Caro Sergio,
che bello sarebbe domani andare in edicola e tra i tanti quotidiani poter chiedere “l’Unità”. Sì, proprio “l’Unità”: il giornale di Gramsci, ovvero quel grande intellettuale che lo fondò e che tutti, oggi, di sinistra o meno, dovremmo credo andare a rileggere in tutte le sue opere e in tutti i suoi pensieri più memorabili; o lo stesso giornale che, in quell’edizione straordinaria del 13 giugno 1984, titolò la prima pagina con un grande “ADDIO” di colore rosso a grandi caratteri grafici per dare l’ultimo saluto a quel grande uomo che fu Enrico Berlinguer. Beh, sarebbero poi tanti gli avvenimenti che ripercorrendo la lunga storia di questo giornale potremmo andare a ricordare. Ma non voglio farlo. Perché ciò che in realtà voglio fare attraverso queste righe, è porre un grande interrogativo dinanzi a questo periodo di smarrimento: di completo buio e menefreghismo culturale.
Sarò breve. Non sono un nostalgico. Non potrei esserlo; non ho vissuto quei periodi e, tanto meno, non ho vissuto i floridi (ma tuttavia sempre difficili) tempi della sinistra. Ho solo ventuno anni. Per questo posso fortunatamente dire non essere nato nemmeno con il “berlusconismo”. Ho vissuto il “renzismo”, però; che gli è molto simile. Insomma, la prima volta che sono andato a votare, mi sono ritrovato davanti: vecchie glorie che per quanto mi ero informato speravo vivamente di non rivedere più; partiti populisti che nascevano dell’indignazione; e, soprattutto, partiti che gridavano riformismo ma che invece col tempo, non poi così troppo, sono diventati il peggio del peggio, insomma, la brutta e anche poco originale copia degli altri. Allora, cosa ho dovuto fare in questi ultimi anni per evitare di essere risucchiato dal vortice della banalità, del populismo e dello smarrimento culturale? Mi sono avvicinato alla scrittura: alla narrazione che successivamente mi ha spinto anche verso una profonda passione per il giornalismo e la verità (ma questa, non è ancora una mia professione, visto che tendo forse troppo a tenermela intima e segreta). Comunque, sentivo che se loro (la polita e i suoi rappresentati) non cambiavano, dovevo essere io a farlo. Dovevo essere io ad adattarmi (poiché cambiare non si cambia) e a munirmi di efficaci strumenti per combattere la demagogia che derivava non solo dalla casta, ma da gran parte della società (ovvero da comuni cittadini e quindi elettori che troppo spesso parlano all’opposto di starsene zitti ad ascoltare il dialogo culturale che rimane, in momenti come questi, muto e sofferente).
E allora, che cosa c’entra “l’Unità”, mi dirai, con tutto questo. Beh, c’entra, e come. Quello, poteva essere un giornale che col tempo avrebbe potuto assumere una forma nuova, imparziale e in pieno connubio col tempo che passa, senza però dimenticarne le sue origini. E ciò: sarebbe potuto divenire un sano organismo che del partito comunista ne ricordava e ne onorava le origini. Che della sinistra ne avrebbe continuato a fare una leale e vera etica di pensiero. Che della verità ne avrebbe per sempre fatto la sua principale arma contro i poteri forti. E invece, non è stato affatto così. Perché per capricci, velleità, vanità di partito e di (bambinesche) correnti scissioniste, menefreghismo culturale e management imprenditoriale, ne abbiamo visto solo che la sua fine. Io, quel giornale, avrei voluto leggerlo. Davvero. Avrei voluto lavoraci. Avrei voluto scriverci anche se spesso so che mi sarei potuto trovare in disaccordo con colleghi e direzione; ma è questa, la bellezza e la condivisone delle idee, credo. Io, inoltre, avrei voluto imparare, dentro a quella redazione che è stata parte integrante della Storia del nostro Paese. Io, avrei voluto, a ventuno anni, scrivere e leggere in memoria di persone come Enrico Berlinguer, del quale, questo partito (il Pd) che diciamo essere il continuo di quello che fu la sua sinistra, lo ha abbandonato per mettere al suo posto (sul piedistallo delle idee) un Andreotti o un Craxi.
Mi fermo. Non voglio annoiarti. Anche se spero di non averlo fatto. Ciò che ancora avrei da scrivere o da condividere con te, lo farò successivamente.
Un abbraccio e un caro saluto
Stefano
Caro Stefano,
tutto bene e tutto giusto e se hai ventun anni scrivi anche bene, solo un piccolo grande errore all’inizio: Renzi non è come Berlusconi. Berlusconi è un ricco che parla ai ricchi, agli imprenditori più cinici e al popolo bue. Renzi invece ha incarnato la voglia di rinnovamento del popolo di sinistra, di tutti quelli onesti, volenterosi e generosi che volevano cambiare strada perché quella dei vecchi del PCI era ormai asfittica, burocratica e incapace di comprendere la nuova situazione mondiale. Sono d’accordo con te che in larga misura questa operazione non è riuscita e il ragazzo si è perso più volte a causa del suo atteggiamento un po’ arrogante e molto superficiale però da qui bisogna ripartire, dalle persone più serie e capaci che ci sono dentro il PD o comunque ad esso vicine. L’Unità adesso è lontana ma un giovane di ventun anni che cerca di raccontare le inquietudini sue e quelle del territorio in cui vive potrà comunque essere assai utile. Ti posto sul blog. Buon lavoro.
4 Comments
Caro Stefano,
vengo subito al dunque.
Tu usi con disinvoltura parole impegnative e pericolose come “imparzialità” e “verità”.
Noi viviamo in un Partito che, per definizione, non può essere imparziale (sarebbe un ossimoro, come la “flat tax” progressiva di Berlusconi!) e la nostra laicità ci insegna che la verità è sempre relativa.
Cionondimeno facciamo politica, serviamo il Paese, cerchiamo di realizzare progetti con l’obbiettivo del bene comune.
Perché la sinistra tiene al bene comune, al contrario della destra, che si accontenta dello status quo e lo difende, insieme ai privilegi, veri o presunti, che pensa di avere conquistato (non a caso a destra sono conservatori).
Berlinguer fu il primo in Italia a porsi, e porre, il problema della legittimazione della sinistra a governare: dimostrò che l’allora PCI poteva raccogliere voti e consensi anche al di fuori della sua storica base sociale, insieme a Moro scompaginò talmente il quadro politico che Moro pagò con la vita e lui con l’emarginazione, in parte autoinflittasi.
Andreotti e Craxi stavano dall’altra parte.
Oggi il PD, con il suo Segretario e la sua classe dirigente, sta pagando per aver avuto l’ardire di dimostrare che non solo la sinistra può governare, ma che può anche avviare una fase di profonde riforme che, tumultuose ed imperfette quanto vuoi, hanno comunque impresso al Paese un’accelerazione mai vista prima. Altro che Andreotti e Craxi!
I conservatori preferiscono far finta di cambiare, ma vogliono che tutto resti com’era. La sinistra, le cose le cambia davvero. Semmai fa anche un po’ di casino, ma l’Italia comunque non è quella di quattro anni fa.
Destre e populisti faranno di tutto per riportarla indietro, ci accuseranno, come ci accusano, di tutto, ma ormai la dimostrazione l’abbiamo data, e chiunque dovrà misurarsi con essa.
Non fermarti alla propaganda, Renzi e Berlusconi non hanno, e non hanno mai avuto, NULLA in comune, forse neanche l’appartenenza alla razza umana, visto che il secondo è ormai diventato un cyborg.
Come giustamente ti fa rilevare Sergio, basta guardare chi c’è dietro di loro, quale cultura e quale storia esprimono, quale esempio forniscono, per cogliere l’abissale differenza. E così è anche verso Di Maio ed i suoi seguaci.
Impegniamoci per superare la prova del 4 marzo, non facciamoci distrarre dalla nostalgia, dall’idealismo, dall’utopia.
L’utopia ce la portiamo dentro e ci indica la direzione, ma è la politica che ci dà i mezzi per andare avanti.
Chi non fa i conti con la realtà non serve il bene comune, si illude di proteggersi dalle contaminazioni, ma si condanna all’irrilevanza. A tutto vantaggio di chi vuole difendere i propri interessi.
Metti la tua gioventù al servizio della politica e non guardare indietro. Il futuro è tutto ancora da scrivere.
Auguri.
Sono positivamente stupito a leggere di un coscritto (perdonate il termine militaresco ma qui al Nord-Ovest è di uso comune!) che ha un’alta opinione de l’Unità. Mi rispecchio molto nella sua sensazione di essersi sentito partecipe e continuatore di un importante rituale del mattino quale il “leggersi a vicenda i titoli dell’Unità” come cantano i Modena City Ramblers.
Mi rispecchio molto perché è la stessa sensazione che ho avuto io dal 2012 (la prima volta che mi trovai a comprarla un po’ distrattamente) fino al 3 giugno 2017. Sensazione caricatasi di un senso di appartenenza ancora più forte quando Sergio Staino mi rispose scrivendomi:
“Teniamoci in contatto, mi raccomando”. E così, con quelle ‘Sette proposte (e mezza) per un vero giornale di riferimento’ mi ritrovai tra gli attori protagonisti de l’Unità e non solo spettatori.
Approfitto per rilanciare la mia personale disponibilità a dare analisi e suggerimenti per quella che potrebbe essere l’Unità del futuro: guardiamo alle nuove forme di giornalismo, alle nuove forme di entrate economiche, alla fidelizzazione (brutto termine di marketing!) del lettore e dei circoli, al foglio (il riferimento non è puramente casuale) cartaceo come prodotto ultimo di una giornata di lavoro, fatti e pensieri ma non come l’unico; pensiamo alla gestione dell’archivio, ai rapporti che potremmo saldamente instaurare con la fondazione Gramsci (nomen omen!), alla vendita dei dati, a tante altre cose.
Qualcosa mi dice che per questo futuro (remoto o prossimo chissene) io e Stefano saremo pronti a metere sul piatto professionalità, appartenenza ed intellogenza. Per iniziare con la risurrezione su basi solide della nostra araba fenice, posto qui sotto un mio contributo di giugno sul blog della Federazione Provinciale dei Giovani Democratici di Novara:
https://gdnovara.com/2017/06/07/5-idee-sul-rilancio-de-lunita-e-noi/
E per citare quell’ultima prima pagina: “Cari lettori non perdiamoci di vista”!
MT
Sto leggendo con malinconia ma anche con piacere che tanti amici hanno nostalgia del nostro giornale, a proposito ho scritto alcuni minuti fa in risposta all’articolo della Annunziata e ho fatto riferimento casuale all’Unità senza aver poi letto la riflessione condivisa del giovane Stefano.
Quelle parole dette da un giovane di 20 anni mi fa un grande piacere e gli faccio tanti auguri per una carrire dove potrà esprimere tutta la sua intelligenza.
Ciao a tutti
Camillo Repetti
Condivido totalmente quanto scrive Ernesto. Suggerirei a Stefano, per aiutarlo a capire meglio perché in tanti continuiamo a fare affidamento in Renzi come leader del PD, di leggersi il Turani di “Quel matto di Matteo …” su Uomini & Business del 20 c. m., facilmente reperibile in rete. In quello scritto potrà cogliere il senso e il significato dell’essere “riformisti” e “progressisti” e del perché tutti i tantissimi “gattopardi” d’Italia abbiano cercato, in ogni modo, di fermarlo, di tagliargli le gambe. Ecco, in ciò che di Renzi essi giudicano negativamente, perché di fatto rappresenta un pericolo per la loro sopravvivenza in chiave politica, sta invece l’aspetto che noi più apprezziamo in lui, la sua capacità di dimostrare che “si può fare”. Come diceva quel comico “fatti, non pugnette”!