Quello che sto per raccontarvi è l’esempio lampante della condizione del nostro Paese. Ci sono segnali sempre più energici di un torbido degrado, e non mi riferisco alla politica, perché quella sa benissimo da sola come attrezzarsi alla negatività e invocare il peggio.
Sono tante le gazzette locali dove si trovano errori, come sono molti i programmi Rai dove il romanesco imperversa fino a uccidere per sempre il fonema T. Ma questi sono banali errori quotidiani. Quando però gli errori avvengono su Radio nazionali molto seguite, o quando vengono scritti sul maggiore quotidiano nazionale, o vengono digitati da poeti pubblicati pure all’estero, tutto diventa un ghiacciolo dimenticato sopra la sdraio a fine estate.
Non si butta il bambino con le scarpe
A Radio 24, la radio del Sole 24 Ore (dove anni addietro ho lavorato), giorni fa, una giornalista-conduttrice piuttosto nota intervistando un docente universitario dice: “Insomma, si butta via il bambino con… le scarpe qualcosa, ora non ricordo”. Interviene l’accademico e dice: “Il bambino con i panni sporchi”.
E anche gli altri ospiti della trasmissione proseguono a chiacchierare, nessuno dice niente. Nessuno si accorge o forse nessuno ricorda o sa che il proverbio è legato al parto e dice che anche se si partorisce con acqua che non è certo da bere, quando appunto si “rompono le acque”, certo non si butta via il bambino appena nato. Cioè: “Non si butta il bambino con l’acqua sporca”.
Rosselli non criticò le leggi razziali (già, era morto)
Sul Corriere della Sera di qualche giorno fa una storica della Sapienza di Roma scrive un pezzo sulle leggi razziali. Il caposervizio del giornale, che mette in pagina l’articolo, scrive nell’occhiello (desumendolo dall’articolo, che quindi non pare essere a una prima lettura molto chiaro) che Rosselli (riferito senza dubbio a Carlo Rosselli), non aveva compreso il portato negativo delle leggi razziali e non le aveva criticate più di tanto! Peccato che Carlo Rosselli fosse stato assassinato nel 1937, cioè l’anno prima, proprio da quelli che hanno promulgato nel 1938 le leggi razziali.
Per il poeta lo stile della lingua non conta
Su facebook un poeta molto seguito che scrive senza sosta sulle varie pagine letterarie presenti sul social, con pubblicazioni per editori minori e pure per Passigli (nella collana un tempo diretta da Mario Luzi), tradotto all’estero, scrive: “Penso che i poeti hanno il dovere di dire qualcosa sul governo di questo Paese. Aspetto la loro parola”. E giù decine di poeti (o sedicenti tali) che concionano di ponti, migranti, spread e via di seguito. Mi sono permesso di rispondere che la parola è “abbiano”. Si sono alterati, soprattutto il poeta in questione, perché non conta lo stile ma il concetto.
Ora, caro poeta, ti voglio dire che proprio per un poeta il concetto è immorale se non ha stile, perché l’unico strumento del poeta è la lingua. Il poeta è colui che più di ogni altro al mondo, più di un narratore, più di un saggista, più di un professore universitario, ha un dovere e una responsabilità enorme: l’uso della lingua.
Giornalisti, docenti e letterati devono rispettare la lingua e la storia
Ora, tutti noi possiamo anche criticare gli analfabeti funzionali sui social network, irritarsi contro un viceministro perché non conosce l’uso dei congiuntivi e parla un italiano approssimativo, desiderare l’incarcerazione di un viceministro per le sue parole che molti dicono essere odiose. Va tutto bene. Accetto che questo tipo di critiche inondi le pagine dei nostri schermi luminescenti.
Ma è dura accettare che giornalisti, professori universitari e poeti ignorino (fingano di farlo o dimentichino di farlo) che la lingua italiana e la storia d’Italia hanno una loro dignità che dobbiamo rispettare, o almeno sforzarci di farlo. L’approssimazione e la perdita di ogni prudenza, di ogni vergogna ci ha condotti tutti, come individui e come comunità, in cima a un baratro dove poco a poco stiamo cadendo tutti: chi becera contro e chi a favore dei migranti, chi si mette le felpe nere e chi le magliette rosse di Benetton cucite da minorenni, chi pensa di avere tutti gli italiani dalla propria parte e chi pensa di avere ragione a prescindere dal sentimento popolare, a prescindere dalle minime regole di una lingua ricca e vitale che va protetta, e a prescindere da una storia complessa che però deve restare trasparente almeno per quanto riguarda i suoi testimoni più cristallini e onorabili come i fratelli Rosselli.
Comment
Condivido totalmente quanto scritto dal signor Alessandro Agostinelli, ma purtroppo in Italia non fai carriera e successo se rispetti le regole, parli bene l’italiano, sei bravo, sei onesto, rispetti il prossimo: vige la legge della raccomandazione, la spinta del “potente” di turno e non il merito. Spero che siano in tante le persone come Agostinelli, serie e preparate, a farsi sentire uscendo dal silenzio che può essere interpretato come consenso a questo degrado. Chi non rispetta le regole della nostra comunità deve essere fermato prima che sia troppo tardi e lo si può fare solo se siamo in tanti. In pista ci sono tanti cavalli che ragliano, senza avere le qualità richieste e falsando la gara.
Mi auguro che gli intellettuali onesti, i filosofi, in generale coloro che amano la cultura e la democrazie si facciano sentire a piena voce Buona serata a tutti Antonio De Matteo Milano