Dal volumetto Adelphi che raccoglie due interventi (1967, 1983) di Milan Kundera, col titolo “Un occidente prigioniero. O la tragedia dell’Europa centrale”, estraggo due temi specialmente interessanti. Nel 1983, soffocate le ribellioni di Budapest, di Praga, di Varsavia…, Kundera commemora la peculiarità della “parte d’Europa che nel dopoguerra, dopo il 1945, si trovò geograficamente al centro, culturalmente a Ovest e politicamente a Est… Nessuno si fa più illusioni sui regimi dei paesi satelliti. Ma dimentichiamo l’essenza della loro tragedia: sono scomparsi dalla carta dell’Occidente”. Il secondo passo riguarda l’imbroglio dell’ “ideologia slava” e dell’ “anima slava”, già compendiato in una sentenza del 1844 del grande scrittore ceco Karel Havlíček: “Ai russi piace definire slavo tutto ciò che è russo, in modo da poter poi definire russo tutto ciò che è slavo”.
Trovo una singolare eco di questi temi – il centroeuropa delle piccole nazioni come quintessenza d’occidente che l’occidente ha lasciato perdere senza mostrare di accorgersene – e la posizione di una militante ucraina femminista e di sinistra anti-neoliberale, per così riassumere: Oksana Dutchak, del sito ucraino Commons, ricercatrice a Kyiv, ora riparata in Germania coi due figli piccoli. L’hanno intervistata, per Dinamo Press, 19 maggio, Emma Catherine Gainsforth e Francesco Brusa. Dutchak ricorda che la guerra accentua i condizionamenti di genere, come l’obbligo per gli uomini fra i 16 e i 60 anni, e che d’altra parte “molte donne hanno deciso di restare e arruolarsi, seguendo una tendenza già in crescita dal 2015”. Sorpresa come tutti dalla decisione di Putin, Dutchak osserva però che “considerando la nostra storia e in particolare gli ultimi otto anni di guerra in Donbass, si può dire che la capacità di mobilitazione sociale nel nostro paese era stata molto alta”. Dutchak ribadisce l’opposizione al governo “neoliberale” di Zelensky, e: “tuttavia, non vedo grandi contraddizioni per chi a sinistra sta decidendo di resistere: questa guerra non è una guerra contro il governo ucraino ma contro il paese e la popolazione interi. Le pessime decisioni che prende il nostro governo non rappresentano una ragione sufficiente per non opporsi all’invasione, cui bisogna far fronte in ogni caso. In questo senso, unirsi alle unità di difesa territoriali è una delle scelte più semplici e logiche da compiere per chi si trova sul campo”. Quanto a “una certa mancanza di solidarietà” nella sinistra europea, evocata dagli intervistatori: “Credo che si tratti più della tendenza a restare fedeli alle proprie convinzioni teoriche senza metterle in discussione… Ci si attiene ai dogmi e all’ortodossia, invece di adottare una prospettiva realmente materialistica che parte dall’osservazione di quello c’è attorno a noi e da ciò che si può vedere con i propri occhi… E’ chiaro che per persone che provengono da un contesto che soffre o ha sofferto soprattutto l’imperialismo occidentale è difficile provare le stesse emozioni che proviamo noi nel momento in cui invece siamo attaccati dall’imperialismo russo. Alcuni vedono anzi l’imperialismo russo come una sorta di controbilanciamento a quello statunitense che, in quanto tale, va supportato. Ma ovviamente dalla mia prospettiva tutto ciò non ha alcun senso. La nostra storia ha molto più a che fare con la minaccia, pure militare, da parte dell’imperialismo russo. In ogni caso, ciò che mi rende triste è il modo in cui tante persone, anche di sinistra. che vivono in paesi che sono stati completamente al riparo da ogni tipo di guerra negli ultimi decenni, ci dicano come dovremmo sentirci o cosa dovremmo pensare riguardo alla situazione attuale. È molto difficile convincere alcune persone a mettere in discussione la convinzione che il principale problema o nemico da combattere sia qualcosa che non ha a che fare con il proprio paese (è un pensiero che la sinistra occidentale mette in campo riguardo alla Nato, per esempio). A mio modo di vedere, è una forma di ‘egoismo ideologico’… Ripeto, è una percezione comprensibile ma inizia a diventare problematica nel momento in cui si trasforma in un ostacolo a provare compassione per le vittime ed esprimere loro solidarietà. Da una prospettiva femminista, questo è molto grave e frustrante… Anche qua in Germania, ci sono state manifestazioni che sostenevano l’invasione. Penso che sia assolutamente importante e necessario c dialogare e supportare cittadini e cittadine russe che si oppongono alla guerra. Ma capisco anche i sentimenti di chi fa fatica a parlare con loro e vorrebbe troncare ogni relazione. Non li condivido, ma li capisco dal punto di vista emotivo”.
Le considerazioni di Dutchak sono tanto più interessanti perché non attenuano la sua dissociazione da un occidente che coincide con il “neoliberalismo”: “Ma temo che la guerra avrà sicuramente come conseguenza il fatto di spostarci ancora più ‘a ovest’. È un processo che era già iniziato nel 2014 e che quasi sicuramente si rafforzerà al termine di questo conflitto, trovando ancora una maggiore giustificazione ideologica rispetto a prima”.
Ne consiglio la lettura integrale, specialmente a chi senta la seduzione dei nodi particolarmente aggrovigliati, e la prigionia delle ostinate fedeltà.
Adriano Sofri, Il Foglio, 21 maggio 2022
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