propositiva dei 5S, Conte e di LEU, abbiamo qualche possibilità di tornare competitivi nei prossimi appuntamenti elettorali.
Sarà poco e nemmeno di sinistra, ma personalmente mi ha fatto piacere il commento di un noto giornalista: quando il Presidente chiama, il PD risponde obbedisco, è la sua cultura non sottrarsi di fronte alle responsabilità per il bene del paese.
Fabbio
Caro Fabbio,
se ti ho dato l’impressione di essere nostalgico del passato mi sono spiegato davvero male. Quello che critico nel PD (e lo critico profondamente e ne sono preoccupato) è la mancanza di una progettualità futura. Quella che tu presenti come un’alleanza politica per ottenere certi risultati positivi sta diventando invece una subalternità di fatto ai principi di fondo populisti, con la conseguente perdita di identità e soprattutto di un grosso lavoro territoriale per far crescere negli elettori la nostra cultura politica.
Sergio