“La relazione di Gianni è una relazione molto bella… appassionata… con accenti e riflessioni che volano alto, molto molto alto. Io, però, dovrò necessariamente scendere a livelli molto più bassi, terra terra, diciamo (applausi della sala). Vedi, caro Gianni, il problema che abbiamo di fronte non è quello di volare alto, di mettersi a riflettere, a studiare… il problema che abbiamo di fronte è semplicemente questo: come possiamo noi oggi riprenderci quel ruolo dirigente che ci spetta nel PD. Questa è la domanda a cui rispondere e su cui lavorare.”
Con queste parole riportate da me a memoria e forse un po’ imprecise nella forma ma perfette nel significato, Massimo D’Alema affossò con i vecchi metodi imparati alle Frattocchie la relazione di Gianni Cuperlo all’assemblea della minoranza PD tenutasi al Teatro Eliseo all’indomani della vittoria di Renzi alle primarie. Io credo che i guai della minoranza PD durante la segreteria Renzi, guai che hanno portato passo dopo passo un gruppo di dirigenti degli ex DS ad uscire dal PD e a schierarsi contro di esso, siano stati originati proprio da quella decisione sanzionatoria di D’Alema. Era praticamente un invito a non ricercare le ragioni della sconfitta, un invito a non riflettere, a non pensare, a non cercare di capire, buttandosi invece a capofitto in modo assurdo e disordinato a ricercare qualunque appiglio utile a distruggere il nuovo segretario. Qualunque appiglio, anche se questo avesse comportato implicitamente un danno per l’intero partito.
Invece, a dispetto dell’accento ironico di D’Alema, la relazione di Cuperlo era davvero una bella relazione perché metteva al centro del suo ragionamento la necessità impellente di comprendere il perché di questa sconfitta e il perché della vittoria di un Renzi portatore di una visione del partito molto liquidatoria nei confronti del passato. Una relazione in perfetta linea con la giusta metodologia, attuata con coerenza democratica nella Sinistra almeno da Berlinguer in poi, in cui la minoranza si poneva al servizio del nuovo segretario e della maggioranza con l’impegno di portare avanti e approfondire le ragioni del loro dissenso senza mai danneggiare l’intero partito. Con quelle sue frasi D’Alema interrompeva questa nobile e seria tradizione e si avventurava sulla deleteria strada del rancore e della vendetta, elementi catastrofici per qualunque seria strategia.
Sono partito parlandovi di questa assemblea perché proprio di quella relazione è, a mio avviso, ideale continuazione e sviluppo il libro che Gianni ha pubblicato in questi giorni: Sinistra e poi. Come uscire dal nostro scontento. Anche questo è un testo molto bello, appassionato e che vola molto alto. Un testo che invita il PD al lavoro e allo studio per ritrovare quell’orizzonte perduto, quella capacità di comprensione dei mutamenti della società attuale in Italia e nel mondo e, assieme a questi, una passione nuova e forte nei militanti e nei dirigenti che diano valore etico all’attività quotidiana del nostro partito, dai territori al Nazzareno. La lettura è appassionante e, come sempre fa Gianni, zeppa di riferimenti politici e letterari di grande valore. Troneggia su tutto questo un’immagine simbolica intensa tratta dal Riccardo III di Shakespeare: “l’inverno del nostro scontento”. Quali migliori parole possono individuare con tanta precisione la sensazione che provano tanti di noi che hanno creduto nel PD e continuano a lavorarci dentro con convinzione e fatica? E’ proprio una sensazione di freddo e di tristezza quella che ci attanaglia quando vediamo da una parte una Segreteria nella quale troppo spesso non possiamo riconoscerci e, dall’altra, compagni della cosiddetta minoranza che invece di portare il loro contributo al dibattito, alla crescita e alla necessaria correzione di tante scelte del partito, preferiscono uscirsene verso il nulla, verso l’ingenua rivalsa, autoproclamandosi “vero PD” e tradendo la stessa storia del loro passato. Sull’errore terribile fatto da questi compagni riflette il testo di Gianni: la difficoltà che abbiamo tutti noi nel comprendere come visioni di tipo individualistico e senza speranza abbiano potuto sostituire quella prassi politica che vede nella dialettica tra scontro e unità la saggezza principale del partito. Da qui l’invito di Cuperlo a cessare questa guerriglia confusa e scoordinata per ritrovare panorami più credibili, obbiettivi sociali più forti e quella strategia politica capace di trovare strade giuste ed indispensabili alleati. E’ sicuramente un lavoro duro e soprattutto molto lungo che richiede, vista la situazione frantumata dei circoli del PD, invenzioni di sedi, di luoghi e di gruppi sociali in cui impostarlo e portarlo avanti nel tentativo davvero eroico di una scoperta e di una valorizzazione di forze giovani che sappiano cogliere dentro sé la passione per una giusta politica.
Ma un altro libro arriva in questi giorni in libreria, un libro che mi piace affiancare a quello di Cuperlo. Si tratta di Pd davvero scritto da Piero Fassino, amico e compagno anche lui con il quale, così come con Gianni, ho sempre mantenuto un rapporto di grande fiducia e reciproca stima. Li tratto insieme perché incredibilmente i due libri sembrano quasi complementari. Laddove Gianni si concentra sugli aspetti valoriali di un partito di sinistra prospettando, come ho detto, orizzonti e motivazioni appassionate, quello di Piero raggiunge i suoi punti più alti nella concretezza dell’analisi e delle proposte. In pagine analitiche di alta precisione si ricordano al lettore quelli che devono essere gli impegni operativi più importanti per un partito della sinistra e per un governo da essa guidato, obiettivi economici e sociali elencati e descritti con la puntigliosità calvinista tipica dell’autore. Grande entusiasmo hanno risvegliato in me le pagine che dedica al partito, al come salvarlo e al come rinnovarlo. Con lucidità estrema Fassino indica nei territori e, attraverso di loro, nei Comuni i luoghi in cui dirigere l’opera principale del partito per ricomporre individui dispersi confusi e incattiviti, facile preda di populismi, in gruppi sociali identitari coesi su valori profondamente solidali. Questo senza rinnegare l’entusiasmo generato dalle nuove tecnologie digitali ma ricordando sempre che queste ultime non valgono nulla se non sono affiancate dagli innumerevoli legami tra persona e persona, che rimangono elementi fondamentali insostituibili per la costruzione di forti identità culturali. Tutta la sua esperienza di sindaco e di presidente dell’Anci lo porta a una forte critica nei confronti di un partito ridotto al ruolo di portavoce senza nessuna capacità e, soprattutto, possibilità di elaborazione creativa. Un partito presente nei social ma sostanzialmente lontano dalla gente e quindi lontano dai problemi del territorio e, cosa ancora più grave, da quella linea della sofferenza demandata quasi esclusivamente al volontariato laico e alle associazioni e alle strutture cattoliche. Basta col privilegiare l’apparato burocratico statale ai danni delle finanze e dei comuni, ci ripete Fassino. Occorre invece aiutare queste istituzioni locali affinché nei campi del lavoro, della sanità e della cultura esprimano quella possibilità di intervento che include e che genera società civili. In queste conclusioni il senso dei due libri si collega perfettamente offrendoci ampi spazi di riflessione politica.
Dopo la lettura di questi due appassionati contributi l’inverno del nostro scontento apparirà forse un po’ più abbordabile e meno ferreo e incombente di come ci era apparso, sta però al nostro segretario prenderne atto. Spero tanto che alle parole espresse nella Direzione di lunedì scorso, questa volta seguano davvero i fatti. La nomina di Fassino a responsabile della mediazione per le alleanze è un buon segno ma non certo sufficiente. Tanti dirigenti di valore esistono nel nostro partito, due sono gli autori di questi libri, altri sono Martina, Orlando, Bellanova, Delrio, Franceschini e, naturalmente, Veltroni e tanti altri. Sarà davvero la volta che l’io diventa noi? Sarà davvero la volta che Renzi smetterà di affossare compagni simili nell’anonimato della Direzione riducendoli a portabandiera puramente simbolici? Sarà veramente la volta, infine, in cui il nostro Segretario, invece di riunirsi in un ristretto gruppetto di cui ben conosciamo i nomi, aprirà ad una vera gestione collegiale del partito lasciando a se stesso, in quanto Segretario, la decisione finale dopo un ampio e approfondito dibattito? Credo che questo sia il pio desiderio che esprimono i tanti compagni che neanche nei momenti più controversi hanno mai pensato ad abbandonare la barca, oggi insostituibile, del PD.
Gianni Cuperlo
Sinistra, e poi. Come uscire dal nostro scontento
Donzelli Editore
2017, pp. 144
€18.00
Piero Fassino
Pd Davvero
Editore: La nave di Teseo
2017, pp. 264
€19.00
6 Comments
Caro Sergio.
Leggendo il tuo post mi ha colpito, prima di tutto, quella frase che, “forse imprecisa nella forma ma perfetta nella sostanza”, ha pronunciato D’Alema: “Vedi, caro Gianni, ……………………… il problema che abbiamo di fronte è semplicemente questo: come possiamo noi oggi riprenderci quel ruolo dirigente che ci spetta nel PD. Questa è la domanda a cui rispondere e su cui lavorare.”. Secondo me in queste parole, nel rivendicare una “spettanza” che gli sembrerebbe “dovuta per designazione divina”, si sintetizza la figura del politico D’Alema, che in un tempo ormai lontano anch’io ho stimato e che ora disprezzo! Ciò detto, ho sempre pensato che Cuperlo sia una brava persona, intelligente, ma nello stesso tempo ritengo che abbia poco carisma e meno coraggio. Gli va dato atto di avere una “bella testa” e di essere un “pompiere”, non certo un “incendiario”, cioè di lavorare per l’unità della sinistra, non per la sua frantumazione. Tuttavia, se tu ripensi la vicenda della trattativa ante referendum tra lui e i “renziani”, sulle modifiche all’Italicum richieste da Bersani per votare Si, non credi che quella frase pronunciata da Pierluigi (“non mi fido”) rappresenti una grave offesa a Cuperlo giacché ne vanificava sia l’impegno che il risultato ottenuto? D’accordo, nelle intenzioni lui si riferiva a Renzi, ma contestualmente dichiarava di non fidarsi neppure di Cuperlo, cioè di chi lui aveva incaricato di trattare, che gli riportava, avendola implicitamente accettata, una ipotesi di accordo! Fossi stato io Cuperlo, sarei andato davanti a Bersani a muso duro e gli avrei chiesto “Se non mi ritenevi capace di raggiungere un accordo serio e credibile, per te accettabile, perché mi hai incaricato della trattativa? Perché non te la sei gestita tu, in prima persona? O il tuo era solo un pretesto, perché comunque non ti sarebbe andata bene nessuna proposta in quanto avevi deciso di votare comunque No? Ti rendi conto di avermi esposto a una figura di emme?”. Ecco, a Cuperlo contesto il suo accettare supinamente situazioni di questo tipo, la sua mancanza di coraggio! Quanto a “l’inverno del nostro scontento”, ti dirò che fa seguito a tante, tantissime altre stagioni di scontento e incazzature! E per quanto mi riguarda vorrei almeno poter smettere d’incazzarmi, perché è una condizione molto nociva alla salute, specie a questa età. Però, lasciamelo dire, che brutta quell’espressione “affossare compagni simili nell’anonimato”. Secondo te, ne cito uno per tutti, Veltroni avrebbe fatto quella fine? A me pare proprio di no.
Un abbraccio.
Silvano
Bè, poteva andarmi peggio come analisi critica.
caro Sergio,
queste elezioni la gente le deciderà l’ultimo mese o l’ultima settimana: ogni giorno può, in questo mondo, succedere di tutto…
Non voglio deviare dai tuoi ragionamenti, sempre condivisi (certo, il discorso dell’Eliseo di D’Alema. Da non dimenticare che aveva già tagliato le gambe a Veltroni).
Mi meraviglio di molte cose, ma una in particolare mi sembra grave. Chi si preoccupa del voto delle donne? Non basterà l’esempio a rovescio della Boldrini che abbandona il femminismo per concorrere come Grasso (la terza carica dello Stato contro la seconda?) in una storia in cui maschi sono totalmente dimentichi delle finalità della sinistra (il bene del paese o l’onore di gare in cui vince chi fa la pipì più lunga?). Perché mai le donne dovrebbero andare a votare per loro? I rumors giornalistici su Daria Argento e colleghe sono destinate a durare lo spazio di uno sdegno pubblico e nessuno – dico nessuno – ha parlato dei ricatti di precarie e immigrate (magari al lavoro nelle zone del caporalato) che non possono rinunciare a pochi euro per la sopravvivenza e subiscono di tutto. Non diciamo che la sinistra non è anche questo.
Certo anch’io “parteggio” in questa competizione demenziale a cui mancava solo la partecipazione di Ingroia con lista propria “non di sinistra”, ma con anche un avvocato “pro vita” (e rispuntano gli interessi di chi la vita la produce).
Un abbraccio, Sergio: a parte il rilievo di cui sopra, sei sempre grande e interamente condivisibile
giancarla codrignani
Caro Sergio,
Ti confesso che spesso mi sembra di assistere a un film come quelli che ci propone, o dovrei dire propina, la nostra televisione: repliche su repliche. Vedo che Renzi si dà da fare, non so quanto di mediatico ci sia in questo attivismo e quale risultato alla fine porterà a casa. E mentre lui corre di qua e di là negli studi televisivi – e non soltanto quelli riconducibili a Berlusconi – si sparge qualunquismo a piene mani, per non dire peggio. Ormai è una guerra senza esclusione di colpi. E’ vero, le parole di D’Alema, che tu riporti a memoria, sono la chiave di lettura di tutto questo dilaniarsi a sinistra. Ma se lui pensa di riprendersi il ruolo egemone che la sinistra aveva un tempo credo che abbia fatto male i conti. Tutto è cambiato e credo di poter dire, da spettatrice non indifferente, che non si può tornare indietro. Questa ormai è la strada da percorrere. I Circoli stentano perché gli attivisti hanno preferito seguire i leader del dissenso, ed erano loro che mandavano avanti le vecchie sezioni. Come diceva Mao, “grande è la confusione sotto il cielo”, ma non credo, al contrario di lui, che questo sia propizio alla nostra causa.
Grazia
Chissà se prima o poi qualcuno tra i primari opinionisti, sagaci commentatori, analisti e aspiranti strateghi, che ogni giorno ci indicano la retta via da seguire tramite ogni tipo di media, farà a Bersani (o chi per lui) la seguente semplice domanda, ma tanto semplice che infatti finora nessuno gliel’ha fatta (o almeno non ne ho traccia):
“Caro Pierluigi, diamo per assodato che alle prossime elezioni, con la vigente legge Rosato, andrete per fatti vostri, come avete già deciso, vista l’assoluta inaffidabilità del PD e di quelli che gli stanno attorno.
Presenterete quindi vostri candidati in tutti i collegi uninominali, in competizione con tutti gli altri Partiti/coalizioni.
In questo quadro, quale risultato vi attendete? Attenzione, non “auspicate”, ma “attendete”.
Dato che siete tutti politici navigati ed esperti, qualche ragionamento sui possibili risultati lo avrete pur fatto. Quali sono dunque i risultati?”
A me la domanda, anche se banale, pare assolutamente ineludibile.
Si possono anche azzardare le possibili risposte:
1) Lunghe perifrasi per dire che la risposta dell’elettorato è quella che conta, che ci sono milioni di elettori delusi, che le masse popolari vogliono un’alternativa, … quindi massima fiducia nel risultato.
In pratica nessuna risposta, ma una chiara dichiarazione di incapacità di elaborare uno scenario.
2) Vinciamo noi e facciamo un Governo di sinistra “vera”.
Auguri! La megalomania non ha limiti.
3) Prenderemo un voto in più del PD, così gli facciamo vedere chi rappresenta chi.
Bella consolazione, con Salvini e Berlusconi al Governo!
4) In ogni caso mettiamo il PD fuori gioco, costringendolo a mendicare un accordo con la destra, seppure, dimostrando così la sua perfida natura reazionaria. Egemonizziamo noi l’opposizione e viviamo tranquilli per un bel po’ di anni.
Di nuovo, chissenefrega delle condizioni della gente, l’importante è che siamo noi l’unica opposizione.
5) … si possono immaginare anche altre risposte, all’infinito, ma l’importante per me è porre la domanda, in modo chiaro e diretto, perché sia evidente a tutti quali sono le strategie in campo.
Qui si tende a sfuggire al nodo del problema, dando per ovvio e scontato il buon diritto/dovere della sinistra cosiddetta radicale di lottare in ogni modo per affermare le sue ragioni.
Invece bisogna capire che quel buon diritto in ogni caso va a cozzare violentemente con gli interessi di quelli che essi vorrebbero proteggere e rappresentare, favorendo la vittoria degli altri.
Questa contraddizione, gigantesca, deve essere in ogni modo evidenziata, resa palese e nota a tutti gli interessati.
Se non si riesce a fare gli interessi di quelli per cui si dice di lottare, in realtà si fanno solo gli interessi opposti.
È chiaro, caro Bersani (Speranza, D’Alema, ecc. ecc.)?
Caro Sergio, mercoledì scorso ho partecipato ad una assemblea del Circolo PD del IX municipio di Roma; molta gente, dati i tempi, età media alta, come di consueto, interventi appassionati e sensati. Era presente il nuovo Segretario della federazione Romana, Andrea Casu, che peraltro al congresso non ho votato, fedele alla mia tradizione di votare sempre, ove possibile, candidate donne. Ne ho apprezzato l’ intervento , la attenzione con cui ha ascoltato, ma, soprattutto, il garbo con cui ha replicato quasi su ogni punto sollevato dai partecipanti. Con altrettanta passione aveva a settembre organizzato e animato il Festival de l’ Unità di Roma, vera impresa al limite del temerario, attesa la situazione pregressa del partito nella capitale.
Riflettevo, tornando a casa, quanta differenza rispetto a precedenti dirigenti, signori delle tessere o meno tuttavia integralmente presi nelle spirali correntizie e con ben poco entusiasmo da trasmettere ai militanti.
Piccola testimonianza, la mia, ma sentivo di doverla proporre, in un momento di disprezzo per la politica ( e per il PD, magistrale l’ articolo di Marco Ruffolo …) , quando invece in tanti mostrano un volto ben diverso, il volto di una politica che sa e può essere “buona”. Spero che il PD sappia valorizzare sempre più queste risorse.