E’ improbabile ma sarebbe bello che oggi la direzione del Partito democratico assumesse all’unanimità un impegno: la dieta del Nazareno.
Tornare al governo neanche due anni dopo la batosta subìta il 4 marzo 2018? Diciamocelo, sarebbe quanto meno prematuro. Siamo a dieta, ce l’ha ordinato il medico (che poi sarebbero i nostri elettori delusi, a cominciare dalle vaste schiere di lavoratori che hanno visto peggiorare le loro condizioni di vita anche quando governava la sinistra, e i giovani che hanno smesso di credere in un futuro migliore). Il medico non è un sacerdote. Dunque non prescrive digiuno, astinenza o penitenze varie. Suggerisce una terapia: limitare gli alimenti grassi e iperproteici per recuperare una sana circolazione e il tono muscolare. Per rigenerarsi.
Il vasto popolo delle periferie urbane che per un secolo si era abituato a considerare i partiti della sinistra come naturali portavoce dei suoi interessi, ci ha inviato segnali inequivocabili: la perdita di Torino, Roma, Genova, Sesto San Giovanni, Monfalcone, Pistoia, Ferrara, e di regioni come la Liguria, le Marche, il Piemonte. Il sintomo che ha rilevato, più che le divisioni interne, è la bulimia di quei dirigenti che sembrano essersi abituati a considerare contronatura far politica stando fuori dal governo. E invece starne fuori per un ragionevole periodo di tempo potrebbe essere la cura migliore. Senza mangiare popcorn perché anche loro fanno ingrassare e inducono pigrizia.
Mettersi a dieta significa forse autoescludersi, rinunciare al peso decisivo che i nostri rappresentanti possono esercitare nella lotta politica per rovesciare l’egemonia della destra, che tanti danni arreca al Paese? Niente affatto.
Ho ben presenti le ragionevolissime pressioni che la sinistra italiana riceve dai partner dell’Ue: se una diversa maggioranza parlamentare è possibile, con i Cinquestelle, come potete ignorare l’opportunità di sgonfiare il capo dei sovranisti europei, ricacciandolo all’opposizione? Giusto. La rappresentanza della sovranità popolare espressa dalle ultime elezioni politiche lo consente. Altrettanto ineludibili sono le sollecitazioni provenienti da Landini e dall’intero movimento sindacale: dovete perseguire un riequilibrio dell’azione di governo perché altrimenti la situazione economica rischia di precipitare. Come ignorarlo? Per non parlare dell’allarme democratico suscitato da un ministro dell’Interno che chiede per sé pieni poteri e minaccia il ricorso alle piazze.
Il Pd deve continuare ad essere un partito responsabile che antepone alle proprie convenienze gli interessi dell’Italia e dell’Europa, nonché il rispetto delle procedure costituzionali. Non si può venir meno a questo impegno solo perché siamo a dieta.
E allora? Un modo di fare politica senza rinunciare alla dieta ci sarebbe, semplice e trasparente. Forse inedito in un sistema viziato dalla brutta abitudine di difendere le cosiddette “poltrone” affermando di essere pronti a distaccarsene. Sono sicuro che l’opinione pubblica apprezzerebbe.
Sarebbe bello se, con voto unanime, anche per rendere più sereno il dibattito interno al Pd, la direzione stabilisse fin d’ora che nessun esponente del partito entrerà a far parte di nessun governo in questa legislatura. Se ce ne saranno le condizioni politiche e programmatiche forniremo un decisivo appoggio esterno. I parlamentari del Pd lavoreranno per un governo di svolta e, con il loro voto, ne condizioneranno l’azione nell’interesse del Paese; anche senza ministri o sottosegretari.
Siamo a dieta, per non morire e per rigenerare una sinistra popolare democratica. Ma possiamo renderci utili all’Italia anche così.
Gad Lerner, la Repubblica, 21 agosto 2019
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